Recensione film horror Una Lucertola con la Pelle di Donna
Regia: Lucio Fulci
Sceneggiatura: Lucio Fulci, Roberto Gianviti
Attori: Florinda Bolkan, Jean Sorel, Stanley Baker
Produzione: Italia, Spagna, Francia, 1971
Durata: 98′
Voto: 7/10
Signora bella e ricca, ma repressa, è turbata da strani sogni sulla sua vicina di casa, libertina e scostumata. Una notte sogna di ucciderla e l’omicidio avviene veramente…
Il titolo del film non ha nulla a che vedere con il soggetto trattato, fatto escluso per una frase che pronuncia un hippie strafatto, frase che in sé non ha alcun significato.
Questo film è da collegarsi a una moda lanciata da Dario Argento, cioè quella di mettere il nome di un animale nel titolo dei film. Argento si era affacciato al mondo del cinema horror/thriller italiano con la famosa trilogia zoologica: “Quattro Mosche di Velluto Grigio“, “Il Gatto a Nove Code” e “L’uccello dalle Piume di Cristallo” (tutti del 1971). Aveva riscosso molto successo e così altri registi, in crisi di idee, utilizzarono lo stesso stratagemma per attirare pubblico nelle sale: “La Tarantola dal Ventre Nero” di Paolo Capara (1971), “Il Gatto dagli Occhi di Giada” di Antonio Bido (1977) sono alcuni esempi di epigoni di Argento. Anche il nostro caro Lucio Fulci si lasciò conquistare da quella moda.
Il film inizia subito con le immagini del sogno di Carol, la protagonista: un sogno a luci rosse dove la donna corre spaventata in mezzo a corpi nudi che la toccano, per finire tra le braccia della vicina di casa bella e spregiudicata.
Caratteristica evidente e che accomuna molti film horror/thriller italiani degli anni 70 è il rappresentare le donne come oggetti sessuali, portatrici di oscuri presagi, aventi alle spalle traumi psicologici che si ripercuotono sul presente, fragili prede dei desideri e della violenza maschile, quasi sempre sole, represse e sull’orlo della pazzia. Si pensi al personaggio di Clara Calamai, madre di Gabriele Lavia, in “Profondo Rosso“ (D. Argento, 1975) o la strega eremita (sempre interpretata dalla Bolkan) ne “Non Si Sevizia un Paperino” (L. Fulci, 1972): sono donne abbandonate alla loro follia, vittime e carnefici allo stesso tempo.
Altra caratteristica che si ritrova in molti film dell’epoca è l’ambientazione borghese e agiata. Qui siamo a Londra (il film echeggia i fasti della Swinging London), Carol è sposata ad un ricco avvocato inglese, non ha niente da fare se non raccontare i suoi piccanti sogni allo psicologo e desiderare che un uomo riponga su di lei le proprie attenzioni. Ha una figlia, molto più sveglia di lei. Nonostante sia bella, il marito la tradisce con l’amica di famiglia. Forse Carol sospetta qualcosa, ma non se ne cura: è più presa a cercare di capire come sia morta la sua vicina di casa e per quale motivo i particolari dell’omicidio siano così simili al suo sogno.
Ben presto, nonostante il padre faccia di tutto per proteggerla, Carol verrà incriminata. Strappata alla sua quotidianità, la signora entrerà in contatto con una realtà che prima ignorava: quella dei fricchettoni che si fanno di acidi, sempre in cerca di soldi per una sprizza, disposti ad ingannare la povera Carol per cavarsi fuori dei guai: finiranno male.
Carol verrà rinchiusa in un ospedale psichiatrico perché giudicata pazza. La sua curiosità la porterà a scoprire un laboratorio per la vivisezione e i metodi poco ortodossi dei medici per tranquillizzare i pazienti. Ma la realtà dei fatti, come in quasi tutti i film di Fulci, è un’altra e la dolce e remissiva Carol nasconde qualcosa….
Fulci, in odore di denuncia contro i maltrattamenti sugli animali e sugli uomini – vedi legge Basaglia – non risparmia proprio nulla ai suoi spettatori: i primi piani sugli animali vivisezionati sono un pugno nello stomaco.
Un altro topos dei thriller di quegl’anni si trova ne “Una lucertola con la pelle di donna”: personaggio comune, quasi sempre protagonista, che indaga accanto alla polizia, rischiando la propria vita. Pensate a quasi tutti i film di Dario Argento prima della fase dedicata all’ultraterreno e alle presenze demoniache. E vogliamo forse dimenticare il maestro Mario Bava? In “Sei Donne per l’assassino” (1964), “La Ragazza che Sapeva Troppo” (1963), “I Tre Volti della Paura” (1963), sono sempre loro, i protagonisti, comuni mortali che scovano l’assassino. Carol indaga sulla truce fine della sua vicina di casa, ma la sua mente pare aver rimosso come siano andati realmente i fatti.
Pur conservando parecchi cliché dei film dell’epoca, “Una lucertola con la pelle di donna” stravolge tutto: il finale non è di quelli che riportano giustizia e mette in pace le coscienze di noi spettatori perché il colpevole viene catturato: la confessione del delitto avviene nel più strano dei modi, sussurrato come una conversazione telefonica tra amiche, lasciando in noi un senso di sgomento e pessimismo per la rivelazione di una verità che nessuno di noi si sarebbe mai aspettato.
Il film gode di una potenza visiva onirico/psichedelica, condita dalle musiche di Ennio Morricone in stato di grazia, la quale si perde nell’intreccio della trama perché Fulci fu costretto a dare una logica ad un soggetto che sostanzialmente non ne ha.
I film del regista romano vanno sempre a finire allo stesso modo: partono carichi dei migliori intenti, terrificanti e paurosi come nessuno e poi riportano sempre un finale assurdo e incongruente. Chissà se è colpa della mancanza di soldi, dei tagli della censura, di produttori che poi non mantenevano le promesse fatte. Oppure si tratta dell’impossibilità per Fulci di esprimere al meglio il suo estro geniale, la sua incomunicabilità sull’idea del male, della paura e del terrore che accompagnano come un fedele segugio la vita di ogni uomo.
CURIOSITA’: Florinda Bolkan e Jean Sorel, qui moglie e marito, avevano già recitato insieme per Fulci: in “Non si sevizia un paperino“, lei era la povera eremita lapidata e lui il pretino con impeti pedofili. La Bolkan è la prima modella brasiliana venuta in Italia in cerca di fortuna.
Anita Strindberg, che qui interpreta la hippy assassinata, è una delle tante ragazze che fecero la pubblicità della birra Peroni, ricordate “una bionda per la vita”?
A causa della sequenza con la vivisezione, il produttore Edmondo Amati e lo stesso Fulci furono portati in tribunale dalle associazioni animalisti; ma Carlo Rimbaldi dimostrò che ciò che si vedeva era l’abile lavoro degli effetti speciali.
Violetta Armanini 20.02.2007