Recensione film horror Una sull’altra

Recensioni

locandinaRegia: Lucio Fulci
Sceneggiatura: Josè Luis Martinez Mollà, Roberto Gianviti, Lucio Fulci
Attori: Jean Sorel, Marisa Mell, Elsa Martinelli
Produzione: Italia, 1969
Durata: 99′
Note: Vietato ai Minori di anni 14

Voto: 7/10

Forse la sua migliore sceneggiatura. Così pensava Fulci de “Una sull’altra“, prima incursione nel thriller del regista romano, pellicola uscita in un anno assai doloroso, in cui perse prima la moglie e poi la madre. Il film, come spesso accadrà a Fulci negli anni successivi, fu oggetto di censura, di tagli e del massimo divieto possibile, incontrando addirittura il sequestro a Settembre del 1969. Uno spettacolo osceno, ritennero  i soliti benpensanti. Certo era il 1969, ma vi garantisco che se lo vedete con gli occhi di oggi vi fate quattro risate, tanto risultano innocue le nudità mostrate da uno dei più brillanti demiurghi italiani della celluloide: amplessi consumati in penombra, nei chiaroscuri; intuiti, comunque sensuali. Ma è logico immaginare che fu proprio la famosa scena lesbo tra la Mell e la Martinelli, audacissima per l’epoca, a scatenare l’ira dei censori. Oggi potremmo ben dire chissenefrega del tempo che fu, se abbiamo tra le mani la versione uncut, ma al tempo il povero Fulci (nonché lo spettatore: è sempre bene ribadirlo che quando ci sono censure e alterazioni della pellicola è penalizzato anche chi guarda, e paga) fu ostracizzato non poco, il suo cinema massacrato dai tagli, tralasciando le critiche dei mestieranti, solitamente al soldo dei soliti noti.

Nel caso dell’opera in questione, però, la critica apparve per la prima volta interessata a questo convincente esordio nel giallo classico, ancora lontano dall’horror truculento. E ci furono anche incassi niente male, fino a che il film non subì le su citate persecuzioni. Merito di una trama suggestiva al punto giusto, ispirata al classico giallo hitchcockiano, costruita su un complesso intreccio narrativo al quale Fulci (e i suoi collaboratori: vedere credits)  lavorò per un anno intero (davvero molto, considerati i tempi rapidi dei registi di cinema di genere e a basso costo). Vediamone brevemente la trama.

San Francisco, California. La moglie di un medico in crisi finanziaria (la sua clinica è piena di debiti) muore lasciando al marito, il dottor Dumurrier, una notevole quanto inattesa eredità. Inattesa perché i rapporti tra i due erano oramai freddi e distaccati: lei malata d’asma e costretta a letto, lui sempre in giro a cercare denari per finanziare la clinica o in visita a Jane, l’amante fotografa. Una sera, a cena con Jane in un locale della città, il medico riceve una strana telefonata in cui viene invitato in un locale per spogliarelliste.  L’oggetto della sua curiosità è una donna che somiglia in maniera impressionante alla moglie deceduta. Somiglia davvero o è proprio la moglie? È bene cercare di capirci qualcosa, perché si scopre che la defunta signora Dumurrier è stata avvelenata. Tutti i sospetti cadono sul medico, unico beneficiario dell’assicurazione sulla vita. Ogni particolare contribuisce ad accusarlo, anche le impronte digitali. È un meccanismo perfetto, un piano diabolico per incastrarlo cui hanno partecipato più persone. Ma chi è in realtà la spogliarellista? Dov’è la giovane infermiera che vegliava la defunta signora nella sua ultima notte di vita? Arriva la condanna a morte per il signor Dumurrier, c’è la camera a gas. Il piano è davvero inattaccabile, le sorti del medico sembrano segnate, ma come spesso avviene anche il congegno più perfetto può essere vittima di una variabile casuale. E Fulci ne trova una efficace per chiudere la storia.

Davvero a suo agio nel girare le scene e nella direzione degli attori, Fulci costruisce un thriller solido e di sicuro interesse, apprezzabile anche a quasi quarant’anni di distanza dalla sua uscita nelle sale. Come ricorda Gordiano Lupi nell’ottimo saggio scritto a quattro mani con Chianese, Fulci negò un’ispirazione che, vedendo la pellicola, risulterà evidente a tutti i cinefili. E naturalmente parliamo dell’immortale “Vertigo” di Alfred Hitchcock (da noi conosciuto anche come “La donna che visse due volte“), cui il regista romano deve non solo l’idea generale ma anche qualcosa dell’intreccio. Poco male, comunque, perché il film trova momenti di sensualità e di raffinato erotismo che il puritano Hitchcock non ha mai conosciuto (e con ciò non credo di ledere la sua maestà, né sto affermando che “Una sull’altra” è migliore di “Vertigo“, ci mancherebbe), che costituiscono un plusvalore per il thriller, un arricchimento visivo e, in maniera certamente minore, narrativo del quale fece largo uso, da quel momento in poi, ogni onesto mestierante di genere (esemplificativa di ciò è la produzione di genere anni Settanta). Sensualità e quel tocco di psicologismo che non guasta mai saranno dunque gli ingredienti principe dell’italico thriller, che si apprestava ad invadere le sale proprio grazie all’avvento di pellicole come questa, senza dimenticare il coevo “L’uccello dalle piume di cristallo” di Dario Argento, né tanto meno la precedente, meritoria e rivoluzionaria opera di Mario Bava.

Il regista romano assembla un buon cast d’attori, quanto a notorietà, evidentemente meno per ciò che riguarda il talento. Si eleva un pochino solo la Martinelli, più sensuale ed ambigua rispetto a Marisa Mell, nonostante il ruolo duplice ed enigmatico riservato all’attrice austriaca. Ma certo non è sull’interpretazione degli attori che puntò Fulci, diversamente centrato su una sceneggiatura affascinante che solo a mente fredda palesa la sua scarsa verosimiglianza. Resta lo scandalo suscitato nella puritana Italia dei fine Sessanta, soprattutto per la scena di velato lesbismo, soltanto simbolica ma sufficiente ad allarmare la censura; preludio ad una vera e propria persecuzione artistica che investirà Fulci soprattutto nel suo terzo thriller, quel “Non si sevizia un paperino” che ancora oggi viene celebrato come il suo lungometraggio più interessante e significativo. Dal testo “Filmare la morte”, ecco le parole di Lupi e Chianese: “Il film si ricorda infatti per una scena lesbica tra le due donne (moglie e amante) che in ogni caso è appena accennata e resta a livello di sensazione epidermica. Nell’Italia bacchettona degli anni Sessanta non si poteva pretendere di più. I temi del film sono comunque molto morbosi, caratteristica che si apprezza in tutti i gialli di Fulci. Ricordiamo su tutte la scena dell’obitorio con un’esibizione della morte che non era facile vedere sul grande schermo“.

Anche l’apparato tecnico contribuisce a dar lustro alla pellicola, attraverso una fotografia che amplifica la sensazione di morbosità, e un uso delle scenografia e dei colori che ci cala perfettamente delle atmosfere della San Francisco borghese e in carriera, tra atmosfere pop e una certa libertà sessuale. Definito a posteriori in molti modi, tra i quali anche lesbo-pop thriller, “Una sull’altra” resta comunque un’opera imprescindibile per chi voglia addentrarsi con la giusta curiosità nei meandri del cinema fulciano, un lavoro che porta in embrione le tematiche che sarebbero emerse con maggior virulenza nella successiva produzione thriller-horror del regista romano.

Curiosità: Il film fu girato a San Francisco. Gli interni del carcere sono quelli del penitenziario di San Quintino. Inizialmente doveva intitolarsi “Perversion story“. La frase di lancio così recitava: “Questo film inizia dove Hitchcock finisce”.

Federico Magi (da Lankleot.Eu), 11.09.2007

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