Recensione film horror Hipnos
Regia: David Carreras
Sceneggiatura: David Carreras, Juanma Ruiz (tratto da un romanzo di Javier Azpeitia)
Attori: Cristina Brondo, Demian Bichir
Produzione: Spagna, 2004
Durata: 93’
Note: Vietato ai Minori di anni 14
Voto: 4,5/10
Gli spagnoli ci stanno provando da qualche anno a produrre thriller-horror che possano sfidare quelli hollywoodiani, ma i risultati a mio parere non sono mai stati buoni e mi riferisco ai due esempi che mi vengono subito alla mente, ovvero “Nameless” e “Darkness“, lungometraggi che hanno vinto premi di ogni tipo in patria, ma che a me sinceramente hanno fatto poca paura e scarsa impressione positiva.
Loro ci hanno riprovato con “Hipnos” e io ci ho riprovato con un thriller-horror spagnolo, ma ancora direi che non ci siamo, anche se rispetto ai due citati c’è qualche passo avanti, visto che è decisamente migliorata la sceneggiatura sulla quale il film poggia le sue basi.
“Hipnos” ci mostra una scena iniziale un po’ confusa e difficilmente collocabile (almeno inizialmente), un accorgimento che ormai è diventato un must tra i registi di questo genere cinematografico, ma del quale sinceramente io non sono un grande estimatore.
Comunque, un camion sbanda paurosamente sulla strada bagnata e contemporaneamente un detective fa irruzione in un appartamento e scopre il cadavere di una donna, sfigurata ed uccisa con un cacciavite.
Accanto a lei una bambina ammutolita, sporca di sangue e paralizzata psicologicamente, cosa sarà successo?
Anni dopo, una giovane dottoressa in psicologia viene assunta in una clinica privata davvero molto famosa, un posto isolato dal mondo, circondato da scogliere a strapiombo, da un mare gelido (non l’ho saggiato, ma dalle immagini dava questa impressione) e da un’aura di mistero.
Un mistero che coinvolge i metodi con i quali i pazienti vengono trattati dal dottor Sanchez Blanco e dalla sua troupe, dei metodi che hanno poco a che vedere con la psichiatria “moderna” della quale si fa portavoce la giovane Beatriz, una psichiatria fatta di interesse per il soggetto e per la guarigione dei suoi traumi, contrapposta alla teoria della guarigione indotta con l’eliminazione del trauma, senza averlo superato.
Beatriz approda dunque in questa clinica, che ha una struttura veramente allucinante e angosciante, a tratti, anche grazie alle soggettive del regista, sembra di stare all’Overlook Hotel.
Il microcosmo di questa clinica è dunque abitato dal dottor Sanchez Blanco, da un suo collaboratore anziano (e viscido aggiungerei), dalla dottoressa Elena, da Beatriz e da diversi pazienti, tra i quali spiccano la piccola traumatizzata dalla morte della madre di cui sopra, un esile uomo che risponde al nome di Ulloa e infine un brusco paziente di nome Miguel, che dice di essere un poliziotto infiltratosi per indagare sui misteriosi suicidi che si susseguono misteriosamente in questa clinica.
L’ultimo in ordine di tempo avviene proprio il giorno dopo l’arrivo di Beatriz e la vittima è proprio quella ragazzina della quale avrebbe dovuto occuparsi lei.
Le coincidenze sembrano troppe, visto che Ulloa il giorno prima aveva disegnato una ragazzina che si tagliava le vene e la stessa Beatriz aveva scoperto una seduta in cui il dottor Sanchez Blanco ipnotizzava la piccola e le descriveva con dovizia di particolari il suo suicidio!
Beatriz ovviamente inizia a dubitare dei metodi del dottor Blanco e dei suoi collaboratori e tra un calo di tensione (elettrico) e una dose di ansiolitici per se’, lo spettatore inizia a pensare che Beatriz proprio non sia così priva di scheletri nell’armadio e che abbia subito anche lei l’influenza psicologica del dottor Blanco.
La prima cosa che si nota di questo film, perché sinceramente stona parecchio, è l’insistenza sui nudi femminili, soprattutto della protagonista; quando il vigilante della clinica le guarda le tette si capisce subito, dal modo di inquadrarle, che ben presto le vedremo in tutto il loro splendore, ma proporre addirittura dei nudi integrali in una pellicola del genere mi pare oltremodo fuoriluogo.
Le cose positive che si notano visivamente, sono invece un’ottima fotografia che si avvale di una scenografia angosciante al punto giusto, sia negli interni che negli esterni, e anche una buona regia.
David Carreras è al suo primo film di una certa importanza, ma lascia intendere di essere dotato di una buona tecnica e di saper fare le scelte giuste, come il seguire il percorso di una Beatriz angosciata tra i corridoi sconosciuti della clinica con una soggettiva.
La sceneggiatura, scritta dallo stesso regista con altri due individui, crea una mezz’ora abbondante decisamente pachidermica e soprattutto non è originale proprio per niente, visto che il trucchetto finale (intuibile ahimè dal sottotitolo che i distributori italiani hanno messo) è già stato visto più di una volta.
La sceneggiatura ha però dalla sua il fatto di incuriosire lo spettatore e di sfidarlo nel dare ad ogni personaggio la giusta collocazione, visto che la protagonista non riesce a farlo.
I temi interessati di striscio dalla vicenda di questo film sono tutti concentrati sui traumi infantili e sulla disputa sui metodi psichiatrici di cui parlavo prima.
Gli interpreti non sono niente male, a partire dalla nudissima Cristina Brondo, passando per i “pazienti” Demian Bichir (Miguel) e Julian Villagran (Ulloa), per arrivare al tenebroso dottor Blanco, interpretato da Feodor Atkine.
Concludendo, consiglio la visione del film agli amanti del genere e agli interessati alla disputa sui metodi della psichiatria, tenendo ben presente che “Hipnos” manca di originalità, ma che comunque sfida lo spettatore a fare le ipotesi più improponibili, per poi dare la soluzione all’intrigo nel finale.
Adriano Lo Porto Maggio 2005