Recensione film horror SummerOfSam

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S.O.S – SUMMER OF SAM

locandina

SCHEDA TECNICA
REGIA: Spike Lee
SCENEGGIATURA: Victor Colicchio
CAST : John Leguizamo, Mira Sorvino, Jennifer Esposito, Adrien Brody, Anthony LaPaglia, Ben Gazzara, Michael Badalucco, Patti LuPone, John Savage, Bebe Neuwirth
DURATA: 2h. 21′

“Summer of Sam” è il dodicesimo film diretto da Spike Lee, che rimane senza dubbio uno dei registi più chiaccherati e sicuramente il più amato dalla comunità afroamericana residente negli U.S.A., che il regista nei suoi film non ha mai smesso di rappresentare, nel bene e nel male.
Oltre a questo, dello stesso regista ho visto solamente il recente “La 25a ora” e data la qualità di questi due lungometraggi credo proprio che non rimarranno gli unici, anche perchè ho già provveduto ad acquistare “He got game” e “Malcolm X”.

Spike Lee non rinuncia alla sua ossessione che lo avvicina a Woody Allen: New York; certo stiamo parlando di due sguardi molto personali sulla stessa città e in quanto soggettivi parleremo più facilmente di differenze che di analogie, ma non voglio addentrarmi in discorsi più grandi di me.
Spike Lee decide di raccontarci una storia vera, a modo suo ovviamente; è la storia che tenne in scacco New York nell’estate del 1977 e a quell’epoca il regista era un imberbe ventenne che viveva al massimo la sua vita, perciò penso che la riproduzione delle atmosfere e degli avvenimenti sia il più possibile veritiera.
Nell’estate del 1977, oltre all’ennesima vittoria degli Yankees e al caldo che mieteva vittime, c’era un serial killer che uccideva le coppiette che si appartavano nei vicoli nascosti per pomiciare.
Questo killer si faceva chiamare “Son of Sam” e oltre al sangue freddo e alla crudeltà che dimostrava nel freddare le sue vittime, si prendeva anche lo sfizio di lasciare dei messaggi di sfida ai detective che avrebbero dovuto occuparsi di far regnare la tranquillità nei quartieri di New York.

“Son of Sam”, le sue vittime e tutto quello che lo riguarda non sono però il punto di forza della pellicola, perchè Spike Lee si concentra soprattutto sulla rappresentazione dell’atmosfera sociale di quell’anno, con un accento particolare sulla comunità italo-americana, visto che la questione del serial killer si dipana proprio nel quartiere “nostrano”.
Il figlio di Sam e i suoi disturbi sono solamente una delle tante storie che ci racconta Spike Lee e i protagonisti sono piuttosto altri, come Vinny e Dionna (nella versione originale suona Diana, ma i titoli di coda non lasciano scampo), Ritchie e Ruby, Luigi e i suoi scagnozzi, la coppia di detective, insomma di carne al fuoco ce n’è davvero tanta e non me la sento di dire che siamo di fronte ad un thriller, seppur la parte più pubblicizzata del film sia quella della vicenda del serial killer.

Il protagonista principale è a mio parere Vinny, un ragazzo che fa molto Tony Manero, felicemente fidanzato con Dionna, ma sessualmente legato a troppe donne e implicato in giri di droga e criminalità organizzata.
Dionna è una ragazza raffinata, molto carina e longilinea, balla da dea e fa la cameriera nel ristorante di proprietà di suo padre, dove spesso cena il boss più in vista del quartiere italo-americano, Luigi.
Vinny non riesce a togliersi il vizio di fare sesso con altre donne, ma rimane legato a Dionna, le promette un amore sincero ed eterno e promette a se stesso, più volte e senza esito, di cambiare, di diventare un marito perfetto; alla fine risulterà il personaggio più presente del film e anche uno dei più negativi a causa dei suoi molteplici tradimenti, non solo amorosi.
Dionna è un angelo disceso in terra, ama sinceramente Vinny al punto di chiudere un occhio sulle sue scappatelle, ma ha il difetto di non rendersi veramente conto di cosa questo voglia dire; l’ingenuità rimane la sua caratteristica più in vista.

Un’altra storia da raccontare è quella di Ritchie, un ragazzo che dopo aver lasciato giovanissimo il quartiere, torna con un bagaglio socio-culturale nuovissimo che lo ha toccato profondamente: l’esperienza punk.
Questo suo nuovo modo di vestire, di acconciarsi, di suonare musica, di comportarsi, di pensare è una diversità che i suoi vecchi amici non gli perdonano e anzi questo fattore permetterà loro di accanirsi contro di lui secondo la più spietata logica del gruppo.
Non lo aiuta nemmeno la storia d’amore con Ruby, una delle tante ragazze disinibite del quartiere, ma l’unica ad apprezzare Ritchie, a riuscire ad andare oltre al suo look stravagante e a capire veramente le sue qualità interiori.

A proposito di “gruppo” veniamo alla terza ed ultima (per non dilungarmi troppo) storia “parallela” da raccontare, quella di un gruppo di scagnozzi di Luigi, che rappresentano anche il gruppo di “amici” di Vinny e Ritchie.
Sono raffigurati come i tipici italo-americani che non fanno niente dalla mattina alla sera, i tipici mafiosi che muovono gli ingranaggi del quartiere pur non contando niente; sono adulti che giocano a fare i ragazzi, che mantengono la famiglia con lo spaccio, che fanno della violenza la loro via preferita di comunicazione e che poi diventano iperprotettivi se la loro figlioletta vede una pettinatura punk!
Sono odiosi dal primo all’ultimo minuto, dalla prima alla loro ultima azione (e soprattutto all’ultima), e raggiungono l’apice quando, taccuino alla mano, stilano una lista di sospetti da pedinare e tenere d’occhio per individuare il serial killer.

Questo fatto però è anche incitato dal comportamento delle forze dell’ordine, che oltre a brancolare nel buio, chiedono espressamente aiuto al boss mafioso di cui sopra, perchè chi meglio di lui può sapere chi sgarra nel suo quartiere? La polizia mi verrebbe da rispondermi, ma si sa che in alcune situazioni (sia storiche che geografiche) questa risposta è la più sbagliata che possa esistere.

Da notare che Spike Lee si diverte un mondo ad interpretare l’inviato sul campo, soprattutto quello che sta a contatto con la comunità afro-americana, tanto quando la gente si esprime sul serial killer, tanto quando in occasione del blackout saccheggia negozi e supermercati.
Non è un caso che abbia voluto vestire i panni del reporter, perchè nel film si può leggere un’accesa critica al comportamento dei media nella questione del figlio di Sam.
Secondo il regista, televisioni e giornali hanno sfruttato il caso per raddoppiare la propria audience creando un incontrollabile allarmismo che sfocia, sia nel film che nella realtà, in episodi di caccia all’uomo e in una dannosa iperprotettività dei genitori.
Da segnalare che i titoli di giornale che appaiono in copertina e lungo la durata del film, sono tutti presi dai giornali originali dell’epoca e specificatamente dal Daily News e dal New York Post.

Come avrete potuto capire dalle mie considerazioni sulle storie parallele che ci propone il film, Spike Lee non abbandona i suoi temi preferiti e mi riferisco in primis al razzismo.
Qui non si parla di razzismo tra neri e bianchi, ma, seppur non marcatamente, di lotte tra le varie comunità newyorkesi e soprattutto dell’intolleranza verso il vento di novità e di diversità che rappresenta il punk.
A proposito della lotta tra neri e bianchi, Spike Lee non si lascia scappare l’occasione di lanciare una frecciatina in modo davvero molto simpatico; nel corso di un servizio del reporter che il regista interpreta interviene una donna di colore che afferma che se il serial killer fosse stato un nero, visto che le vittime erano bianche, sarebbe scoppiata la più violenta repressione nei confronti della comunità afroamericana, ma, prosegue la signora Cassandra (Spike Lee è ancora lì che se la ride per questa splendida trovata), “fortunatamente è solo un bianco che uccide altri bianchi”.

Passando a considerare gli aspetti tecnici del film, mi sento di fare un plauso alla regia di Spike Lee e di trasformalo in standing ovation quando passo a parlare della sceneggiatura di questo film, firmata da Victor Colicchio, Micheal Imperioli e Spike Lee.
Da non trascurare (come purtroppo spesso faccio io quando scrivo di film) è la colonna sonora di questo “Summer Of Sam”, che riproduce fedelmente (per com’è il mio orizzonte di attesa) il periodo in cui è ambientata la vicenda e che accompagna in modo ineccepibile le gesta dei nostri protagonisti, passando dalle musiche che fanno ballare i nostri eroi alle melodie più cupe che descrivono le gesta del serial killer.
Per quanto riguarda le interpretazioni mi trovo veramente in difficoltà a stilare una classifica di merito, perciò mi limito a raggruppare sotto un generico “splendida interpretazione” per Mira Sorvino (Dionna), John Leguizamo (Vinny) e l’irriconoscibile Adrien Brody (Ritchie).
Buone prove anche per gli altri comprimari, tra i quali ricordo Ben Gazzara nei panni del boss Luigi, Jennifer Esposito nei panni di Ruby, Micheal Rispoli e Brian Taratina nel ruolo degli italo-americani, Anthony LaPaglia nel ruolo del detective e ancora John Savage e Bebe Neuwirth.

Non vi spaventino i 140 minuti della durata, perchè questo è un film veramente ricco sotto tutti i punti di vista; primo perchè racconta tante storie intrecciandole in modo impeccabile e permettendo allo spettatore di entrare anima e corpo in ognuna di esse; secondo perchè è ricco di attori molto ispirati e terzo (last but not least) perchè è ricco di temi trattati e di spunti di riflessione davvero molto interessanti.

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Adriano Lo Porto 23.01.2005

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