Recensione film horror Stay

Recensioni

locandinaRegia: Marc Forster
Soggetto e Sceneggiatura: David Benioff
Attori: Ryan Gosling, Naomi Watts, Ewan McGregor
Produzione: U.S.A., 2005
Durata: 98’

Voto: 8+/10

“Stay” è uno di quei film che per la maggior parte delle persone risulta essere uno spreco di tempo e di soldi; eppure c’è una categoria di spettatori che parlerà a lungo di questo film; mi riferisco ai fan dei film psicologici, psicanalitici o psicolabili, come li chiamo io.
Sono, per intenderci, quei film che propongono scene che non hanno un nesso logico o cronologico che le lega tra loro oppure film che presentano personaggi, situazioni e vicende che si svolgono solo nella mente di uno dei protagonisti; in sostanza sono quei film che fanno girare a mille la mente da detective che c’è in ognuno di noi e che si riescono a capire solo quando, a due minuti dalla fine, il regista tira le fila del discorso e riesce a far comprendere tutto o quasi tutto agli spettatori.
“Stay” è proprio un film di questi, molto lynchiano per l’aspetto registico e per il groviglio sinottico, è una sfida per gli spettatori cercare di mettere tutti i tasselli al loro posto e anche dopo la soluzione finale rimangono alcuni quesiti su alcune cose viste nei 98 minuti di pellicola.

“Between the worlds of the living and the dead there is a place you are not supposed to stay”

I pochissimi minuti di prologo ci mostrano un incidente stradale non molto comprensibile nelle sue motivazioni e nella sua dinamica, perché quello che si vede chiaramente è solo il finale, ovvero un ragazzo seduto in mezzo alla carreggiata e la sua macchina in fiamme.
Il regista ci mostra poi una coppia, Sam e Lila, lui psichiatra e lei pittrice, un connubio che molto ha a che fare con la mente, le visioni, l’immaginazione…
Lila ha un passato molto triste da raccontare, un passato sfociato in un tentativo di suicidio tramite recisione verticale delle vene, tentativo non andato a buon fine per il tempestivo intervento di Sam, che all’epoca l’aveva in cura.
Dopo il rocambolesco salvataggio in una vasca piena di acqua e sangue, Sam si è innamorato di Lila e ora vivono insieme e portano avanti un sereno rapporto di coppia.

Henry Letham è il ragazzo della prima scena e il caso vuole che la psichiatra che lo seguiva sia sostituita proprio da Sam, che apprende dal ragazzo la sua volontà di suicidarsi pochi giorni dopo, alla mezzanotte di sabato, precisamente allo scoccare del suo ventunesimo compleanno.
Henry è uno studente dell’Accademia delle Belle Arti, è un tipo taciturno e riservato, non ha amici e l’unica ragazza con la quale ha tentato un approccio è la cameriera che gli ha servito un paio di volte il caffè.
Da bravo aspirante pittore, Henry ha un modello da seguire: un pittore morto suicida il giorno del suo ventunesimo compleanno, che prima di lanciarsi dal ponte di Brooklyn ha bruciato tutte le sue tele.
Insomma il progetto di Henry è molto preciso e ben organizzato e Sam ha pochissimo tempo per bissare il salvataggio in extremis, ma stavolta può godere dell’aiuto di Lila, che in quanto pittrice con impulsi suicidi ha molte cose in comune con il ragazzo.

Il “problema” è che io ho cercato di linearizzare la vicenda, ma vi assicuro che non è facile starci dietro e collegare logicamente una scena con le precedenti e successive, soprattutto perché ad un certo punto si percepisce perfettamente, grazie alle tecniche di regia e montaggio utilizzate, che il mondo reale si sta intersecando con un mondo immaginato, che la vicenda realmente svoltasi si sta mischiando con un racconto onirico.
Come ho detto all’inizio della recensione, questo film scritto da David Benioff e diretto da Marc Forster ricorda molto i film di David Lynch e precisamente “Mulholland Drive, che viene più volte citato, iniziando dalla scelta di Naomi Watts come protagonista e finendo per porre il punto di svolta in una scena ambientata in un teatro, dove in Lynch era il “teatro del silencio“, mentre qui è il teatro dove si prova un Amleto al femminile.

A confondere in qualche modo lo spettatore o meglio a portarlo sulla via della soluzione finale, ci si mette anche il regista, che con l’aiuto del montatore Matt Chesse, riesce a creare passaggi di scena veramente molto affascinanti e poco convenzionali, inquadrature arricchite da effetti visivi e sonori che riportano al sogno e alla visione, insomma il lavoro di Marc Forster (“Neverland“, “Monster’s ball“) crea senza dubbio una atmosfera che si adegua perfettamente alle vicende narrate.
Sul fronte degli attori, il migliore è sicuramente il giovane Ryan Gosling (“Formula per un delitto“, “The Believer“), mentre Ewan McGregor (“Star Wars“, “Nightwatch“, “The eye“) non è molto convincente nei panni dello psichiatra e Naomi Watts (“The ring“, “The ring 2“, “Mulholland Drive“) mantiene la sua parvenza di donna dura e allo stesso tempo dolce, bella e spigolosa, affascinante e fragile.
La sceneggiatura di David Benioff (la sua prima) è dunque molto ben architettata, perché, al contrario dei film lynchiani, qui c’è un finale che rimette quasi tutto al suo posto, che non lascia quasi nulla di incompreso o incomprensibile se ci si lavora un attimo sopra dopo la visione; insomma tutti i dubbi e le incoerenze del film vengono dissipati e chiariti con un finale abbastanza inaspettato e il film, ne sono sicuro, risulterebbe ancora più affascinante se si potesse chiedere a Benioff il motivo di alcune sue scelte (la storia del pittore suicida ad esempio).

Stay – nel labirinto della mente” è tutto sommato un buon film, ma lo si capisce soprattutto negli ultimi cinque minuti, quindi abbiate pazienza e non troncate la visione a metà, abbiate fede e sarete ripagati nell’extratime.

Adriano Lo Porto 14.03.2006

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