Recensione film horror The life of David Gale

Recensioni

locandinaRegia: Alan Parker
Soggetto e Sceneggiatura: Charles Randolph (tratto da una storia vera)
Attori: Kevin Spacey, Kate Winslet, Laura Linney
Produzione: U.S.A. 2001
Durata: 131’

Voto: 9/10

“The life of David Gale” è un film davvero imperdibile, un drammatico con risvolti da thriller e riflessioni importanti, colpi di scena e flashback da giallo d’altri tempi, Kevin Spacey da oscar e montaggio molto apprezzabile.
La vicenda ci racconta del professor David Gale, ordinario di filosofia in una università texana, un uomo che combatte contro la pena di morte e lo fa anche sfidando in diretta televisiva il governatore del Texas a suon di dati e citazioni; David Gale aiuta la fondazione Deathwatch, molto attiva sul campo contro la pena di morte, organizza dibattiti, volantinaggio, indagini, presidi e tutto quanto sia possibile per fermare tutte le condanne a morte del Texas; ovviamente i risultati sono pessimi, ma la responsabile dell’associazione e amica di David Gale, Constance, non si dà per vinta e lotta con tutte le sue forze.

A scuotere la “normale” vita di David Gale arriva però una studentessa molto attraente e disposta a tutto pur di passare il suo esame, a tutto tranne che a studiare; sta di fatto che la studentessa lo coglie in un momento di debolezza ed ebbrezza, lo chiude in bagno e lo seduce, lasciando fare a lui il resto; lo scandalo è inevitabile, ma se non ricordo male la studentessa ritira successivamente l’accusa, ovviamente la reputazione di Gale è comunque rovinata e la sua vita familiare anche, perché sua moglie e suo figlio si trasferiscono in Spagna.
L’unica che crede in David ed aiuta a farlo ripartire è Constance, David si butta sull’alcol e cerca di fare dei lavoretti come uomo delle consegne o cose del genere, la sua vita rimane rovinata nonostante questi tentativi di normalizzarla e anche l’associazione Deathwatch lo allontana per non rovinarsi la reputazione.
Constance viene di lì a poco trovata morta, stuprata e soffocata con un sacchetto di plastica, lo sperma di David è nel suo corpo, le sue impronte sono sul sacchetto, uno più due fa tre, perciò David Gale è condannato a morte per l’omicidio di Constance, proprio lui che aveva sempre lottato contro la pena di morte.

Ora facciamo un bel salto e ci ritroviamo nell’ultima settimana di vita del condannato David Gale, questi concorda con il suo avvocato di dare un’intervista esclusiva a una rete televisiva, si tratta di tre momenti di due ore ciascuno, ma David Gale vuole come interlocutore Bitsey Bloom, famosa per aver avuto qualche problema con la giustizia per aver mantenuto il segreto professionale nel caso di alcuni pedofili.
La redazione decide di mandarla insieme ad un apprendista che, aggiungo io, ha visto parecchi film e quindi basa le sue indagini giornalistiche su una concezione giallistica tipica di Hollywood; Bitsey parte prevenuta per questi incontri, insomma parte dal presupposto normalmente condiviso che un condannato sia colpevole, ma poi, insieme allo spettatore, si siede su quella sedia, guarda negli occhi David e comincia ad ascoltarlo e…

Beh lo lascio scoprire a voi, ho cercato di ricostruire un ordine cronologico che nella pellicola è completamente rielaborato, infatti è attraverso l’intervista fiume che veniamo a sapere come si sono svolti i fatti precedenti alla condanna e i flashback sono ampi tanto da raccontarci tutto nei minimi particolari.
Il montaggio è davvero mirato a comunicare le giuste emozioni nei momenti giusti, insomma c’è uno schermo nero laddove lo spettatore ha bisogno di prendere fiato o di pensare, uno stacco netto quando il racconto si fa incalzante e poi in questo film si notano degli inserti veramente interessanti, un collage di qualche secondo che mostra parole scritte, su fogli, su lavagne, sui muri, sono le parole che esprimono i sentimenti dei protagonisti e dello spettatore, una cosa veramente interessante ed originale.
L’intento del regista Alan Parker è quello di condannare la pena di morte e di sconfiggere il meccanismo che ruota intorno ad esso, non a caso nel film sono snocciolati dati veri sulla pena di morte e si cerca di shockare lo spettatore con particolari tipo il fatto che in pochi chilometri ci siano otto prigioni, oppure con le battaglie perse ma combattute fino all’ultimo delle associazioni come Deathwatch.

Ho letto in due diversi siti che parlano di questo film, che l’intento del regista sarebbe ambiguo o addirittura “fallito”; beh non posso che essere in disaccordo, ovviamente non posso svelarvi il finale inaspettato del film, ma la linea dei narratori rimane quella di assoluta condanna verso il “sistema” della pena di morte.
Passando agli attori, mi inchino all’interpretazione straripante di Kevin Spacey, pacato, alcolizzato, eccitato, distrutto, disperato, felice, sollevato, pieno di sé, consapevole della sua rovina, deciso, frastornato, insomma è tutto lui e in ogni momento riesce a trasmettere ottimamente quello che dovrebbe, davvero un’interpretazione impeccabile.
Le altre due protagoniste femminili sono Kate Winslet nei panni della giornalista e Laura Linney nel ruolo dell’attivista, entrambe dimostrano una discreta capacità, ma la prima l’ho comunque trovata un pelino fuori ruolo, sarà perché con la capigliatura bionda non mi piace per niente e stona con la sua eterna immagine della “titanica” Rose; menzione anche per il discreto Gabriel Mann, che interpreta Zach, l’apprendista giornalista.
Ancora complimenti in questa mia recensione, ed è la volta di Charles Randolph, che ne ha ideato il soggetto e scritto la sceneggiatura, ha concepito veramente un bel film che come ho detto all’inizio mischia la vicenda drammatica e le riflessioni molto serie che scaturiscono dalla visione con elementi propri dei migliori thriller ed è per questo che lo spettatore non sente per nulla il peso dei 130 minuti e passa di questa pellicola.
Insomma concludendo, consiglio veramente a tutti questo film!

Adriano Lo Porto, 24 Febbraio 2004

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