Recensione film horror Il Demone sotto la Pelle

Recensioni

locandinaRegia: David Cronenberg
Soggetto e Sceneggiatura: David Cronenberg
Attori: Paul Hampton, Joe Silver, Lynn Lowry
Produzione: Canada, 1974
Durata: 88’

Voto: 7/10

Con “Il demone sotto la pelle“, a metà degli anni Settanta, comincia a muoversi nel mondo del cinema un eccentrico regista canadese che da subito mostra, attraverso storie angosciose dalle immagini inquietanti, la sua visione tutt’altro che positiva del mondo in cui vive. Storie che, volutamente, non definiscono mai un confine netto tra realtà e fantasia (mondi più che mai da incubo), non concedendo salvezza ai personaggi, non contemplando la possibilità di un riscatto o di una via di fuga. Stiamo ovviamente parlando di David Cronenberg e del suo mondo (di celluloide, non dimentichiamolo mai) d’orrore, morte, ma soprattutto mutamento, fisico e psichico. Questa prima pellicola, in tal senso, è già emblematica ed esemplificativa di ciò che ho tratteggiato in via d’introduzione.
 
A Toronto, in Canada, viene costruito un immenso residence denominato l’Arca di Noé, in cui vengono a stabilirsi decine e decine di famiglie. La propaganda pubblicitaria trova il suo appeal principale nel favoleggiare ai potenziali
affittuari una vita a misura d’uomo, lontana dal caos di una società ipertecnologica e iperindustrializzata, restituendo così verità e bellezza, a distanza di sicurezza dalla routine comune ai più.
Ogni tipo di conforto è a disposizione: piscine, campi da tennis, drugstore, negozi di abbigliamento, centro medico privato, ampio garage e uomini che garantiscono la sicurezza; tutto ciò di cui si può necessitare per estraniarsi dal resto, eccetto il lavoro, naturale.
Nell’immenso edificio vivono più famiglie, come detto, i rapporti sembrano cordiali e la quiete assicurata, anche se… C’è uno strano omicidio-suicidio che altera la pace del luogo, una ragazza molto giovane è stata uccisa da un noto medico ricercatore, che dopo l’atto efferato si toglie la vita, molto più anziano di lei e suo amante, il quale stava conducendo improbabili studi sulla possibilità di ovviare al trapianto di organi con l’ausilio di un parassita.
E non è tutto, perché più di un uomo del palazzo aveva avuto rapporti sessuali con la ragazza deceduta, ed ognuno di essi aveva strane fitte e gonfiori allo stomaco. Il medico del residence, ex allievo dell’anziano ricercatore, aiutato dalla giovane e avvenente (oltre che sua fidanzata) assistente, comincia a indagare; tramite l’acquisizione di carte che palesavano l’abominevole ricerca del medico suicida, e con l’aiuto di un collega, arriverà ad una verità inquietante: il parassita immesso nel corpo della ragazza morta, usata evidentemente come cavia, non serviva a rigenerare organi morenti, ma a risvegliare in lei, negli esseri umani, l’istinto più animalesco e primordiale, una pulsione sessuale incontrollabile che annichilisce la coscienza di ogni individuo. Gli abitanti dell’edificio vengono progressivamente contagiati, la folle corsa del medico per arginare l’epidemia sarà vana. Il dramma diventa delirio, follia collettiva, per un finale tra i più agghiaccianti della pur terrificante cinematografia cronenberghiana.

Cari amanti di Cronenberg (categoria a cui mi iscrivo senza particolari riserve), se non avete sentito parlare, né tantomeno visto questo film, rimediate, mi raccomando. Rimediate perché in questo B-Movie d’esordio (di questo, tecnicamente, si tratta, con attori e mezzi adatti alla categoria) sono già lampanti tutti i classici temi cronenberghiani. Critica sociale e di sistema, mutamento dei corpi, visività eccessiva e straniante, morbosità, voyeurismo, erotismo, pulsioni di morte. No, non c’è né sadismo né gratuità, nel restituire un universo così cupo e inquietante, spesso al limite dello stomachevole e del rivoltante, ma sempre acuto, tagliente, affatto banale, incisivo e destabilizzante.
Un cinema che destabilizza, nel quale, nella fattispecie, la componente erotico-sessuale diventa evidenza principe, filmata rifuggendo volutamente qualsiasi forma d’empatia e d’armonia. Il tema nascosto o, sarebbe meglio dire, meno visibile, è quello della critica di sistema, qui palesata attraverso la stigmatizzazione delle nefandezze della “ricerca” medica, allargando il discorso alla sperimentazione che implica mutamenti corporei e psichici. È un tema, quello della critica alla manipolazione delle identità (fisiche e psichiche, come ripeto), che Cronenberg ha brillantemente riproposto in quasi tutta la sua successiva  filmografia, fortificandolo attraverso l’artificio visivo (le schifosissime mutazioni corporee per cui i suoi film sono tanto amati-odiati) e le corrosive sceneggiature. E ciò, a parecchi spettatori poco attenti,  può sembrare un paradosso, in quanto il nostro fa talmente uso dell’effetto deformante che sembrerebbe quasi “ideologicamente” sottoscriverlo, sottoscrivendo in sostanza le mostruosità che contraddistinguono e hanno contraddistinto tanta sperimentazione di laboratorio (medica e non) contemporanea.
L’inganno possibile, la confusione, sono presto risolti, a ben guardare, dallo stesso Cronenberg, che aggiunge forti dosi di humour nero ai suoi drammi, costruendo personaggi e situazioni surreali, demistificando in sostanza la “solennità” dei mutamenti che impietosamente ci mostra. Anche “Il demone sotto la pelle”, horror dalle venature melodrammatiche, non sfugge a questo sistema di narrazione, trovando maggiore compiutezza nella seconda parte, allorché il contagio trasforma gli inquilini in zombie erotomani e antropofagi.
 
La visione di fondo del cinema fenomenico di Cronenberg è comunque pessimista, il rimando-omaggio a “La notte dei morti viventi” e alle serialità “zombistiche” ci dice, in sostanza, che non c’è possibilità alcuna di salvezza per gli
inquilini dello stabile. Di più, non c’è salvezza per l’umanità, infestata da morti viventi che si mescolano senza troppi problemi alle persone “normali”. Nonostante il contagio, si svegliano la mattina, vanno in ufficio, affollano le città, vagano per il mondo: stuprando, uccidendo, “nutrendosi” così dei loro simili. Questo è l’epilogo, ancorché solo intuito. La metafora terrificante e apocalittica del primo Cronenberg (ma continuerà anche dopo…) è evidente quanto inquietante: il pericolo maggiore per l’umanità siamo noi stessi, quando siamo vinti dal “demone sotto la pelle”, un parassita che rischia di albergare in noi quando ci lanciamo in pericolose derive che alterano la nostra natura originaria. Noi umani, sempre a rischio di contaminazione.
 
Per stomaci forti, dunque, questo Cronenberg prima maniera, straniante e visionario, trasforma un potenziale B-Movie in un viaggio allucinato e senza ritorno nel corpo e nell’anima. Che non lascia indifferenti. Da vedere.

Federico Magi (Lankelot.eu) 29.01.2007

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