Recensione film horror Halloween II – Signore della Morte
Regia: Rick Rosenthal
Soggetto e Sceneggiatura: Debra Hill, John Carpenter
Attori: Dick Harlock, Hunter Von Leer, Jamie Lee Curtis
Produzione: U.S.A. 1981
Durata: 88′
Voto: 7.5/10
La sequenza di morti violente cui avete assistito nel primo capitolo “Halloween – La notte delle streghe” non è affatto terminata…ha solo subito una breve interruzione, perché, nonostante sei colpi di pistola inferti dal dottor Loomis, Michael Mayers è inspiegabilmente ancora vivo ed è ancora assetato di sangue, forse anche più di prima.
Egli così continua imperterrito a far strage dei poveri malcapitati che si trovano sul suo cammino portando avanti sempre lo stesso unico scopo: uccidere Laurie, sua ossessione e obbiettivo già nel precedente capitolo; ma questa volta sarà ancora più difficile: la povera ragazza, infatti, superstite malconcia del folle, è stata ricoverata in ospedale ed è curata dai medici, accudita dalle infermiere e soprattutto controllata dal dottor Loomis (Donald Pleasence), presente già nel primo episodio ma questa volta co-protagonista, il quale per primo intuisce che il suo ex-paziente Michael Mayers è un essere mostruoso che di umano non ha neanche la morte (dice il medico ad un incredulo vicino di casa delle Strode: “L’ho ucciso, ma è fuggito” e dopo ad un poliziotto “era diventata un’ossessione per me finché ho capito che non c’era nulla dentro di lui, non c’era né coscienza né ragione che fosse anche lontanamente umana”)…d’altra parte come dargli torto dato che il ragazzo è uscito praticamente indenne da otto sequel?
Il celebre killer, dunque, si vede, oltre che braccato dalla polizia, costretto a cercare e inseguire la sua vittima all’interno di un luogo più protetto rispetto ad un ambiente domestico come quello del precedente film, questo però non basterà a fermare le sue sanguinarie intenzioni, al contrario, farà in modo che dall’ospedale non esca nessuno vivo, Laurie comunque nonostante l’iniezione anestetica e la caviglia “fuori uso” opporrà ancora resistenza…
Sequel uscito tre anni dopo il successo planetario di “Halloween – La notte delle streghe“, “Il signore della morte” si difende bene nell’inevitabile confronto con il predecessore, anche se senza dubbio risulta inferiore all’opera di Carpenter.
Rosenthal crea una pellicola che riprende la storia iniziata il 31 ottobre del ’78, seguendo lo stesso filo conduttore (la pazzia di Mayers), la completa aggiungendo qualche informazione in più sul passato dei protagonisti (si scopre che i due in realtà sono fratello e sorella, ma dopo la condanna di Michael gli Strode adottarono la piccola Laurie) ed infine la rafforza nelle sue caratteristiche principali; cresce, infatti, la figura di Michael Mayers, ancora più cattivo e sadico (aumenta il sangue e sale il numero delle vittime) nel suo ruolo di killer dalla geniale follia, attento, pacato, misurato, sicuro e determinato nel portare a termine ciò che ai suoi occhi malati sembra quasi una missione, uccidere Laurie; lo spettatore non ha mai il piacere di sentire la sua voce, mai un urlo di dolore (neanche, quando, verso la fine, un colpo di pistola lo colpisce dritto negli occhi) egli non corre, ma avanza lentamente, anche nel momento in cui sono i secondi a decidere della vita delle sue vittime (come nella sequenza dell’ascensore che sta per chiudersi, mentre lui raggiunge Laurie) lui mantiene il ritmo cadenzato del suo passo inarrestabile senza velocizzarlo. Dunque si delinea definitivamente Michael Mayers e quello che rappresenta; questo feroce assassino non è solo il pazzo emarginato che vive ai margini della civiltà, ma è anche lo spaventoso riflesso del nostro lato oscuro, è l’altro volto dell’uomo soffocato e represso nei perbenismi contemplati dalle regole della convivenza, “Samhein non né il diavolo né dio né una strega, non è altro che l’abisso del nostro inconscio, tutti abbiamo paura del lato nero che è dentro di noi” spiega il dottor Loomis riguardo al termine “Samhein” scritto sulla parete da Mayers con il sangue di una delle vittime.
Un aspetto tipico soprattutto della società americana degli anni ’80, accennato dal regista di questo film e tragicamente mostrato in altri film, come ad esempio “American Psycho”, che racconta le giornate del bel Patrick Bateman, elegante e facoltoso killer psicopatico.
Un film quindi di tutto rispetto, che sicuramente si distingue dai quei sequel inutili che per puri scopi commerciali continuano una storia già satura, scopiazzandola e trascinandola; non deludono Donald Pleasence e Jamie Lee Curtis ancora molto brava nel ruolo di Laurie Strode ed indispensabile risultano la colonna sonora di Alan Howarth e la collaborazione di John Carpenter, il quale lascia la cinepresa per dedicarsi alla sceneggiatura.
Da citare l’ambientazione ospedaliera del set grigia ed opprimente, fondamentale per quell’effetto suspense assente all’inizio del film e che comunque è certamente minore rispetto al primo capitolo, al contrario invece delle scene cruente di cui il regista rincara la dose.
Una piccola curiosità: a circa metà film lo spettatore assiste ad un omicidio ben poco diverso da quello a cui assisterà non molto più tardi nel mitico, famosissimo “Profondo rosso” di Dario Argento.
Clementina Zaccaria, 18.04.2006
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