Recensione film horror Venerdi 13 VIII – Incubo a Manhattan

Recensioni

locandinaRegia: Rob Hedden
Sceneggiatura: Rob Hedden
Attori: Jensen Daggett, Scott Reeves, Barbara Bingham, Kane Hodder
Produzione: U.S.A. 1989
Durata: 93’

Voto: 5/10

Il prode superkiller Jason Voorhees giace sul fondale di Cristal Lake, ma un provvidenziale (ed improbabile) fulmine dovuto alla rottura di un cavo elettrico, lo risveglia. Egli, salito su una barca ancorata al lago ed uccisi i ragazzi che vi amoreggiavano a bordo, raggiunge una nave pronta a salpare per New York.
I passeggeri della nave sono un nutrito (e stolto) gruppo di giovani gitanti compagni di scuola, accompagnati dall’insopportabile professor Charles e da una collega; con loro viaggiano anche Rennie, la bella nipote del professore, che fin da piccina soffre d’idrofobia, ed il figlio del capitano dell’imbarcazione e fra le altre cose tra i due nasce una simpatia reciproca.
Ovviamente il Voorhees non avrà alcuna remora a ridurre la nave ad un mattatoio (la pellicola vanta 19 vittime), così i due professori, Rennie con il ragazzo e un pugile, unico membro della scolaresca ad essere fin ora risparmiato, nella speranza di uscire vivi dalla carneficina abbandonano la nave e si accasano su un gommone di salvataggio.

Lo smembrato gruppo dei superstiti dunque naviga disperso cercando un porto dove stazionare e dopo interminabili ore di viaggio, i cinque raggiungono stremati e increduli Manhattan; dopo poco però arriva nella Grande Mela anche il Mostro per completare l’opera iniziata subito dopo il suo risveglio; New York però non è lo sparuto (e sfigato) campeggio del lago di cristallo e Jason, per giunta orfano del suo immancabile machete, avrà il suo bel da fare…la resa dei conti sarà nelle estese fogne americane con un insensato colpo di scena finale.

“Incubo a Manhattan” (titolo originale “James takes Manhattan”) è il settimo sequel di Venerdì 13…dunque ottavo, alquanto forzato, risveglio per Jason il quale qui si fa audace e si avventura in un’insidiosa megalopoli.
L’idea di base del regista, ovvero quella di inserire il mostrone in un mondo a lui completamente sconosciuto, è sicuramente da apprezzare (un tentativo che i registi dei precedenti sequel si erano accuratamente risparmiati) anche se, nonostante il titolo faccia immaginare diversamente, solo l’ultimo terzo del film si svolge nella grande città, per il resto, escluse le sequenze iniziali ambientate a Cristal Lake, il set della pellicola è la nave (l’intenzione di Hedden era di fare tutto a New York, ma il ridotto budget non lo permetteva).
Assistere a Jason che cerca di destreggiarsi tra le vie di New York non solo è divertente, ma apporta anche qualche elemento nuovo ed interessante nella serie.

Tra le sequenze a Manhattan degne di nota quella dell’incontro-scontro con i tossici, l’irruzione di Jason nella metro e l’inseguimento delle sue prede lungo gli affollati vagoni della stessa, la parte finale del tallonamento di Rennie e fidanzato nelle discariche cittadine, e la scena in cui il killer si ferma ad osservare stupito un cartellone pubblicitario con in primo piano una maschera di hockey identica alla sua: qui per la prima volta vediamo Jason provare una sensazione che, benché minima, si differenzia da quella smania di vendetta cui ci aveva abituato; lo spettatore dunque scorge finalmente in Jason un lato, seppur solo accennato, più umano, già profetizzato, fra l’altro, quando nella già citata scena del confronto con i tossici, per impaurire i malviventi si toglie la maschera dal volto: altro segnale che il Vorhees ha preso consapevolezza del suo aspetto raccapricciante che lo priva d’ogni possibilità di relazione sociale.

Inoltre è il primo capitolo in cui lo scatenato pazzoide ha la facoltà di teletrasportarsi e per la prima volta è sprovvisto del suo fedele machete, deve quindi utilizzare siringhe, schegge di vetro, accette, asce, e quanto gli capiti a tiro.
Si cerca dunque in tutti i modi possibili ed immaginabili di far sgorgare qualcosa di nuovo che possa far tornare la serie se non proprio ai fasti di un tempo almeno ad incassi soddisfacenti al botteghino, ma il risultato non è del tutto entusiasmante.
Nonostante l’impegno, fallisce il tentativo di restituire dignità a Jason che comunque rimane ridotto a poco più che un’ameba alla ricerca di giovani vite da sacrificare in nome della sua personale vendetta (ma non si è già vendicato abbastanza? Considerando anche gli episodi precedenti fino ad ora è arrivato a quota 90 assassini!). Gli omicidi che nei primi episodi enfatizzavano una vena crudele e talvolta splatter, qui oramai non emozionano più e il tutto si risolve con una insignificante chiazza di sangue per terra.

La maggiore pecca del regista sta forse nel presentare un lavoro che pur non privo d’idee rimane schiacciato sotto il peso di quei canoni dello slasher movie anni ’80, che all’epoca erano una garanzia per il successo della pellicola, ma la società si evolve siamo al 1989 e gli anni ’80 stanno per finire così come anche la fortuna degli horror costruiti su trame ridotte ai minimi termini…dunque “Venerdì 13 – parte VIII – Incubo a Manhattan” non riesce a stare al passo coi tempi rimanendo inchiodato a stereotipi ormai superati e restando così nell’anonimato di una piattezza quasi totale. Ciò nonostante il film risale la china del disastro clamorosamente inaugurato da Venerdì 13 – parte V – Il terrore continua alzando un po’ la media della serie.
Ad interpretare Jason è per la seconda volta Kane Hodder che si conferma migliore dei precedenti colleghi.
Tra il cast figura anche Kelly Yu…il nome non vi dirà niente, ma in Italia era popolarissima, interpretava infatti Kaori nello spot del formaggio “Philadelphia”.

Clementina Zaccaria 19.08.2006

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