Recensione film horror Old Boy

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OLD BOY

Nazione: Corea del Sud 2004
Regia: Park Chan-Wook
Soggetto e sceneggiatura: Nobuaki Minegishi, Garon Tsuchiya, Park Chan-Wook
Cast: Choi Min-Sik, Yoo Gi-Tae, Gang Yie-Yung
Musica originale: Young Wuk-Cho
Fotografia: Chung Hoon-Chung
Produzione: Young Shoo

La locandina di questo film ci presenta Choi Min-Sik, il “Johnny Depp coreano”, decisamente adirato e impugnante l’arma con la quale vuole consumare la sua vendetta.
Già, non aspettatevi di trovare in questo film le perle di filosofia orientale che inneggiano alla pace dello spirito, perchè “Old Boy” ci mostra il lato oscuro di ognuno di noi, con una vendetta bilama che finirà per fare veramente sfaceli.
Sono sempre più i prodotti del cinema orientale che, sulle orme del cinema hollywoodiano, si collocano nella zona oscura tra il genere thriller ed il genere horror e “Old Boy” non si sottrae a questa consuetidine, ma almeno questa volta giunge sul mercato italiano l’originale coreano e non un rifacimento occidentalizzato.

Dae-Su è il protagonista del nostro film, un dongiovanni che ha coltivato la sua passione per il bullismo e la trasgressione fin dai tempi della scuola, conservando anche da sposato la passione per le donne e l’alcol.
Un bel giorno, mentre chiama qualcuno da una cabina telefonica, uno strano signore gli si avvicina e se lo porta via e lo rinchiude in una stanza con arredamento minimalista.
L’unica comunicazione con il mondo esterno avviene per mezzo di una parte scorrevole della porta d’entrata che il carceriere apre per nutrirlo e per sentirlo lamentarsi e supplicarlo.
In questa stanza, Dae-Su ha un letto per dormire, un angolo bagno e pochissimo altro, compresa una televisione e comprese pareti tappezzate contro le quali scaricare la propria rabbia.

Dae-Su rimane dentro quella stanza per quindici lunghissimi anni, la sua unica compagna è la televisione, dalla quale apprende che è ricercato per l’omicidio della propria moglie e che la polizia lo crede “sparito nel nulla” da più di un anno, ma lui sa di essere innocente e prigioniero allo stesso tempo, ma non sa di chi, nè perchè.
Dae-Su piano piano capisce che il suo soggiorno in quella prigione sarà molto lungo e quindi si abitua alla televisione 24 ore su 24, prepara con rabbia e decisione la sua vendetta, allenandosi a tirare pugni e calci contro un muro e cerca anche di aprirsi molto lentamente nei mesi un varco nella parete.
Si abitua anche al gas che viene diffuso nella stanza per stordirlo e probabilmente drogarlo, si abitua alla musichetta che lo preavvisa di queste inalazioni e al rito della pappa quotidiana.
Si abitua, perchè 15 anni in 10 metri quadrati, con una televisione, un letto e un cesso devono essere una vera e propria tortura, lasciato solo come un cane e nutrito come un cane.

Ma un giorno, passati 15 anni, una donna si siede accanto a lui nel letto e in un misto tra realtà e allucinazione, Dae-Su si ritrova inaspettatamente libero, sul tetto di un grattacielo.
Ora il suo unico scopo sarà scoprire chi ha voluto che lui passasse 15 anni in quel modo e soprattutto perchè, visto che in 15 anni ha pensato ad ogni possibilità, ad ogni persona a cui ha fatto un torto anche minimo, e ora vuole sapere e vuole vendicarsi.

Dovrei fermarmi qui per incuriosirvi al punto giusto senza svelarvi niente e quindi parlerò molto poco dei personaggi; vi dico solamente, ma era scontato, che ad aiutarlo ci sarà una ragazza, con la metà dei suoi anni, e che ovviamente i due si sentiranno attratti dal primo minuto del loro incontro.
Ci sono poi individui oscuri e criminali con gusti decisamente sadici, ma il mandante della tortura durata quindici anni sembra proprio che voglia giocare con Dae-Su, sembra quasi che voglia farsi trovare…

Gli interpreti di questa pellicola sono tutti orientali (credo tutti coreani) e i tre principali sono a mio parere dei bravi attori.
La sceneggiatura prende spunto da un manga di fine anni novanta che si basava appunto sul concetto di vendetta e devo dire che l’introspezione dei tre personaggi principali è fatta molto bene e che lo spettatore riesce ad entrare dentro il film e ad appassionarcisi nonostante la lentezza di alcuni tratti e le quasi due ore di durata.
Un capitolo a parte merita la regia di Park Chan-Wook, che riesce a colpire lo spettatore con tecnicismi funzionali al trasporto emotivo del momento e non fini a se stessi; il film risulta allo stesso tempo emotivamente penetrante (le fasi iniziale di tortura) e visivamente “cattivo” (denti strappati, lingue tagliate) proprio grazie al lavoro di regia e montaggio.
All’ultimo festival di Cannes infatti questo film si è aggiudicato il Gran Premio della Giuria (o qualcosa del genere), ma soprattutto la standing ovation e la dichiarazione d’amore di Quentin Tarantino, che ha dichiarato che avrebbe voluto girare lui questo film in questo modo, insomma il regista koreano può dichiararsi soddisfatto.

Concludendo, ricordo che “Old Boy” è un film a tratti cruento e a tratti violento emotivamente, un film che propone la vendetta come personaggio principale della nostra vita senza denunciarne la negatività, un film che prende a pugni lo stomaco e la mente insomma.
Consigliato! 

Adriano Lo Porto Maggio 2005

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