Recensione film horror Trauma

Recensioni

locandinaRegia: Dario Argento
Sceneggiatura: Dario Argento, T.E.D. Klein, Ruth Jessup
Attori: Christopher Rydell, Asia Argento, Piper Laurie
Produzione: U.S.A. / Italia, 1993
Durata: 106′

Voto: 7,5+/10

A sei anni di distanza da “Opera, se si eccettua l’episodio contenuto nel pessimo “Due occhi diabolici“, il (fu) genio del thriller horror Dario Argento – e mi dispiace davvero molto usare quel”fu”, sia pure tra le parentesi – tornò
al proprio pubblico regalando il suo secondo lungometraggio americano. Trauma è un film, anche a riguardarlo oggi, assai insolito per l’abile Dario, al tempo accolto negli Stati Uniti – e a buona ragione – come l’indiscusso maestro del
brivido d’oltreoceano, e sempre più convinto di poter esportare il suo estro visionario nel paese che vantava, e ancor oggi vanta, la più grande industria cinematografica. Insolito perché mescola più elementi narrativi, al servizio d’una trama che mantiene l’ottimo impianto di genere a cui il regista romano ci aveva abituati, pur abbracciando, per la prima volta, una storia d’amore dallo struggente retrogusto romantico. Senza dimenticare, comunque, il killer seriale e le motivazioni nascoste in un passato doloroso e quanto mai angoscioso.
 
Aura (Asia Argento) è una sedicenne d’origine rumena, ha problemi d’anoressia ed è in fuga da un istituto psichiatrico cui l’avevano relegata i genitori. David (Christopher Rydell), giovane collaboratore d’una rete televisiva, la incontra proprio mentre la ragazza è in procinto di lanciarsi da un ponte. La aiuta e rimane subito attratto dalla sua innocenza e dal suo disagio, nota buchi di siringa sulle sue braccia e pensa di trovarsi di fronte ad un male fisico ed esistenziale che anch’egli ben conosceva: la droga. All’inizio la giovane è sfuggente e misteriosa, ruba il portafogli al ragazzo, salvo
restituirglielo nel momento in cui, pochi giorni dopo, perde i due genitori – ambedue medium professionisti – in seguito ad un macabro rituale eseguito da un misterioso assassino. Il passato ed il presente di Aura sono legati ad un serie di inquietanti esecuzioni consumate nei giorni di pioggia, e compiute dal killer con un diabolico marchingegno che, attraverso l’attivazione di un laccio metallico a forma di cappio, decapita le vittime designate. Il rituale, difatti, è sempre il medesimo, ma non appare chiaro il movente dell’assassino e ciò che lega tutte le vittime. Aura, sconvolta per la perdita dei genitori, e sempre più consapevole dell’alone di morte che le gira attorno, deve anche guardarsi dal primario della clinica psichiatrica a cui genitori l’avevano affidata; il dottor Judd sembra esser stato legato da un vincolo più che amicale con la madre di Aura, legame che, sotto l’effetto di un potente psicotropo somministratole, evocherà nella ragazza il trauma originario che aveva contribuito alla sua anoressia. Aura e David, oramai presi nella spirale degli eventi, cercano di andare in fondo al mistero del così detto”cacciatore di teste”, scoprendo una foto che ritrae in gruppo (quasi) tutti  coloro che sono caduti sotto la ghigliottina metallica dell’assassino. Il cerchio si stringe, e l’amore tra i due si rafforza sempre più, fino a che un epilogo poco convincente sembra dividerli per sempre. Ma è solo apparenza. C’è qualcosa che è sfuggito ad Aura (nella notte di pioggia in cui morirono i suoi), e qualcosa d’altro che non sfugge al pur semi lucido – una volta persa Aura la tentazione di tornare a drogarsi è più forte che mai – David (un particolare bracciale che portava Aura). Il destino si compie nella casa dell’assassino: tra un bimbo che spunta di sorpresa, ed uno, mai nato, che aveva generato tutto quanto.

Molta carne al fuoco, come detto, per l’ultimo Argento degno del proprio nome e del suo talento, prima di cadere nell’abisso del nonsenso (quello l’avremmo pure accettato se fosse stato supportato dalla creatività) e della prevedibilità (questo è il vero male del suo cinema da più di dieci anni). L’atmosfera che pervade la pellicola ci riporta alle suggestioni delle sue opere migliori, l’intreccio è intrigante, pur se meno supportato dall’ ipervisività cara al regista. Ciò, nella fattispecie, non è affatto un male, perché gli permette di concentrarsi su una trama ben calibrata che non perde mai d’intensità, facendosi forte di un paio di momenti in cui si libera l’inconfondibile talento visionario argentiano – la lunga sequenza in ospedale e quella nella stanza di Nicholas tra i lenzuoli bianchi dai cui spunta l’assassino. E poi c’è un’intensa storia d’amore raccontata con inattesa dolcezza, l’accenno al problema più che mai attuale dell’anoressia in giovanissima età, e un cast d’attori (tutti americani tranne Asia) abbastanza in parte (su tutti Piper Laurie, che ricorderete tra i protagonisti del serial Twin Peaks di David Lynch e in “Carrie” di Brian De Palma). Ciò che stona è proprio Asia Argento, allora alla prima prova con il padre (le successive furono nei pessim i “La sindrome di Stendhal” e “Il fantasma dell’opera”), non tanto per la recitazione, ma per la voce assai disturbante e poco credibile del suo personaggio (era meglio doppiarla). Nel complesso un ottimo Argento, come ripeto,  l’ultimo che rievoca emozioni cinematografiche – similitudini evidenti con alcuni snodi essenziali di “Profondo Rosso” – di un certo livello autoriale; un Argento che, nel contestualizzare le motivazioni dell’assassino nel consueto passato che riemerge virulento per una circostanza inattesa, trova il modo di motivare all’amore anche l’efferatezza (qui il killer ha davvero un’ ottima ragione per far emergere la sua furia omicida). Sembra davvero che il regista romano abbia voluto seguire un registro, non dico poetico, ma sensibile a note più intime e sfaccettate, non eccedendo nemmeno nella consueta macelleria: il sangue è ai minimi storici per uno come lui, e le modalità dei i delitti pressoché identiche.

Pertanto, è quasi con amore, misto a una punta di malinconica nostalgia, che mi congedo dall’ultimo Argento – se si eccettuano alcune riuscite sequenze di “Non ho sonno”  – di cui tengo viva l’emozione. Il declino, per lui, sembra oramai inesorabile, anche se io, amante della primissima ora –  ero solo un bimbo! – non rinnegherò mai l’amore per il suo cinema: sempre in attesa di una resurrezione, che si spera arrivi proprio dal prossimo, imminente lungometraggio. Ricordate”Suspiria” e “Inferno“? Beh, dopo anni pare che il cerchio si chiuda, si completa la trilogia: siamo in attesa de”La terza madre”.

Federico Magi, 29.11.200

Guarda la Locandina Originale

SCRIVI PER OCCHIROSSI.IT