Recensione film horror Oxford Murders – Teorema di un Delitto
Regia: Alex de la Iglesia
Sceneggiatura: Jorge Guerricaechevarria, Alex de la Iglesia
Attori:John Hurt, Elijah Wood, Leonor Watling
Produzione: Francia, Spagna, 2008
Durata: 107′
Voto: 6/10
Sulla scia del successo de “Il Codice Da Vinci” esce due anni dopo “Oxford Murders – Teorema di un Delitto“, che segue la falsa riga del colossal affrontando temi filosofico-matematici (e non artistici, come il suo predecessore).
Martin è un volenteroso studente americano laureando in matematica e logica. Il suo sogno è fare la tesi seguito dal professor Sheldon (John Hurt), docente del campus di Oxford scorbutico e introverso, tuttavia considerato un genio nel suo campo. Il giovane, perciò, si trasferisce in Inghilterra e comincia a frequentare tutte le lezioni e le conferenze tenute dal suo adorato professore facendo di tutto per catturarne l’attenzione (per esempio si dichiara sostenitore del numero “Фi” tanto odiato da Sheldon).
L’invalicabile riottosità del burbero docente, purtroppo, non sarà l’unico duro ostacolo per il povero Martin. Egli, infatti, ormai fuori sede, si stabilisce nella cittadina scozzese e neanche il tempo di varcare la soglia del grigio pensionato dove alloggerà che già fa l’amara conoscenza dell’anziana proprietaria del posto, malata e paranoica, di sua figlia, Elisabeth, isterica e repressa, e del suo compagno di stanza, matematico anch’egli ma soprattutto rifiutato più volte da Sheldon e per questo schiacciato dall’odio per il luminare.
Il rapporto tra Martin e il professore nasce e si consolida nel modo meno atteso: i due trovano la donna che gestisce la pensione soffocata. Vicino al corpo della vecchia è scritta, in tedesco, attraverso le pedine di un gioco, la parola “cerchio”, simbolo disegnato anche su un biglietto fatto recapitare al professore. Tutto ciò spinge lo studioso a sospettare che l’assassino gli stia lanciando dei segnali, perciò si sente il vero obbiettivo. Così iniziano tutta una serie d’indizi sul fatto che l’assassino voglia sfidare Sheldon ad un duello d’intelligenza (attraverso la soluzione della serie di Fibonacci) a cui si aggiunge l’elemento comune alle vittime: tutte, chi per un motivo chi per un altro, sono vicine alla morte; se l’assassino avesse voluto mirare alle persone e non al professore avrebbe scelto individui sani. Nel frattempo Martin aiuta la polizia e lentamente conquista la stima di Sheldon con il quale, quasi di conseguenza, nasce una “sfida dentro la sfida”, ovvero i due fanno a gara per arrivare prima dell’altro alla soluzione del mortale rompicapo logico-matematico, scoprendo, fra le altre cose, anche di aver avuto la stessa donna.
Un film non per tutti, che per i più potrebbe risultare un po’ pesante e poco emozionante. Infatti, i colpi di scena sono pochissimi e la totalità della pellicola è basata sulla matematica, elemento che se da un lato rappresenta una piacevole caratteristica di distinzione, dall’altro rende “Oxford Murders – Teorema di un Delitto” adatto soltanto alla cerchia di chi comprende i “grattacapi” della matematica. Sembra quasi, infatti, che il regista inviti lo spettatore non tanto a scoprire l’assassino (sempre se tale lo vogliamo definire…) quanto a cercare di risolvere insieme ai protagonisti il cervellotico indovinello. Inoltre, il fatto che i personaggi già dall’inizio siano tutti così strani rende la pellicola poco credibile. Insomma possibile che l’unico “normale” sia Martin? E poi, era proprio necessario dedicare intere sequenze ad alcune figure secondarie? Infatti, se la presenza dell’infermiera Lola può essere spiegata dall’abitudine di inserire sempre e comunque una bella ragazza in una storia, qualsiasi essa sia (anche se si sta parlando del bullone di una ruota), il ruolo del coinquilino mi resta davvero poco chiaro…
Alla fine si scopre che tutti quei biglietti dai mistici simboli erano un depistaggio, c’è spazio anche per la storia di un collega di Sheldon che impazzisce per risolvere dei calcoli matematici (e su questa comparsa abbiamo l’unica scena splatter del film)… Dunque sembra quasi che la morale del lungometraggio di Alex de la Iglesia sia “troppa matematica fa male”… o che dietro indecifrabili enunciati ed intricati rebus dai nefasti giochi di parole, come spesso accade, si nasconda una soluzione banale.
Belle le ambientazioni, tipicamente inglesi.
Gli attori che compongono il cast non sono il massimo, ma compiono il loro dovere senza infamia e senza lode, Elijah Wood (Martin) ha il suo secondo ruolo da protagonista dopo quello di Frodo nel famoso “Il signore degli anelli”.
Appena la sufficienza.
Clementina Zaccaria, 10.05.2008