|
ANNO: 1970
DURATA: 98’
REGIA: Dario Argento
SOGGETTO E SCENEGGIATURA: Dario Argento
CAST: Tony Musante , Suzy Kendall, Enrico Maria Salerno, Eva Renzi, Umberto Raho
Musica originale: Ennio Morricone
FOTOGRAFIA: Vittorio Storaro
PRODUZIONE: Titanus
|
Voto: 10/10
Sam Dalmas (Tony Musante) è uno scrittore americano che, in crisi di ispirazione, è venuto a passare qualche mese a Roma nella speranza di ritrovare un po’ della sua “vena”. Una sera, tornando a casa, assiste ad una scena inquietante: dietro la vetrata di una splendida galleria d’arte, una donna sta avendo una colluttazione con un uomo vestito di nero, che alla vista di Sam si dà alla fuga. La donna è Monica Ranieri, proprietaria della galleria assieme a suo marito: è ferita, ma si salverà. Subito arriva una pattuglia della polizia, guidata dal commissario Morosini (Enrico Maria Salerno), che interrogherà a lungo Sam, anche perchè questi ammette di aver notato un particolare che al momento gli sfugge, ma che potrebbe essere determinante per le indagini. Ed è proprio per questo motivo che lo scrittore comincia a collaborare attivamente con la polizia alla ricerca dell’uomo vestito di nero, che potrebbe essere l’assassino che da mesi terrorizza la città di Roma uccidendo ragazze sole in posti isolati…
Sam e il commissario scopriranno la chiave di tutto in un inquietante quadro naif che raffigura un uomo che sevizia una bambina e nel verso di uno strano uccello, appunto “l’uccello dalle piume di cristallo”, che si sente durante una telefonata in cui l’assassino minaccia Sam di ucciderlo…
Ispirato al romanzo “La statua che urla” di Fredric Brown, “L’uccello dalle piume di cristallo” è lo splendido, sorprendente esordio di Dario Argento alla regia cinematografica, dopo una “gavetta” come sceneggiatore dai risulati, stranamente, non sempre brillanti. Tra l’altro, per il giovane Argento non fu per nulla facile convincere la Titanus (all’epoca una delle più importanti case di produzione italiane) a finanziare il film, anche perchè il già famoso Bernardo Bertolucci aveva manifestato l’intenzione di realizzare una pellicola ispirata proprio al libro di Brown. Tra l’altro, il successo del film di Argento, sia in Italia che all’estero (“sbarcò” anche negli Stati Uniti, ottenendo lusinghieri consensi) fu tale che il titolo del libro da cui era tratto (“la statua che urla”) fu cambiato, nelle ristampe successive, nello stesso titolo del film.
I tratti salienti della pellicola sono gli stessi che caratterizzeranno anche la produzione successiva del regista romano: anche se le “esplosioni di violenza” sono sicuramente minori rispetto a “Profondo rosso”, “Suspiria”, “Inferno” (giusto per citare tre titoli), la tensione è comunque palpabile e lo spettatore rimane avvolto in una sorta di “velo nero” che si squarcerà soltanto nella scena finale, quando la follia dell’assassino viene alla luce in tutta la sua crudezza. Ed è proprio qui che ritroviamo una delle note caratteristiche di quella che sarà tutta la produzione di Dario Argento, e che farà coniare la definizione “giallo all’italiana”: a differenza di quanto avviene nei gialli “classici” (tra tutti, quelli di Hitchcock, alla cui opera Argento si ispira per alcuni tratti), l'”assassino” non ha un vero e proprio movente (quale potrebbe essere il denaro, o la gelosia, o l’odio, o intrighi familiari…), ma l’unica “chiave” dei suoi delitti è la follia, una follia lucida, fredda, che viene spesso evidenziata, con cura maniacale, nelle scene in cui vengono mostrati i dettagli della “preparazione” di un omicidio. Ne “L’uccello dalle piume di cristallo”, in particolare, l’assassino sceglie con cura il coltello con cui uccidere da una collezione di armi tenute con cura, come fossero gioielli rari e preziosi, infila con cura i suoi guanti di pelle nera, di ottima fattura, ed esce per andare ad uccidere, come per consumare un meticoloso rituale nel quale trova la sua stessa ragione di esistere…
Tra l’altro, non si può non notare che la splendida macchina da presa di Dario Argento (coadiuvato nella fotografia da un giovanissimo, eccezionale Vittorio Storaro) riesce a trasformare una città caotica e “solare” come Roma in un luogo buio e cupo, sottofondo ideale per incubi che prendono forma nella scintillante lama del coltello dell’assassino, in ambientazioni a volte fredde e “asettiche” (la galleria d’arte di Monica è davvero splendida) e a volte fatte di colori scuri e di sapienti “macchie d’ombra”, mentre la tensione è ulteriormente sottolineata dalle splendide, incalzanti musiche di Ennio Morricone (indimenticabile lo “score” che aumenta di intensità nel momento in cui l’assassino sta per “colpire”)…
Da vedere assolutamente!
Andrea Del Gaudio (ciao.it) 30.03.2004
SCRIVI PER OCCHIROSSI.IT
|