Recensione film horror L’Arcano Incantatore
Regia: Pupi Avati
Soggetto e Sceneggiatura: Pupi Avati
Attori: Carlo Cecchi, Stefano Dionisi
Produzione: Italia, 1996
Durata: 96’
Voto: 8/10
Un seminarista, colpevole d’aver ingravidato e costretto all’aborto una fanciulla, viene denunciato al tribunale ecclesiastico; egli, pur di sfuggire alla punizione prevista dalla curia, il carcere, e allo scandalo che di lì a poco l’avrebbe travolto, accetta di “scendere a patti col diavolo”, ovvero accetta in cambio di un rifugio sicuro dove poter andare (la casa di un prete ripudiato dalla chiesa) di giurare davanti ad un misterioso soggetto di non rivelare tutto ciò che avrebbe visto nei giorni futuri e concede come pegno della promessa un cilicio di spine insanguinato che sua madre in vita usava come strumento di punizione corporale per i peccati.
Per tutta risposta, il sinistro personaggio (che dalla voce sembrerebbe una donna) lo ferisce con questo oggetto, unendo il suo sangue a quello della cara mamma come simbolo del legame eterno con il giuramento fatto; a patto esaurito, assicura il sinistro interlocutore, l’oggetto gli sarà restituito.
Il giovane parte subito alla volta della dimora di colui che scoprirà essere chiamato “L’arcano incantatore”; già durante il viaggio riceve un segnale premonitore di ciò in cui sta per addentrarsi, infatti per il giovane comincerà un’esistenza fatta di solitudine vissuta tra rumori notturni, presenze e non poche dicerie riguardo alla scomparsa di Nerio, il precedente scritturale dell’ex-prete.
Come se non bastasse, il suo padrone pratica strani esperimenti esoterici tra cui l’inquietante rito di chiamare lo spirito di uno studioso che egli riconosce come il doppio di se stesso; nonostante il giuramento prestato, l’ex-seminarista cercherà di fare luce sui misteri che avvolgono l’ambiente e le persone (vive e morte) che lo circondano, fino a che nel colpo di scena finale scoprirà la triste realtà.
Il protagonista Giacomo Vigetti (interpretato da Stefano Dionisi ) compie dunque un percorso di graduale allontanamento dalla fede e di parallelo avvicinamento graduale al maligno, entità che lo spettatore avverte come presenza reale e non astratta.
Dopo ben tredici anni, Pupi Avati ritorna all’horror dando vita ad un buon film e rimanendo sempre fedele a quei “topoi” che ancora una volta riescono a colpire ed a portare a riflessione lo spettatore; com’era stato per “La casa dalle finestre che ridono” prima e per “Zeder” poi, anche “L’arcano incantatore” è ispirato ad una leggenda locale e si basa su quel disarmante provincialismo intriso di ignoranza e superstizione che insieme alla paura della morte crea quell’atmosfera gotica e surreale, tangibile padrona del film.
Il tutto è narrato in flashback ed inserito nell’epoca che forse più di tutte è stata caratterizzata da dubbi e credenze popolari di ogni tipo: il XVIII secolo. Ambientazione storico-temporale quindi perfetta, così come anche quella geografica, ovvero le immancabili campagne romagnole avatiane.
Pur meno efficace rispetto a “La casa dalle finestre che ridono” e con qualche pecca nel cast a volte poco incisivo, “L’arcano incantatore” è un film che va visto, soprattutto se siete fan di Pupi Avati!
Una curiosità: nonostante il film sia ambientato nella classica campagna toscano-romagnola, per la prima (ed unica) volta il regista sposta il set in Umbria.
Clementina Zaccaria, 30.03.2006