Recensione film horror L’occhio che uccide – recensione del film
Regia: Michael Powell
Soggetto e Sceneggiatura: Leo Marks
Attori: Carl Boehm, Moira Shearer, Anna Massey
Produzione: Gran Bretagna, 1960
Durata: 109′
Note: Vietato ai Minori di anni 14
Voto: 7/10
“L’occhio che uccide” è un film che ho visto quasi per caso, giusto perché figurava nella lista dei film tra cui scegliere per il seminario di Storia e Critica Del Cinema; è un film che mi ha colpito, non credevo che già mezzo secolo fa si facessero certe riflessioni sul mezzo foto-cinematografico e che si collegassero i traumi infantili ai crimini in età adulta; probabilmente dopo aver visto questo film di Michael Powell sarò più avvezzo ad andarmi a cercare film vecchi che possano essere ascrivibili al genere horror ed è una cosa che consiglio anche a voi di fare, dato che i maggiori amanti ed esperti di horror stentano ad apprezzare gli horror dagli anni Novanta in poi, magari avranno i loro buoni motivi…
Mark Lewis abita in un piccolo appartamento al secondo piano di una grande casa in un quartiere residenziale; la casa è tutta di sua proprietà, eppure a lui è sufficiente il suo spazio, il resto lo affitta alla famiglia Stephens e ad un altro ragazzo.
Questo perché Mark non passa molto tempo in casa sua, fa l’operatore in uno studio cinematografico e questo gli porta via la maggior parte della sua giornata, poi effettua anche foto e riprese di alcune ragazze che sembrerebbero proprio prostitute, probabilmente con la finta promessa di farle sfondare nel mondo del cinema, nel quale lui lavora.
Insomma in casa sua Mark ci sta solo per montare le sue riprese, per sviluppare in camera oscura le sue fotografie e anche per riguardarsi i filmati angoscianti di cui lui è protagonista, da bambino, quando suo padre lo tormentava con la passione per il filmare.
Eppure suo padre era un affermato scienziato, conosciuto per alcuni studi comportamentali; Mark non ama ricordare suo padre e la sua infanzia, non si capisce bene il perché, ma quello che si comprende fin da subito, anche grazie al personaggio della ragazza che inizia a frequentarlo, è che Mark ha qualcosa di importante da nascondere.
Il film è del 1960, eppure già indaga gli ambiti di intersezione tra cinema e scienze; alla fine non si riesce a cogliere con precisione a cosa mirasse il padre di Mark, ma i filmati della sua infanzia ci bastano per capire il disagio che lui ha sempre vissuto e dove e come questo disagio sia sfociato.
Molto spazio viene dato alla rappresentazione degli studi cinematografici e al mondo del cinema in generale; ci viene mostrato il regista molto suscettibile, i produttori che obbligano a stringere i tempi di ripresa perché i fondi si stanno prosciugando, la star che “non si sente in parte” e rigira mille volte la scena di uno svenimento, la controfigura della star che sogna un ruolo da protagonista.
Proprio la controfigura è al centro della scena più lunga e memorabile di questo film, in cui Mark si introduce di notte insieme a lei, Vivian, negli studi cinematografici con la scusa di girare un manciata di minuti che la renderanno famosa e invece dopo aver preparato minuziosamente la scena, con le giuste scenografie e la corretta inclinazione delle luci, ecco che esce fuori la seconda identità di Mark e…lascio a voi la visione.
“L’occhio che uccide” deve molto al successo degli horror della casa di produzione Hammer, che iniziarono a spopolare a metà degli anni Cinquanta, grazie all’acquisizione della Hammer dei diritti cinematografici su personaggi e storie gotici, che le case di produzione americane avevano saccheggiato negli anni Trenta; così, grazie anche al talento del regista Terence Fisher, i vari Frankenstein e Dracula, i licantropi e le mummie, invasero gli schermi britannici e non solo.
Grazie a questi film propriamente horror, anche qualche sceneggiatura più mitigata verso il giallo, come quella di Leo Marks per “L’occhio che uccide” videro la luce.
Concludendo, questo film di Powell è un ottimo punto di partenza per appassionarsi ai thriller/horror di una volta, se avete altri titoli da consigliarmi sapete dove scrivermi.
Adriano Lo Porto, 02.08.2007