Recensione film horror Amityville Horror
Regia: Stuart Rosenberg
Sceneggiatura: Sandor Stern, da un soggetto di Jay Anson
Attori: James Brolin, Margot Kidder
Produzione: U.S.A., 1979
Durata: 116’
Note: Vietato Ai Minori di 14 anni
Voto: 8.5/10
13 novembre 1974: in una graziosa villetta di Amityville (Long Island) un ragazzo fa strage della sua intera famiglia (padre, madre e quattro fratelli)
uccidendoli nel sonno a colpi di fucile, il tutto apparentemente senza valide motivazioni.
È questa la primissima scena del film, che riporta l’antefatto della storia di “The horror of Amityville” (questo il titolo originale) e che ben annuncia quello che è il filo conduttore della pellicola: quella opprimente sensazione di follia con cui si dovranno violentemente scontrare anche i nuovi inquilini della villa.
Gli sventurati sono George e Katheleen Lutz, novelli sposi che pur essendo consapevoli del sanguinoso episodio acquistano la casa senza molte remore, attratti dal costo irrisorio, e vi si trasferiscono subito con i tre figli di lei Amy, Metthew e Gregory.
I cinque ben presto percepiscono di non essere i veri padroni del luogo, bensì degli “scomodi intrusi”; sensazione che continua a lievitare per poi esplodere e trasformarsi in un folle terrore che rischia di strangolare l’unione della famiglia.
Infatti poche ore dopo il trasloco, la piccola Amy dichiara l’esistenza di Jodie, una nuova amichetta della cui presenza però si accorge solo lei; George avverte strani malori e cambia radicalmente atteggiamento divenendo una persona asociale e irascibile.
Lo spettatore dunque assiste all’inesorabile e graduale scivolare della famiglia Lutz verso quel tragico destino che un anno prima si era compiuto durante la notte del tredici novembre e anche padre Callaway, il primo a capire e sostenere con certezza la maledizione sotto cui vive chi entra in quella casa, rimane inerme al degenerare dei fatti, bloccato non solo dagli stessi spiriti da cui egli cerca inutilmente di difendere i Lutz, ma anche dalla chiesa che dribbla le sue affermazioni attribuendo tutto ciò che accade a spiegazioni razionali.
L’aiuto di Caroline, sensitiva e moglie del miglior amico di George, porterà a scoprire l’amara realtà…
Stuart Rosenberg riesce a creare una pellicola coinvolgente, che ha il merito di catturare lo spettatore privandolo anche dell’ombra di qualsiasi tipo di scena gore e di grandi effetti speciali, puntando tutto su quel sottilissimo limite che divide sovrannaturale e follia.
Fino alla fine, infatti, serpeggia il dubbio che sia tutto frutto dell’immaginazione, che siamo di fronte a fantasie scaturite dalla consapevolezza dei sanguinosi fatti accaduti l’anno prima.
All’interno di questa continua lotta tra razionalità e istinto, il regista non risparmia la critica al mondo ecclesiastico, che dietro un’ostentata superstizione di facciata cela il timore di ciò che può far vacillare le proprie teorie.
“The amityville horror” è un film che ha dato definitivamente il via al filone sulle case infestate (come non citare “Poltergeist – Demoniache Presenze” che pur nella sua originalità deve tantissimo a questa pellicola) e che ha imposto nel tempo alcune caratteristiche fondamentali del genere: per esempio la cantina come punto estremo di confine fra umani e non o ancora l’inquietante aspetto delle finestre esterne.
Le efficaci interpretazioni degli attori, tra i quali spiccano quelle dei protagonisti James Brolin (George Lutz) e Margot Kidder (Kathleen), e la nomination al premio oscar come migliore colonna sonora assicurarono al film il largo consenso della critica e del botteghino.
Come molti lungometraggi di successo, anche questo vanta la classica interminabile serie di sequel, sono stati realizzati infatti fino ad ora ben tre seguiti “Amityville 2: The Possession” e “Amityville 3: 3D” del 1983 e nel 96 l’ultimo “Amityville 4: The Dollhouse”, senza contare l’inutile remake del 2005.
Una curiosità: nonostante i fatti narrati siano una trasposizione cinematografica fedelissima di un reale avvenimento (Ronald De Feo giustificò l’eccidio della sua famiglia col fatto che delle voci in casa lo spingessero ad un tale gesto e gli abitanti successivi della villa ne confermarono impauriti la presenza), la produzione si rifiutò di girare il film nella vera casa, ripiegando su un’altra pressoché simile.
Clementina Zaccaria, 14 marzo 2006