Recensione film horror American Psycho

Recensioni

locandinaRegia: Mary Harron
Sceneggiatura: Mary Harron, Guinevere Turner
Attori: Christian Bale, Justin Theroux
Produzione: U.S.A. 2000
Durata: 104′
Note: vietato ai minori di anni 14

Voto:10/10

Patrick Bateman è un giovane rampollo della finanza americana che si reca in ufficio solo ed esclusivamente per programmare le sue perversioni. È un perfetto concentrato di megalomania estetica (vedi la meticolosa preparazione delle sue creme facciali) ed esaltazione orgiastica delle pulsioni più sfrenate.
Per questo, come un perfetto serial killer che si rispetti, programma come quando e chi colpire, cominciando dalle prostitute indifese. Prima vuole godersi una piccola orgia con tanto di fanatico accompagnamento musicale (sono tanto
esilaranti quanto inquietanti i suoi commenti sulla musica di Phil Collins o Whitney Houston), poi decide di sfogare tutta la sua interna violenza, che evidentemente non è riuscito a scaricare, con il solito banalissimo sesso. Si diverte anche a ritornare dalla sua vittima predestinata perché sa che non ha finito il suo lavoro, e che lo finirà a breve dando l’impressione di sapere sempre come andrà a finire e mantenendo perfettamente l’insospettabile contegno di un raffinato riccone in cerca di divertimento.

Neanche la presenza di un detective che lo pressa con delle continue domande su dove potesse essere stato il giorno dell’omicidio di Paul Allen (suo invidiato collega che decide massacrare a colpi d’ascia nel suo appartamento solo perché gli invidiava il panorama che si vedeva dal suo attico e il pregiato biglietto da visita in finissima filigrana) lo disturba più di tanto.
Questo fino a quando non perde il controllo di sé e una sera di totale follia finisce per sparare a una decina di persone, compresi inservienti e poliziotti che cercano di fermarlo. La sua notte di follia finisce in una strepitosa quanto inquietante telefonata al suo avvocato, che neanche conosce, nascondendosi dietro un tavolino nel buio del suo stesso appartamento per evitare di essere visto dagli elicotteri della polizia che già sono sulle sue tracce. Confessa con un macabro gusto tra l’esaltato e il disperato (indefinibile groviglio di incomprensibili pulsioni) tutti i suoi delitti di cui neanche ricorda il numero, e finisce il giorno dopo per mescolarsi come sempre nella noia “numbica” delle chiacchiere dei suoi colleghi dopo che il suo avvocato, a cui per la prima volta rivela la sua identità, fa finta di non aver riconosciuto la sua confessione, o per lo meno di non volergli dare importanza solo per un tornaconto personale.

Il velo di ambiguità finale che si mescola a quello in realtà più pesante della ricca e rampolla gioventù americana di wall street rende l’efficacia della vicenda Bateman ancora più meravigliosa e inquietante di quanto non sia. La trama vuole colpire la totale assenza di valori di quegli anni ’80 votati solo al guadagno e al consumo sfrenato della vita edonistica buttata a farsi nei cessi dei locali alla moda o in qualche letto lussurioso e sperduto.
Patrick Bateman è il capostipite e il rappresentante simbolo di questo precipizio senza rete di protezione dove quanto più s’infligge dolore al prossimo tanto più si gode e viceversa (meravigliosa la scena in cui Patrick accoltella, dopo averlo sfottuto, un barbone che gli chiede aiuto invano ).
Bateman è non solo provocazione dei sensi, ma anche sberleffo e aggressione degli stessi: istrionismo nel trucidare, massacro del godimento. Si suda l’ultima perversione quando davanti al tavolo degli aperitivi coi suoi colleghi il rallentato meraviglioso della bravissima Mary Harron (la regista) fa precipitare anche l’ultimo baluardo di speranza, quello di una confessione che possa stravolgere tutto e tutti e far cambiare le cose.
Niente da fare, Patrick è solo davanti a se stesso e al suo baratro, non gli resta che precipitare così:

“Non ci sono più barriere da attraversare.
Tutto ciò che ho in comune con l’incontrollabile e la follia,
la depravazione e il male,
tutte le mutilazioni che ho causato
e la mia totale indifferenza verso di esse;
tutto questo ora l’ho superato.
La mia pena è costante e affilata,
e io non spero per nessuno un mondo migliore,
anzi voglio che la mia pena sia inflitta agli altri,
voglio che nessuno possa sfuggire.
Ma anche dopo aver ammesso questo non c’è catarsi,
la mia punizione continua a illudermi
e io non giungo a una conoscenza più profonda di me stesso.
Nessuna nuova conoscenza si può estrarre dalle mie parole,
questa confessione non ha alcun significato.”

Michele Noccelli 13.05.2008

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