Recensione film horror Halloween: The Beginning
Regia: Rob Zombie
Sceneggiatura: Rob Zombie
Attori: Malcom McDowell, Tyler Mane, Sheri Moon
Produzione: U.S.A. 2007
Durata: 110′
Note: vietato ai minori di anni 14
Voto: 04/10
Diceva Oscar Wilde che ognuno di noi è portato a distruggere ciò che più ama.
I registi di film horror lo fanno con i remake.
In questo caso parliamo dell’ormai conosciuto Rob Zombie, leader del gruppo rock White Zombie e regista del film “La casa dei 1000 corpi” e del suo sequel, “La casa del diavolo“.
Il film in questione non è esattamente un remake del famosissimo “Halloween” di John Carpenter, ma più precisamente una rilettura degli eventi che caratterizzarono uno dei film horror più riusciti ed apprezzati della storia del cinema del brivido.
La storia è nota a tutti: il piccolo Michael Myers cresce in mezzo a violenza e squallore; dimenticato da tutti e maltrattato dai familiari non potrà far altro che esplodere in una carneficina che vedrà sterminata tutta la sua allegra famigliola con l’eccezione della madre e della sorellina piccola.
Passano gli anni e Michael cresce isolato dal mondo in un centro d’igiene mentale.
Pazzo, inumano e dalla forza smisurata, evade dal centro proprio il giorno di Halloween con il preciso intento di cercare quella sorellina risparmiata anni fa, probabilmente deciso a terminare ciò che aveva iniziato da piccolo.
Zombie divide il film in due parti ben precise; nella prima lo spettatore può assistere alla follia che lentamente rende il piccolo Myers sempre più inquietante e diverso dai suoi coetanei; nella seconda il nostro, ormai cresciuto, se ne va a zonzo sfracellando crani e piantando di tutto nello stomaco dei poveri malcapitati.
Ecco, essenzialmente “Halloween: The beginning“ è questo.
Già visto, già fatto, di poco impatto, ma soprattutto estremamente noioso.
In passato Rob Zombie ci aveva regalato delle buone chicche con la sua “casa dei 1000 corpi“, un film violento e sarcastico, pieno di citazioni musicali e non, ma soprattutto scorretto ed oscuro fino alla fine; guardandolo si riusciva a percepire la cattiveria di fondo di uno dei pochi registi horror che rinnega il buonismo dell’happy end.
Scardinante e per stomaci forti, era finalmente il ritorno dell’horror in quanto tale: nessuna spiegazione, nessuna motivazione per la follia omicida dei suoi personaggi… è questo che tiene sulle spine uno spettatore.
Con questo Halloween si ha invece la sensazione che per non rovinare il lavoro passato di Carpenter, Zombie abbia voluto evitare di metterci troppo lo zampino.
Una eccessiva reverenza nei confronti del maestro dell’horror hanno portato Rob Zombie a non dire praticamente nulla dall’inizio alla fine del film.
Mentre lo si guarda non si ha la sensazione di un film fatto male, magari con una sceneggiatura debole o una recitazione sopra le righe, semplicemente non si capisce bene perché lo si stia guardando, la visione risulta presto banale e noiosa.
Scene inutili, assassini che brandiscono coltelli, pazzi che crescono sempre più pazzi…. ma non siamo più negli anni Settanta, e queste cose non terrorizzano più nessuno.
Strano ma vero, il nostro regista rockettaro lesina anche in fatto di violenza: poco sangue, qualche urlo e questo bestione che si aggira goffamente sullo schermo intento a perseguire una meta di cui non importa davvero a nessuno.
Il vero dramma di questa pellicola? Il tentativo a dir poco patetico di voler far sembrare Michael, in alcune sequenze, un personaggio quasi umano e con dei sentimenti.
A differenza dell’originale infatti, dove gli occhi dell’assassino erano completamente neri, in questo remake sono perfettamente visibili tramite la maschera.
Ma, dato che un folle del genere non può ovviamente avere nulla di umano, allo spettatore tutto questo arriva come una sorta di triste messaggio giustificatorio per le malefatte di Michael.
Peccato, era un’ottima occasione per creare un buon remake, per riportare un po’ in vita i buoni vecchi horror di un tempo, quelli con pochi dialoghi e tanta, tanta tensione.
Forse l’eredità che porta con sé un film come quello di Carpenter, riesce a gravare anche sulle spalle di uno come Zombie, che se non si fosse sentito tanto a disagio e impaurito nel realizzarlo, avrebbe sicuramente dato vita a qualcosa di più intenso e maggiormente incisivo, arricchendolo col carattere “scorretto”che lo contraddistingue sul palco come dietro la macchina da presa.
Marco Bassetti, gennaio 2008
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