Recensione film horror Mulholland Drive
Regia: David Lynch
Sceneggiatura: David Lynch
Cast: Naomi Watts, Laura Elena Harring, Justin Theroux
Origine: U.S.A./Francia, 2001
Distribuzione: 01 Distribution
Voto: 5/10
“Mulholland Drive” è un film scritto e diretto da David Lynch e interpretato da Naomi Watts e Laura Elena Harring.
Lynch si diverte a mandarci in panico. La trama è abbastanza lineare fino a metà film, tolto qualche segnale iniziale di squilibrio; poi perviene il teatro del “Silencio”, un teatro in cui silenzio, parole, suoni e percezioni sono rarefatti e non rispondono alle solite leggi. È questo il momento della svolta, dopo inizia un altro film che voglio cancellare dalla memoria. Se fosse stato diverso mi sarebbe piaciuto di più tutto l’insieme.
Questo film ha fatto parlare di sé e anche molto, come forse ogni film di Lynch. Difatti le sue sceneggiature sono puzzle che forse solo la sua mente può ricostruire alla perfezione; potete cercare nelle infinite pagine di internet, troverete moltissime cose interessanti, molte interpretazioni sulla trama del film, che sconvolgono la concezione della prima parte del film (sogno compensatorio o revisione post-mortem di una delle due protagoniste?!).
Per la trama ci sono diverse interpretazioni, ma sul perché di quest’opera nessuno ha dubbi e direi che l’opinione che meglio esprime questa cosa è la seguente: “Lui (Lynch) fa praticamente quello che gli pare, e sembra che non gli importi un emerito cazzo di piacere alla gente, o anche solo di essere capito”. (David Foster Wallace)
Il film inizia con un gruppo di gente danzante, come “Dirty Dancing” insomma (anche se più che “dirty” qui sono “hot-headed” e lascio alla vostra curiosità la traduzione); poi una veloce passata su quello che sembra un letto e arriviamo alla scena dell’incidente. Siamo sulla Mulholland Drive. Una ragazza bruna siede sul sedile posteriore di una macchina di lusso. La macchina rallenta e si ferma, la ragazza capisce che c’è qualcosa che non va, “Ehi ma che succede?! Non dovremmo fermarci qui!”. Nel frattempo arrivano a tutta velocità delle macchine cariche di ragazzi saturi di alcol ed euforia. La prima macchina evita per miracolo l’ auto ferma, la seconda la prende in pieno.
Un incidente disastroso, la ragazza bruna però è sopravvissuta, barcolla un po’, ma si tiene in piedi, attraversa un piccolo boschetto. Non sa dove andare, ma sa che deve scappare. Sa che si trova in pericolo, sa che ha avuto un incidente. Oltre non sa.
Si rifugia in un casa vuota. È sola per poco. Infatti sopraggiunge Betty, una ragazza che vuole coltivare a Hollywood il suo sogno di diventare un’attrice, e la trova sotto la doccia. Si stupisce, ma non si insospettisce. Pensa che sia un’amica della zia che le ha lasciato la casa per qualche settimana. La bruna inizialmente approfitta della sua ingenuità, ma poi le dice che ricorda solo di aver fatto un incidente e poi di essersi rifugiata in quella casa.
Tra l’incidente e l’arrivo di Betty c’è una sequenza piena di mistero. Due tizi sono in un bar, uno dei due racconta all’altro un suo incubo. È una situazione tipo paziente e psicoanalista. Il “paziente” trema spaventato, mentre racconta all’altro ogni cosa, descrivendo tutti i dettagli. I due si alzano cercando di ricostruire il sogno. “Dietro quest’angolo c’è un mostro e poi mi sveglio”, il mostro appare davvero e il ragazzo/paziente muore di infarto.
Betty, appassionata di cinema, sente di vivere in un thriller e aiuta Rita, (il nome falso riferito dalla bruna), a recuperare la sua identità, a scavare nel suo passato, a informarsi sull’incidente della Mulholland Drive; con questa storia si incrociano le vicende personali del regista Adam, che litiga con dei produttori enigmatici perché loro vogliono che la protagonista sia una certa Camilla Rhodes, lui invece vuole scegliere liberamente, ma glielo impediscono. Adam si ribella e gli viene tolto l’incarico di dirigere il film; torna a casa e trova la moglie con un altro. Poi ha un incontro con un uomo ancora più misterioso, il cowboy.
E che dire di un killer tanto improvvisato quanto maldestro che uccide il suo socio simulandone il suicidio, ma poi spara involontariamente un colpo verso la camera di fianco e allora deve uccidere anche l’inquilina e poi anche l’uomo delle pulizie accorso perché richiamato dagli spari?!
Intanto Betty, in piena notte, accompagna Rita in un teatro. La bruna ha avuto, infatti, un’illuminazione e deve seguire ogni pista possibile. Dopo il teatro, “silencio”, dopo il teatro tutto cambia.
Forse nemmeno la prima parte è lineare come ho detto all’inizio, per lo meno lo è il filone principale che vede come protagoniste Rita e Betty.
Gli interpreti principali sono tre e le due donne protagoniste sono davvero brave a reggere il copione di Lynch, si prestano a scene lesbiche e a mostrare qualche parte del corpo, ruoli audaci insomma, che le due protagoniste, Laura Elena Harring (Rita) e Naomi Watts (Betty), sopportano egregiamente.
Il terzo, non incomodo, è Justin Theroux, l’interprete del regista Adam, anche lui ben calato nel ruolo di un ricco e viziato regista, che tra la Porsche, la villa con piscina e la mazza da golf dalla quale non si separa mai, rimane vittima di un disegno superiore, senza capire, senza adeguarsi, perdendo tutto. Allora capisce che forse è meglio adeguarsi e ritorna in auge in un momento.
Ho lasciato per ultimo questo pazzo David Lynch. Per curiosità ho sbirciato la sua biografia e devo dire che è davvero un’artista poliedrico. Ha fatto di tutto nell’ambito dell’industria cinematografica: attore, regista, produttore, sceneggiatore, montatore, compositore, scenografo, direttore della fotografia e curatore degli effetti speciali. Per il film “Erasehead – la mente che cancella” del 1977 ha fatto tutto tranne l’attore e il direttore della fotografia. Davvero incredibile.
Ha scritto e diretto tra gli altri anche film “suoi” come “Lost Highway” e “Una storia vera”, ma anche “classici” come “Dune” e “Elephant Man”. Ha scritto e diretto la serie di “Twin Peaks” e interpretato qualcuno dei suoi film come fa anche il buon Sam Raimi.
La regia è di buona fattura, restano i silenzi penetranti, le inquadrature interessanti, l’idea del “metacinema” nei pochi attimi di recitazione nella recitazione, l’oscurità dominante, la scena da horror in cui il sogno diventa realtà e la paura uccide un ragazzo. Tuttavia, come sceneggiatore Lynch mi lascia un po’ interdetto, anche se più mi informo e più leggo interpretazioni disparate, più diventa positivo il mio giudizio.
Si è, da più parti, sottolineato come Lynch faccia un cinema “diverso”, un cinema anti-commerciale, un cinema che scioglie le convenzioni e lacera le convinzioni, un cinema tutto suo. C’è anche chi azzarda un’ipotesi tanto curiosa quanto strana: “E se Lynch stesse normalizzando un’anomalia?” (Gianluca Pelleschi), ovvero, e se fosse quello di Lynch il cinema puro e tutto il resto solo una distorsione dell’originale?
Non saprei, ma più che un genio incompreso rimane ancora un genio incomprensibile.
Adriano Lo Porto 12.01.2003