Recensione film horror Phenomena
Regia: Dario Argento
Sceneggiatura: Dario Argento, Franco Ferrini
Attori: Jennifer Connelly, Donald Pleasance, Daria Nicolodi
Produzione: Italia, 1985
Durata: 109′
Note: Vietato ai Minori di anni 14
Voto: 9/10
Dopo “Tenebre“(1982), sanguinoso e agghiacciante giallo dai molteplici colpi di scena, Dario Argento torna al thriller onirico dalle suggestioni fiabesche, regalandoci Phenomena, pellicola in cui l’incubo reale è misto al sogno, alla semi coscienza, alla perdita, la riappropriazione e la ri-scoperta di una duplice identità generatrice di “doni” paranormali. È quella di Jennifer (Jennifer Connelly), figlia adolescente di un celebre attore americano, arrivata nel Canton Ticino per soggiornare nel collegio femminile intitolato al celebre musicista Richard Wagner. La ragazza, persa in un vortice di sangue e mistero, tra atroci delitti di sue coetanee e la presa di coscienza di un potere inconsueto e quanto mai spiazzante, è incline a cadere in un sonno ad occhi aperti che si immagina preludio ad una personalità schizofrenica. Niente di tutto ciò, Jennifer ha poteri telepatici attraverso i quali comunica con ogni specie d’insetto. Durante la prima notte nel collegio è subito vittima del suo sonnambulismo e, nel vagare inconscio, si conduce involontariamente, sul bordo d’un cornicione pericolante, davanti al folle assassino nel pieno d’una esecuzione. Ma cade dal bordo, vede solo la vittima morente trafitta da un lungo punteruolo e si ritrova, spaesata, impaurita e ancora semi cosciente, nel verde del bosco sottostante, in compagnia di Inga, uno scimpanzé pronto a prestarle soccorso. Inga la accompagna nella casa del professor McGregor (Donald Pleasance), brillante entomologo scozzese costretto su una sedia a rotelle e interessato a scoprire il mistero del mostro che uccide le adolescenti, avendo perso Greta, sua giovane assistente proprio di quell’età. Il professor McGregor rivede Greta in Jennifer, non solo per la comune età, ma anche per l’inusuale amore per gli insetti. E in Jennifer, con sorpresa, trova assai più di ciò, scopre una linea diretta tra le emozioni e i pensieri della giovane e quella di ogni insetto presente nel suo laboratorio. Jennnifer è da subito mal vista dalla direttrice e dalle ragazze del collegio, creduta pazza e instabile per il suo strano comportamento; ma la ragazza ha la chiave per scoprire l’orrore che si cela dietro la morte delle sue coetanee, le capacità, coadiuvata da una improbabile compagna di viaggio e di indagine (La “Grande Sarcofaga”, particolare specie di mosca divoratrice di cadaveri), di stanare l’assassino. E gli insetti tutti sono con lei, pronti a penetrare le sue emozioni, e a salvarla da morte certa in un epilogo da incubo in cui solo la giovane e lo scimpanzé resteranno in vita.
Folle e visionario come non mai, Dario Argento libera, forse per l’ultima volta, nella totale compiutezza di una sua opera cinematografica, il suo impareggiabile estro visivo che mescola sogni, fiabe, incubi e paure, genio e suggestioni personali. Non inganni però il pretesto della trama di genere, che mai come questa volta serve al regista romano per evocare temi come l’amore per la natura e il rispetto per la diversità. L’ambientazione scelta, il Canton Ticino, restituisce allo spettatore gli elementi cari al costruttore di fiabe: il vento, i boschi, le valli, i fiumi, gli alberi, gli animali protagonisti; e qui, anche gli insetti. Insetti che a loro volta richiamano la personificazione di un mondo onirico (quello della protagonista, nonchè del regista), oltre che simbolico (l’insetto è simbolo del male nella tradizione biblica, ma è anche noto per le sue capacità telepatiche e sensoriali). Proprio il simbolismo inteso come malefico (e disturbate – gli insetti fanno schifo un po’ a tutti), serve ad Argento per rovesciare suggestioni religiose e credenze popolari, per incontrare un tema che, pur velatamente, è presente in altre pellicole argentiane: la diversità. Jennifer ne è l’emblema, e il suo amore per gli insetti ne è l’evidente manifestazione. Vespe, lucciole e mosche, diventano, insieme alla ragazza, alla scimmia e all’entomologo, i veri eroi della pellicola, sensibili al richiamo d’aiuto di un’ anima sperduta e vagante tra un terrificante mondo conscio ed un imperscrutabile universo inconscio. L’unità, la ricongiunzione dei mondi di Jennifer, avviene proprio quando ella, in qualche modo, accetta il suo dono telepatico e la sua natura, quando questo dono serve, oltre che a ricomporre l’identità frammentata, a sconfiggere il male nella sua manifestazione fisica più cruenta e insensata: il delirio omicida.
La parte di Jennifer è interpretata dall’allora giovanissima Jennifer Connelly (attrice premio Oscar per “A beautiful mind” e interprete di numerose pellicole, tra le quali mi piace ricordare “Requiem for a dream” di Darren Aronofsky), la
quale rivela, nel candore degli abiti bianchi che la adornano, una bellezza acerba e virginale che di li a pochi anni diverrà sensuale e assoluta. Donald Pleasance è l’entomologo (lo ricordiamo nell’horror di Carpenter “Il Signore del male” e in altre pellicole di genere, tra le quali il noto “Halloween“), mentre a Dalila Di Lazzaro e – come di consueto e in particolare – Daria Nicolodi vengono affidati personaggi che servono a sollecitare l’inquietudine
dello spettatore.
Dario Argento sceglie ancora una volta un registro che valorizza l’impatto visivo, lasciando la congruenza della trama in secondo piano. Ed essendo Phenomena una sorta di fiaba nera, seppur differente da “Suspiria” e “Inferno“, tutto ciò risulta essere ampiamente condivisibile. L’incipit della pellicola è magistrale (si apre subito con una riuscitissima sequenza che si conclude con una morte), tutto teso a risaltare il contesto geografico, naturale e “orrorifico” in cui si snoda la narrazione, da subito supportata da una splendida colonna sonora (forse la migliore dei film di Argento) che alterna le consuete atmosfere dei Goblin e Simonetti al rock duro degli Iron Maiden, passando per Bill Wyman. Tra le innumerevoli trovate ad effetto del film, è d’obbligo ricordare il volto d’uno dei mostri più inquietanti della galleria argentiana, quel bimbo dal volto deforme (anch’egli emblema della diversità) che, nel voltarsi lentamente, ha regalato incubi duraturi a tanti adolescenti e non solo (ancora visibile, immagino, in via dei Gracchi a Roma, nel negozio-museo che prende il nome dall’opera più nota in Italia del regista: Profondo Rosso). L’ultima scena, velata di poesia, richiama ancora la valorizzazione della diversità: in un profondo e sincero abbraccio si ritrovano Jennifer e lo scimpanzè Inga, lontane dal mondo e dall’incubo oramai concluso, forse unite per sempre, nella notte che le accoglie e le protegge; che le immortala in un quadro quasi commovente. Proprio come in una fiaba malinconica.
In conclusione, un vero Argento D.O.C., quello che ancora sapeva risvegliare gli incubi adolescenziali e che lasciava a briglia sciolta il suo enorme genio visivo senza perdere il filo delle cose: poco concettuale e creativamente delirante. Quello che ci piace e che vorremmo tanto poter riassaporare.
Federico Magi, 29.11.200