Recensione film horror Hostel: Part II
Regia: Eli Roth
Soggetto e Sceneggiatura: Eli Roth
Attori: Lauren German, Vera Jordanova, Rogert Bart, Richard Burgi
Produzione: U.S.A. 2007
Durata: 93′
Note: Vietato ai Minori di anni 18
Voto: 7.5/10
“Hostel II” era uno dei film più attesi del 2007, sicuramente il più atteso per gli amanti del genere horror, curiosi di vedere se Eli Roth sarebbe stato capace di migliorarsi dopo il successo planetario di “Hostel“; i confronti tra il primo ed il secondo film sono inevitabili, ma li snocciolerò strada facendo, vi dico solo che il secondo è più riflessivo nella seconda parte e meno macchinoso nella prima.
Nessun sacchetto per il vomito ci ha accolto questa volta davanti alle porte della sala cinematografica, eppure già dalla prima scena capiamo che l’antifona sarà la stessa: giovani turisti, tortura e sangue.
Questa volta però ci troviamo a Roma, anche se la caciara notturna è la stessa che nel primo film si vedeva ad Amsterdam; la coppia protagonista è sempre americana, ma questa volta il film è tutto al femminile: Beth e Withney sono a Roma per frequentare un corso d’arte tenuto dalla professoressa Edwige Fenech e decidono di trascorrere il weekend a Praga per distrarsi un po’.
A loro si aggrega la sfigata del corso, Lorna, perché Beth è troppo buona e vuole coinvolgerla in qualcosa di divertente; sul treno che le porterà a Praga, le tre studentesse americane incrociano un gruppo di tifosi romanisti chiassosi e un trio di malintenzionati che le tampina, ma a salvarle da questa situazione spunta una delle modelle del corso d’arte, Axelle, che si ferma nel loro scompartimento per la notte.
Axelle convince le tre amiche a fermarsi in Slovacchia per godere delle meraviglie termali che offre una zona da lei conosciuta, albergheranno in un ostello…già, proprio l’ostello slovacco del primo film, con lo stesso receptionist che gestisce il traffico di carne umana da macello.
“Hostel: Part II” si occupa più approfonditamente dei meccanismi di questo business perverso, mostrandoci lo svolgimento dell’asta internazionale per aggiudicarsi Lorna, Beth e Whitney, effettuata attraverso i cellulari di ultima generazione.
Buona parte del film è dunque dedicata alla coppia di compratori, Stuart e Todd, uno un padre di famiglia che non è convinto di quello che sta per fare, l’altro un single in carriera esaltato per aver vinto l’asta e indaffarato a convincere il primo che torturare ed uccidere un’altra persona è una cosa naturale per sfogare lo stress.
Proprio la profondità psicologica di questi due personaggi è a mio parere uno dei motivi per cui questo film è migliore del primo, nonostante la struttura ed i contenuti siano praticamente gli stessi; Stuart e Todd ci permettono di andare più a fondo con le nostre riflessioni: che tutto si può comprare l’avevamo capito anche nel primo, ma qui ci viene mostrato il punto di vista degli aguzzini e vedere quello che succede con i loro occhi non può lasciare gli spettatori indifferenti.
C’è un ulteriore livello di riflessione relativa a questa immedesimazione con Stuart e Todd: siamo sicuri che noi amanti dell’horror sanguinoso siamo poi tanto diversi da loro? Anche noi siamo assetati di sangue, anche noi paghiamo (il biglietto) per provare piacere (intellettuale?) a veder spruzzi di sangue e torture infernali.
Diversi spettatori rimarranno delusi dalla riproposizione pedissequa della struttura del primo film, ma secondo me non c’è niente di male a sfruttare un’intelaiatura di successo per proporre delle variazioni sul tema, vedi rivisitazione al femminile del gruppo protagonista e inserimento delle riflessioni di cui al paragrafo sopra; anche gli ideatori di “Final Destination” e “Saw“, per citare gli esempi più recenti, hanno ottenuto successo sfruttando queste prerogative.
Chi ha apprezzato il primo film, sogghignerà nel rivedere lo stesso ostello, lo stesso tatuaggio, la stessa baby gang slovacca, lo stesso luogo di torture, lo stesso sistema di reclutamento delle vittime; e poi godrà delle apparizioni di Edwige Fenech (“Lo strano vizio della signora Wardh“), Ruggero Deodato (regista di “Cannibal Holocaust“) e Luc Merenda, dell’omaggio al suo produttore attraverso un televisore dentro l’ostello che trasmette una scena di “Pulp Fiction“.
Se proprio vogliamo, c’è anche una citazione letterar-mitologica da parte di Eli Roth, quando un energumeno slovacco seduce la povera Lorna, poco sobria, e la convince a fare una gita sul fiume a bordo di una barchetta romantica; il seduttore è un novello Caronte, che trasporta da una riva all’altra del fiume la “dead girl walking” e la consegna alle forze oscure dell’Ade.
Il primo “Hostel” viene riportato alla mente anche grazie ad una delle scene iniziali, che mostrano il destino tragico dell’unico sopravvissuto, Paxton, che si rifugia in una villetta sperduta in mezzo alla campagna, ma viene comunque rintracciato dagli inarrestabili tentacoli di questa organizzazione criminosa.
Eli Roth ha indubbiamente avuto la fortuna di agganciare Quentin Tarantino, ma ha comunque dimostrato di avere una vasta conoscenza del panorama di genere, soprattutto per quanto riguarda gli anni Settanta (è nato nel 72), e buone doti sia di scrittura, che di regia e finché si intestardirà a scrivere e dirigere i suoi film, ci saranno buone possibilità che diventi un buon regista-autore, personaggio che manca alla scena horror.
Sia nel primo, che nel secondo film, Eli Roth ha volutamente inserito delle critiche al sistema capitalistico, anche questo nell’ottica del ritorno agli splendori del genere horror anni Settanta.
Insomma gli spunti di riflessione in “Hostel: Part II” ci sono, le torture creative e i fiumi di sangue anche, ed inoltre il film è meno lento del primo nella parte iniziale, quindi se “Hostel“ vi è piaciuto almeno un pochino e siete amanti di questo genere di film, non potete perdervelo; se invece siete tra quelli che credono che i vari “Final Destination 2“, “Final Destination 3“, “Saw II“, “Saw III” siano stati una speculazione senza nulla di nuovo rispetto ai loro capostipiti, allora probabilmente questa pellicola vi lascerà con l’amaro in bocca.
Adriano Lo Porto 31.07.2007