Recensione film horror Santa Sangre

Recensioni

locandinaRegia: Alejandro Jodorowsky
Sceneggiatura: Alejandro Jodorowsky, Roberto Leoni, Claudio Argento
Attori: Axel Jodorowsky, Blanca Guerra, Guy Stockwell, Sabrina Dennison
Produzione: Messico, Italia, 1989
Durata: 117′

Voto: 8.5/10

Perche Fenix è chiuso in manicomio? Perché si esprime solo a gesti? Perché non esce mai dalla sua stanza? Fenix è poco più che ventenne, ma dentro sé è un bambino; un bambino che, dentro l’abisso della memoria, ha perduto il trauma che ne ha segnato l’esistenza.
Fenix vive nel circo dei genitori, insieme ad un nano, una bimba sordomuta, un vecchio elefante, una tatuatissima danzatrice e qualche clown. Un padre dispotico e violento, una madre fanatica religiosa (che adora una santa le cui braccia furono recise prima d’uno stupro), una realtà da sempre surreale, tengono prigioniera la personalità del bimbo che,  confuso dalle diverse sensazioni interiorizzate dal contesto, trova la sua vera affinità elettiva con la bambina sordomuta: il loro linguaggio del corpo è proiettato in uno spazio aereo da raggiungere in volo, simile a quello degli uccelli. L’ipersensibilità di Fenix fa si che ognuno dei due genitori lasci una traccia indelebile nel suo corpo e nella sua psiche: il padre, per farlo diventare “uomo”, gli incide con un coltello un volatile che copre l’intera superficie del petto; la madre, vistasi frustrare la delirante e malsana tensione religiosa con la distruzione del tempio dedicato alla santa senza braccia, gli riversa addosso la propria ansia. Come se ciò non bastasse, l’evoluzione negativa degli eventi stringe sempre di più il cerchio intorno al bimbo, costretto ad assistere alla morte dell’amato elefante e – imprigionato e impotente – all’evento che lo segnerà nel profondo: il suicidio del padre, castrato dalla madre perché colto in flagranza di infedeltà. Ma perderà la vita, nella circostanza, anche la folle madre di Fenix, mutilata dai coltelli del padre di ambedue le braccia: proprio come accaduto alla santa. Ritornato con la memoria al presente, costretto nella casa di cura, Fenix è un essere oramai passivo, fino a che, una sera, il riconoscere la danzatrice tatuata amante del padre – nonché colei che era rimasta nei suoi ricordi, la bimba sordomuta – non genera in lui una natura schizofrenica e psicopatica: è pronto ad uccidere, prima per vendetta, poi tutte le donne che in qualche modo gli ispirano attrazione. Il “sangue santo” è pronto nuovamente a sgorgare.
Alejandro Jodorowsky, scrittore, artista e cineasta dalla vena surrealista (e non solo), torna a distanza di 16 anni da “La montagna sacra” a far circolare il suo originalissimo modo di far cinema. Perché tutto questo tempo? Chi immagina che sia dovuto al silenzio meditativo del genio partoriente sbaglia di grosso, perché Jodorowsky, che non è Terrence Malick (altrettanto poco prolifico, ma per motivi decisamente diversi), ne avrebbe fatti eccome di film, se solo avesse avuto i finanziamenti. Claudio Argento, fratello di Dario e produttore delle opere del famoso maestro del thriller-horror, incuriosito dalla possibilità di nuove esperienze cinematografiche, sceglie proprio Jodorowsky per l’esperimento. Il regista accetta, anche se si trova costretto a scendere a compromessi sulla costruzione della storia – Argento vuole sangue, e morti -, stabilendo che le riprese durino 10 settimane. In realtà, dopo tre sole settimane, i soldi sono già finiti. Fortunatamente intervengono anonimi finanziatori giapponesi e l’opera può essere completata. Ma di che opera stiamo parlando? Con tutte queste difficoltà il regista cileno è riuscito a mantenere inalterato il suo personalissimo modo di far cinema? C’è da fare una considerazione basilare: l’anarchia narrativa e gli “stilemi panici” presenti ne “El topo”, “Il paese incantato” e “La montagna sacra” vengono sicuramente ridimensionati, per dar spazio, però, ad una narrazione meno ondeggiante e più congruente, senza per questo perdere in visività. 
Santa sangre è un film doloroso, sarcastico, cinico, malinconico e visionario. E Jodorowsky, pur tra mille difficoltà – e qui molti jodorowskyani e panici d.o.c. saranno in disaccordo – ci regala veramente la sua miglior pellicola.  Una pellicola ricca di idee e di immagini che coinvolgono e catturano le emozioni più intime dello spettatore che, estraniandosi dalla scia di sangue, partecipa realmente al dramma inconscio ma tutto reale del protagonista. Le trovate interessanti del film sono parecchie, dosate come di consueto per eccesso, ma senza il sovraccarico di disturbo visivo presente in altre opere. A ciò Jodorowsky aggiunge, influenzato da Argento, la trama thriller, costruendo un inquietante mondo onirico a cui il protagonista continuamente si rapporta.  Per capire le motivazioni profonde dell’impulso a uccidere bisognerà attendere un epilogo che, grazie all’arrivo della bambina sordomuta oramai cresciuta, smaterializza i mostri dell’inconscio, lasciando alla vista del bimbo, divenuto adulto, il solo volto che l’aveva amato e compreso. Un volto, l’unico reale, che gli ricorda che le sue mani, le sue braccia, sono fatte per volare, non per uccidere. É la catarsi, il ritorno al sé bambino, il superamento del trauma: la libertà, pur dentro una cella o nuovamente in manicomio. 
Splendida l’idea del trovare la libertà dalle crudeltà del mondo attraverso il volo, la liberazione attraverso un immaginifico atto creativo che abbatte le barriere della psiche, la redenzione attraverso un amore senza parole, ma espresso attraverso i gesti, attraverso l’armonia del movimento. Tutto nel mondo filmico di Jodorowsky si fa simbolo, allegoria, potenza visivo-espressiva al servizio di un cinema che non può lasciare indifferenti. Un cinema che, nella fattispecie, richiama nuovamente Fellini e il suo circo, incontra per la prima volta Dario Argento (la sequenza della morte della danzatrice si ispira a scene efferate tratte da “Suspiria” e “Profondo Rosso“), omaggiando il bianco e nero de “L’uomo invisibile“.
Su tutto, però, l’idea del “dramma edipico” di Fenix, soggiogato dal fantasma inconscio della madre, cui aveva donato – sottomesso – le sue braccia. Braccia che erano ali, che si fanno pugnali, che cercano sangue, che danno la morte e che tornano ali. Ali per fuggire, attraverso il cinema di Jodorowsky, dalla consuetudine e dalla noia: da una realtà che troppo spesso non ci appartiene.
Curiosità: nel dvd è contenuta un’ interessante e divertente intervista-monologo a Jodorowsky che, tra le altre cose, parla anche delle motivazioni del distacco da Topor e Arrabal. Il film in questione è tratto da una storia realmente accaduta.

Federico Magi 01.03.2007

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