Recensione film horror Venerdi 13 IX – Jason va all’Inferno
Regia: Adam Marcus
Sceneggiatura: Jay Huguely, Dean Lorey
Attori: John D. LeMay, Kari Keegan, Allison Smith, Steven Culp, Kane Hodder
Produzione: U.S.A. 1995
Durata: 89’
Voto: 4,5/10
Una giovane donna raggiunge con l’auto il campeggio di Cristal Lake e prende dimora in una casa, piuttosto malandata, del posto; mentre tutto sembra tranquillo, ecco rispuntare più puntuale di un orologio svizzero Jason Voorhees, il superkiller che fa letteralmente a pezzi chiunque gli capiti a vista nel boschetto… l’omicida, con il suo machete a seguito, insegue la fanciulla la quale, però, subito si rivela di stoffa diversa da quella delle vittime che predilige il mostro, in genere adolescenti insulsi e ninfomani che anche Wes Craven dileggia nelle sue più celebri pellicole (vedi “Nightmare” e soprattutto “Scream”). La ragazza, infatti, in realtà è un agente delle forze dell’ordine, un’esca per attirare Jason nella trappola che di lì a poco lo incastrerà, consegnandolo alla giustizia.
L’FBI dunque finalmente mette le mani sul super ricercato, e per assicurarsi che egli non sia più un pericolo pubblico con una potente bomba lo fa saltare in aria; l’incubo, quindi, sembra terminato, ma durante l’autopsia il medico legale incaricato di analizzare quel che rimane del mostro, in un folle raptus uccide un collega… ora che non possiede più un proprio corpo Jason Voorhees pensa bene di usare come strumento per le sue solite stragi quello degli altri!
Così si impossessa del medico poi prende l’aspetto di un poliziotto, dopo ancora trasmigra nelle sembianze di un cinico giornalista…ecc.
Egli, infatti, ha la capacità di passare da una forma umana all’altra, ma per rinascere completamente ha bisogno di un corpo del suo stesso sangue, così come ad ucciderlo definitivamente deve essere la mano di un Voorhees…si scopre, dunque, che gli unici in grado di porre fine alla maledizione del Voorhees sono proprio i Voorhees, perciò, come se non ne bastasse uno, ne entrano in scena altri, ovvero i parenti di Jason: rimaste sconosciute per ben otto capitoli ora compaiono la sorella del folle, e la figlia di lei Jessica con la sua bimba di pochi mesi; le donne nell’arduo compito saranno aiutate da Creighton Duke, un cacciatore di taglie che per primo ha scoperto il tallone d’Achille dell’immortalità di Jason. La battaglia sarà avvincente e tra sentimentalismi, pseudo colpi di scena e sequenze da film di fantascienza, Jessica riesce ad uccidere suo zio. Alla fine di Jason rimane solo la maschera da hockey da cui anche un cane girerà al largo… sarà la volta buona che ci liberiamo di Jason?
Si fa attendere alcuni anni (tanto per l’intervallo di tempo che c’è fra un sequel e l’altro) ma arriva anche l’altro ennesimo capitolo della serie; con questo nono episodio, “Venerdì 13”, che nel lontano 1980 diede il via alla saga, è consacrato, battendo tutti i record nella storia del cinema, il film con più seguiti all’attivo.
Lo sconosciuto Adam Marcus presenta un’opera in fin dei conti di discreta fattura e con buoni effetti speciali che ha il pregio di abbondare in scene splatter e di apportare notevoli novità alla serie tra cui il segreto dell’immortalità di Jason e la presenza della sua famiglia: Jason ha un nuovo potere grazie al quale non esiste più quell’ inconfondibile omone alto e robusto con la maschera da hockey, l’assassino quindi potrebbe essere chiunque.
Convivono con queste novità anche le tipiche caratteristiche dello slasher-movie, dunque immancabili i ragazzini ingenui alle prese con i primi approcci sessuali e la critica alla speculazione commerciale, rintracciabile in un dialogo tra la sorella di Jason e la donna che gestisce un fast food e per accattivare i clienti presenta un menù con pietanze dotate di nomi e forme che rievocano Jason.
Gli elementi vecchi e nuovi, però, non armonizzano fondendosi male e “Venerdì 13 – parte IX – Jason va all’inferno” diviene un gran calderone all’interno di cui c’è spazio, oltre che per un paio di citazioni (una del film “Nightmare: dal profondo della notte” e la seconda, inutile e poco attinente, de “La casa” di Raimi), pure per tantissimi rimandi (voluti e non) ad altri film e ciò non fa altro che minare la già scarsissima originalità del lavoro.
In un paio di sequenze, infatti, sembra di assistere ad un episodio di “Star Trek” (la scena in cui un pugnale diventa una spada e quella finale in cui dal petto di Jason escono dei lampi di luce tipo fuochi d’artificio), poi la parte dell’agonia del poliziotto prima di morire è la brutta copia di quella della ricomposizione in umano di Frank in “Hellraiser” e il motivo della metempsicosi è abbondantemente sfruttato in parecchie pellicole prime tra tutte “Alien” e “Zombie” di Romero.
Si aggiungono alla confusione imperante pesanti cadute di stile come quando all’inizio lo spettatore è costretto ad assistere ad un cuore che possiede vita autosufficiente…francamente ridicolo nonostante i capitoli precedenti della saga abbiano già allenato a svariate assurdità (dai fulmini che resuscitano Jason alla telecinesi miracolosa).
Inutile sottolineare che si rinuncia anche al tentativo di quel minimo di collegamento con i precedenti capitoli: nell’ottavo episodio Jason “muore” a Manhattan annegando nell’acqua avvelenata… è troppo chiedersi perché da Manhattan il folle si ritrova vivo e vegeto a Cristal Lake?
Tirando le somme la pellicola si può tranquillamente evitare tranne il caso in cui siete fan sfegatati di Jason. Fra le poche note positive Kane Hodder per la terza volta nei panni dell’assassino e due ritorni importanti: quello di Cunnigham, regista del primo celeberrimo episodio qui in veste di produttore, e l’altro di Manfredini per la colonna sonora.
Clementina Zaccaria 02.09.2006
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