Recensione film horror Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave
Regia: Sergio Martino
Sceneggiatura: Sergio Martino, Ernesto Gastaldi, Adriano Bolzoni e Sauro Scovolini (liberamente ispirata a “Il Gatto Nero” di Egdar Allan Poe)
Attori: Edwige Fenech, Luigi Pistilli, Anita Strindberg, Ivan Rassimov
Produzione: Italia, 1972
Durata: 96’
Voto: 8/10
Uno scrittore, Oliviero Ruvigni, in crisi di ispirazione, è preda di allucinazioni di ogni tipo, vive nel ricordo morboso della madre defunta, tortura psicologicamente la moglie Irene e nutre sentimenti affettuosi solamente nei confronti di un gatto nero di nome Satana.
Intanto, in paese avviene un orrendo delitto, del quale lo stesso Oliviero è sospettato. In seguito, muore in circostanze oscure la cameriera di casa Ruvigni, che viene murata in cantina. Mentre Satana continua a miagolare insistentemente, l’arrivo alla villa della nipote Floriana porterà grandi sconvolgimenti…
Sergio Martino è un regista conosciuto soprattutto per le commedie sexy e scollacciate con protagonista l’attrice tunisina Edvige Fenech (un tempo sua moglie). In realtà il regista romano esordisce sul grande schermo proprio con un thriller, “Lo Strano Vizio della Signora Wardh” nel 1971 e un anno dopo replica il successo ottenuto con il primo film grazie a “Tutti i colori del buio”, entrambi con Edvige Fenech. Successivamente la sua carriera avrà una parentesi dedicata ai polizieschi del genere “Milano Trema: La Polizia Vuole Giustizia” (1973). Martino, poi, si dedicherà quasi sempre alla commedia sexy degli anni ’60: è lui il regista di “Giovannona Coscialunga, disonorata con onore” (1973). Non si sa che fine abbia fatto e se sia ancora vivo.
“Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave” è la più fedele trasposizione cinematografica del racconto di Egdar Alla Poe “Il gatto nero”, che sia mai stata girata fino ad oggi. In un periodo particolarmente propizio dell’horror italiano, Martino gira il suo film nella bigotta e repressa provincia veneta, panorama ideale per la torbida storia che vuole raccontare. Nulla è quello che sembra. Ma non voglio anticiparvi niente per non rovinarvi la visione di un film che merita di essere guardato e studiato solamente per la bravura degli attori (compresa la Fenech) e per capire che il cinema horror italiano ha veramente insegnato tantissimo a quello americano (e straniero). Un applauso va a Luigi Pistilli, che nell’interpretazione dello scrittore Oliviero Ruvigni, anticipa (e di molto) Jack Nicholson in “Shining”. Il suo personaggio affonda in uno stato perennemente allucinatorio, fatto di violenza estrema (quando violenta la moglie davanti al ritratto di sua madre) e di melanconia edipica (quando osserva con occhi lucidi, accarezzando il gatto, il ritratto della madre), ed è carnefice e vittima di una moglie fintamente repressa. Edvige Fenech, nei panni della disinibita Floriana, rappresenta l’elemento destabilizzante tra marito e moglie; sembra interessata ad Oliviero, in realtà le sue mire sessuali sono rivolte a qualcun altro. Infine, Irene, interpretata da Anita Strindberg, sembra destinata a una follia più letale di quella del marito, in realtà in lei ogni azione è calcolata con determinazione e razionalità. Lo spartito della colonna sonora è firmato da Bruno Nicolai che svolge un ottimo lavoro soprattutto nell’ambientazione gotica della villa veneta, tomba di segreti e follie inconfessabili.
Come avevo già spiegato nella recensione de “Una lucertola dalla pelle di donna” di Lucio Fulci, in questi film, appartenenti alla prima fase dell’horror italiano, le donne sono quasi sempre o vittime della violenza assassina o carnefici loro stesse. Martino non si sottrae a questa specie di legge della sceneggiatura, dettata soprattutto dal successo dei film di Mario Bava e Dario Argento, ma possiamo dire che nella direzione del finale di questo film si discosta parecchio da questi ultimi registi e lascia quasi lo spettatore a bocca aperta. Il film inizia con uno dei tanti deliri di Ruvigni e ci conduce in un labirinto oscuro dove non capiamo chi sia la vittima e chi sia il carnefice. Tutti hanno qualcosa da nascondere e non si fidano di nessuno. Le scene erotiche sono torbide e malinconiche: non c’è nulla di divertente e di giocoso. Tutto è decadente e sembra inesorabilmente legato alla pazzia del Ruvigni. Una breve recensione. Perché se solo raccontassi una sequenza vi rovinerei la sorpresa di guardare questo film e se fossi io lo spettatore potrei voler uccidere il recensore, quindi… Piccola curiosità: ad un certo punto appare una giovanissima Enrica Bonaccorti, chi se la ricorda? A voi scoprire in quale sequenza.
Violetta Armanini 14.03.2007