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Nazione: Italia 1971
Durata: 105’
Regia: Dario Argento
Soggetto e sceneggiatura: Dario Argento, Luigi Cozzi, Mauro Foglietti
Cast: Michael Brandon, Mimsy Farmer, Jean-Pierre Marielle, Calisto Calisti, Marisa Fabbri, Oreste Lionello, Stefano Satta Flores, Bud Spencer
Musica originale: Ennio Morricone
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La vicenda è ambientata a Milano. Roberto, un giovane batterista (Michael Brandon), è ossessionato da uno strano individuo, un signore di mezza età distinto ed elegante, che sembra pedinarlo in continuazione, dalla strada al posto di lavoro.
Una sera, uscito dalla sala di registrazione, decide di seguirlo. L’individuo si reca in un teatro dismesso, e Roberto, senza volerlo, dopo una breve collutazione lo uccide con un coltello.
Qualcuno ha visto però tutto. Non solo, ha anche fotografato la scena. Una misteriosa persona mascherata da pupazzo ha infatti fotografato l’omicidio dal loggione, e nei giorni seguenti ricatta Roberto, che confessa dopo qualche tentennamento alla moglie Nina (Mimsy Farmer) di aver assassinato un uomo.
Il rapporto tra i due è già in crisi, e la donna, molto scossa da telefonate anonime ricevute nel cuore della notte, fotografie del delitto trovate in casa durante una festa (addirittura il misterioso ricattatore troverà il modo di entrare in casa ed aggredire Roberto) decide di andarsene per un po’ di tempo, pregando il marito di fare altrettanto.
Ma Roberto tutto vuole fare fuorché fuggire davanti al misterioso ricattatore, anzi decide di indagare per suo conto. L’affare si complica quando la domestica, che aveva capito l’identità dell’assassino, e cercava di ricattarlo, viene seguita e barbaramente assassinata in un parco cittadino.
Grazie all’amico Diomede, chiamato anche Dio, (Bud Spencer), un bizzarro individuo che vive in una baracca sul fiume, Roberto decide di assumere Gianni Arrosio (Jean-Pierre Marielle), investigatore omosessuale che non ha mai risolto un caso. Ma questa volta però Gianni nota un particolare alquanto strano, e dopo un pedinamento viene assassinato nei bagni della metropolitana con un’inizione al cuore di veleno. “Per la prima volta nella mia vita ero vicino alla soluzione di un caso”, sono le sue ultime parole “ma l’assassino mi ha fermato per sempre”…
Anche Dalia (Francine Racette) l’amante di Roberto viene aggredita e brutalmente assassinata. La polizia scientifica però vuole tentare un esperimento innovativo e rivoluzionario, ovvero estrarre una pupilla della donna e vedere se la retina ha “fotografato” il volto dell’assassino nel momento della morte, sicuramente l’ultima immagine vista dalla donna. In passato l’esperimento ha dato risultati positivi, aiutando addirittura ad identificare l’assassino. Questa volta però l’immagine ottenuta è ambigua: quattro mosche grigie disposte a semicerchio…
Che significato hanno le quattro mosche? E soprattutto chi è l’assassino?
Questa la trama di QUATTRO MOSCHE DI VELLUTO GRIGIO, terzo film di Dario Argento, datato 1971. Il film chiude la trilogia dedicata agli animali (L’UCCELLO DALLE PIUME DI CRISTALLO, il primo film, e IL GATTO A NOVE CODE, il secondo).
Cominciamo con il dire, come ben sanno i fan del regista romano, che è un film introvabile, poiché non è mai stato distribuito in VHS nè tantomeno in DVD. E’ disponibile su Internet un file registrato da RETE4, ma con qualità molto mediocre. Però pur sempre meglio che niente. Un film che sembra quasi essere stato disconosciuto da Argento, che in una intervista ha affermato di non avere in casa neanche un suo film, perché non li guarderebbe mai per paura di trovare numerosissimi errori ed imperfezioni.
Ciononostante QUATTRO MOSCHE DI VELLUTO GRIGIO è un giallo (sarebbe improprio definirlo horror) dignitoso, con molti spunti che poi troveremo nella produzione successiva argentiana. Basti pensare alla scena dell’ingresso nel teatro (tendine che si scostano) che sarà ripresa quasi identica in PROFONDO ROSSO, così come la faccia del pupazzo, per non parlare della pazzia e del timore di essere chiuso in manicomio (tematica anch’essa presente in PROFONDO ROSSO). Oppure ancora il protagonista che decide di indagare e trovare da sè l’assassino (presente in diversi film, da L’UCCELLO DALLE PIUME DI CRISTALLO A TENEBRE).
L’aspetto psicologico, pur nella sua semplicità, è trattato abbastanza approfonditamente. Questo negli incubi di Roberto, causati dai racconti di un amico scrittore (Roberto vede un’esecuzione di un uomo ghigliottinato con la scimitarra in un paese arabo, sogno che però viene sempre interrotto al momento di vibrare il colpo finale, ed il cui significato verrà chiarito solo nelle scene finali), e nella complessa figura dell’assassino (sentiamo una voce fuori campo accusare qualcuno: “Se ti danno un pugno tu devi restituirne due, e non comportarti come una femminuccia, chiaro? Io volevo un vero figlio, non un essere rammollito come te, finirai in manicomio”, stanze del manicomio che peraltro vediamo anche in diverse immagini).
Le scene cariche di tensione ed incertezza sono però spesso e volentieri interrotte da siparietti comici, dei quali francamente non vedo l’utilità. Così il postino malmenato e timoroso, così la figura burbera di Bud Spencer (scusate ma proprio non riesco a pensare il pur bravo Bud in un clichè diverso da quello che lo vede mangiare fagioli e menare sganassoni a destra e a manca in qualche bettola di infima categoria). Il culmine però si raggiunge durante una manifestazione di… arte cineraria! Eh sì, perchè qual è il luogo più naturale dove dare un appuntamento? Una mostra di bare e cofani funerari!
Ciononostante QUATTRO MOSCHE DI VELUTO GRIGIO, anche se probabilmente non il migliore di Dario Argento, è un film che merita comunque la visione, perché in qualche modo anticipa l’Argento degli anni successivi.
Bellissimo lo spunto di matrice medico-scientifica, anche se eminenti studiosi si affrettarono ad affermare che la teoria dell’ultima immagine impressa nella retina è una pura invenzione cinematografica e niente di più.
Le “mosche” del titolo vengono in qualche modo “anticipate” proprio all’inizio, quando Roberto ucciderà con un colpo di piatti al momento giusto la fastidiosa mosca che lo infastidisce.
Le musiche sono di Ennio Morricone, che utilizza in questo film una chiave rock naturalmente rigorosamente anni ’70.
Il film dura circa 105 minuti, ed è vietato ai minori di 14 anni.
Gabriele Fortino (ciao.it) 01.2005
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