Recensione film horror La Nave Maledetta – recensione del film
Regia: Amando De Ossorio
Soggetto e Sceneggiatura: Amando De Ossorio
Attori: Maria Perschy, Jack Taylor, Barbara Rey
Produzione: Spagna, 1974
Durata: 89′
Note: Vietato ai Minori di anni 14
Voto: 6/10
Due modelle vengono scelte per un’improbabile campagna pubblicitaria: l’attraversata di un braccio di mare senza mai cambiare rotta. Improvvisamente, lungo il loro percorso, si imbattono in quello che appare come un vascello fantasma. Intanto la migliore amica di una delle due, i pubblicitari e uno studioso di storia antica si mettono sulle loro tracce…
Dopo un breve preambolo di presentazione dei personaggi, la m.d.p. si sposta a bordo della barca dove si trovano le ragazze. Caldo e nebbia avvolgono le due quando all’orizzonte appare improvvisamente il vascello. Dopo essere state speronate dalla nave, le modelle si attraccano con un’ancora e la più curiosa decide di salire a bordo: non farà più ritorno. Il film, in pochi minuti, entra nel vivo della narrazione.
“La nave maledetta” è estremamente elementare, è privo di intreccio, manca completamente di suspense, e con un minimo sforzo di intelletto possiamo addirittura capire come andrà a finire. Eppure contiene delle impennate di incredibile terrore e una sequenza piuttosto splatter, di cui non parlerò per non rovinare nulla ai curiosi.
L’ordine dei Templari era nato da una libera scelta di alcuni “cavalieri timorati di Dio” con lo scopo di difendere la cristianità nel mondo. I Templari riscossero simpatia tra re, nobili e religiosi per giungere fino al Papa; grazie a questo, riuscirono ad accumulare immense ricchezze, fino a quando il re Filippo Il Bello non gettò su di loro accuse infamanti quali l’omicidio, la sodomia e molte altre. La congrega fu sciolta e i loro appartenenti incarcerati e in seguito trucidati in massa.
Da qui la leggenda che li vuole pazzi sanguinari, dediti all’omicidio e al saccheggio, e in cerca di vendetta. Si dice che nelle zone più depresse della Spagna aleggino ancora credenze legate ai Templari.
“La nave maledetta” rientra nella quadrilogia nota come “La Saga dei Resuscitati Ciechi”, insieme a “Le Tombe dei Resuscitati Ciechi” (1971), “La Cavalcata dei Resuscitati Ciechi” (1972) e “La Notte dei Resuscitati Ciechi” (1974). La raccolta si basa sulla leggenda che vi ho raccontato poco sopra, alla quale De Ossorio aggiunge il particolare inquietante della privazione degli occhi, prima di essere arsi vivi, affinché i cavalieri non potessero, in caso di resurrezione, trovare la strada per tornare dall’inferno al mondo dei vivi: ma, ugualmente, ogni cinquecento anni essi tornano in vita per perseguitare i pronipoti dei loro aguzzini.
“Le tombe dei resuscitati ciechi” ebbe un successo enorme in Spagna e De Ossorio si decise a girare una vera e propria saga che avrebbe dovuto concludersi con il quinto episodio dedicato ai legami satanici tra i Templari e i lupi mannari. Il progetto non andò mai in porto.
L’aver rappresentato questi “nobili cavalieri timorati di Dio” come vere e proprie mummie, prive di ossa, senza occhi e ricoperte da pesanti e scuri mantelli, lemmi nei movimenti ha decretato il successo e l’originalità della fantasia di De Ossorio, in un’epoca in cui al cinema tutti impazzivano per gli zombi.
E bisogna ammettere che i Templari di De Ossorio terrorizzano ancora, soprattutto la loro apparizione nell’ultima sequenza, costruita in maniera magistrale, e assolutamente inaspettata.
I due agenti pubblicitari riescono a salvarsi e approdano, sfiniti dalla nuotata, su un’isola deserta. Sembra che ce l’abbiano fatta, ma la m.d.p. inquadra per brevi secondi gli incappucciati che emergono, lentissimamente, dall’acqua; poi li riprende in panoramica che si avvicinano sempre di più ai due malcapitati. Quando i due finalmente se ne accorgono è ormai troppo tardi: i Templari li hanno circondati e con le loro teste scheletriche oscurano il cielo azzurro. Finale da brivido, condito dalla orrorifica ma bellissima musica di Garcìa Abril.
Per un ragazzino di oggi, avvezzo alle tecnologie odierne e a film interamente girati con sofisticati software, gli effetti speciali di questo film possono risultare poveri, rozzi e insignificanti. Eppure proprio nella loro essenza nascondono qualcosa di genuino, nella loro povertà si trova tutto il significato di paura e terrore a quei tempi, nella Spagna franchista.
Effettivamente il film ebbe parecchi problemi: avrebbe dovuto essere girato in Galizia, ma il set fu poi spostato in Portogallo perché l’intellighenzia spagnola non lo riteneva il linea con l’idea che Franco voleva che gli stranieri avessero della bella e assolata Spagna: una regione che viveva di turismo non poteva mostrare di credere a leggende su cavalieri che tornano dal passato per mietere vittime innocenti!
Questo film e gli altri della saga sono pressoché sconosciuti in Italia e all’estero. Ma il suo regista, De Ossorio, era noto ai suoi colleghi stranieri come un autore raffinato e severo per quanto riguarda l’allestimento delle scenografie. Lo possiamo notare nella cura dei particolari: l’ossatura delle mani dei Templari, le bare dove sono deposti, le pettinature delle attrici e i loro abiti. È da notare poi che il film sembra girato con due stili diversi: nel mondo dei vivi si respira un’aria un po’ da “swinging london” spagnola con colori molto squillanti, vivi e pieni di contrasti, mentre a bordo del vascello fantasma regna un buio profondo dove a malapena si riescono a distinguere i contorni delle figure, dove non esistono mezzi toni e dove tutto è appiattito dalla nebbia calda e soffocante. Potremmo dire le due facce della Spagna: in superficie patinata e colorata, nel profondo assopita dalla grigia burocrazia franchista, ignorante e ancorata a stupide credenze popolari.
Oltre a cercare un set in Portogallo, De Ossorio si preoccupò di aver un direttore commerciale, Victor De Costa, e un cineoperatore portoghesi, per scampare meglio agli ingranaggi della censura franchista.
Fu accusato, invece, di essersi ispirato alle poesie di un poeta sivigliano dell’800, Gustavo Adolfo Béquer; il regista si difese sempre sostenendo che negli scritti di Béquer i Templari assomigliavano più a spiriti eterei che tornavano dal mondo dei morti, mentre i suoi cavalieri erano rappresentati come vere e proprie mummie, quindi aventi ancora una corporeità.
Violetta Armanini, 15.10.2007