Recensione film horror Nella Giungla di Cemento
Regia: Albert & Allen Hughes
Sceneggiatura: Tyger Williams
Attori: Tyrin Turner, Larenz Tate
Produzione: U.S.A. 1993
Durata: 97’
Note: Vietato ai Minori di anni 14i
Voto: 8,5/10
Il film di cui vi parlo oggi è “Nella giungla di cemento” (ahhhh quello!) dei fratelli Hughes (ahhhhhhhh looooro!!), titolo originale “Menace II Society” (ora ci siamo….).
Per la prima volta da quando scrivo recensioni cinematografiche mi trovo d’accordo con coloro che hanno modificato il titolo originale per distribuirlo in Italia; il titolo originale non mi soddisfa, non chiedetemi perché, trovo che suoni male, invece quello italiano rende benissimo l’idea del film e suona anche meglio.
La giungla di cemento del titolo è la strada, precisamente il quartiere Watts di Los Angeles abitato solamente da afroamericani che è stato teatro, negli anni tra il Sessanta e l’Ottanta (all’inizio ci sono immagini dell’epoca), di violenti scontri e di sanguinose repressioni, insomma un focolare dell’eterna e stupida lotta tra bianchi e neri.
Mi piace un sacco la definizione “Giungla di cemento”, perché esprime bene la difficoltà di districarsi all’interno della vita di strada, bisogna avere le amicizie giuste e non sgarrare con i potenti, devi stare attento anche solo a guardare storto una persona perché rischi la vita, poi trovi ragazzine-madri e ragazzini-carcerati, sangue, pistole, droga, alcol e quant’altro.
La pellicola si apre con una scena di violenza inaudita, i due amici Caine e O-Dog entrano in un supermercato gestito da una coppia orientale che fa l’errore di temere che i due possano derubarli; O-Dog va su tutte le furie, ma decide di pagare le due birre che i due giovani prendono, fino a quando il padrone del supermercato non si lascia andare ad una frase tipo “Su da bravo, non vogliamo casini, torna a casa da tua madre”; beh il simpatico e tranquillo O-Dog tira fuori la sua pistola e uccide il malcapitato, si fa dare la cassetta della telecamera a circuito chiuso dalla moglie e preleva qualche dollaro dalle tasche del cadavere.
Questa è la prima scena e tutto il film sarà un susseguirsi di scene sanguinolente e violente, tra amicizie, parentele, scontri fra gang, alcol, armi, sesso, droga e rap.
Il protagonista assoluto della vicenda è Caine, un ragazzo che tutto sommato può dirsi fortunato rispetto ai suoi amici, almeno lui ha un bella casa dove stare; Caine vive con i suoi nonni perché il padre (interpretato da Samuel Lee Jackson) era troppo potente ed impulsivo per sopravvivere nella giungla di cemento e la madre troppo cocainomane per sopravvivere sulla Terra.
Caine fin da bambino è stato testimone di omicidi del padre e di buchi di sua madre ed è stato cresciuto da un amico di famiglia, Pernell, un ragazzotto più grande di lui di qualche anno che gli faceva maneggiare le pistole e gli insegnava come cavarsela nella giungla di cemento e che ora passa i suoi anni in prigione.
Gli amici di Caine spaziano un po’ nel mondo dei disagiati, c’è il violento O-Dog, l’annoiato A-Wax, uno drogato perso, l’altro spacciatore, un giocatore di football, l’altro che scalda la sua cella al penitenziario.
Stranamente, nemmeno in un film così violento crudo, può mancare la storia d’amore, che è il motore dell’ambiguità nel carattere di Caine, ragazzo violento o fidanzato premuroso e padre affettuoso (di un figlio non suo per altro…)?!
In questo periodo mi riscopro grande ammiratore di quelle sceneggiature che approfondiscono la caratterizzazione dei personaggi e anche in questo film la cosa è ben fatta; basta un minuto di azione per capire la “qualità” di un protagonista e i rapporti tra i personaggi, soprattutto quello amoroso, sono ben affrontati.
Il soggetto è stato ideato dai fratelli Hughes e sviluppato da Tyger Williams, che ha quindi firmato una buona sceneggiatura, con un morto ogni dieci minuti circa…
Per certi versi mi ricorda un paio di film visti di recente: “8 Mile” per il gergo giovanile, la musica rap e le lotte tra gang e “Training Day” per la violenza e il racconto della vita di strada.
La regia dei fratelli Hughes rende molto bene l’ambientazione del film e segue con mosse interessanti le vicende dei protagonisti; a dividere le diverse azioni, o meglio i diversi capitoli, parecchie dissolvenze su schermo nero che danno il ritmo giusto alla narrazione.
Buona anche la colonna sonora, che in un quartiere così non poteva che essere fatta di quel rap nero che ora come dieci anni fa domina la scena nei quartieri disagiati.
Leggo sul retrocopertina che il film ha avuto un buon successo a Cannes nel 1993, ma sinceramente io non lo conoscevo e nemmeno sapevo che i registi erano gli stessi di “From Hell, la vera storia di Jack lo squartatore”.
Nel film si può rilevare anche una buona dose di rimandi alla questione razziale, fortissima in quel quartiere, dove nel 1965 ci fu la rivolta del ghetto che i registi ci raccontano con qualche immagine dell’epoca.
Questo film racconta di un microcosmo, quello del quartiere dei “negri”, come si appellano i ragazzi fra di loro; lo spettatore entra nel loro mondo e non può fare a meno di sentirsi parte del loro microcosmo, anche se in realtà noi siamo come quei poliziotti bianchi che li arrestano e li pestano a sangue senza nessun motivo e poi li scaricano nel quartiere degli ispanici sperando che i due ragazzi ricavino un’altra manica di botte.
Insomma non so come dire, questo non è un film contro il razzismo, certo gli ispanici si rivelano dotati di maggior senno dei poliziotti, nella rappresentazione di una sorta di “Internazionale degli Immigrati” che solidarizzano tra loro nella terra dei bianchi; i bianchi sono i poliziotti bastardi che picchiano senza motivo, ma non bisogna dimenticare che i “negri” si ammazzano tra di loro, forse il messaggio è proprio questo, non è una questione di essere bianchi, neri, gialli o ispanici, “nella giungla di cemento” si lotta per la sopravvivenza e non si guarda in faccia a nessuno.
Adriano Lo Porto Settembre 2004