Vicino ai Murazzi
Ero appena sceso in città dopo un concerto tenuto in un Palasport.
Quella sera stavo chiuso in un bar. In realtà trafficavo con il computer nella stanza adiacente alla ricerca di suoni un po’ estemporanei.
Sul video un gruppo locale suonava il motivo più gettonato.
Il presentatore, a lato del palco, intratteneva la band successiva. “Canta gli avvoltoi che macinano fili e piume” canticchiava il frontman.
Il refrain aveva il potere di ammaliare ragazzi di ogni classe sociale.
Teen-ager pogavano e formavano cerchi su cui rimbalzare. Uomini più attempati si aggrappavano alle transenne, estranei.
Angela, la proprietaria, mi lasciò dentro anche dopo aver chiuso il locale.
A cinquantasei anni sapeva che gli uomini, bizzarri e pericolosi come me, era meglio lasciarli stare.
Le feci compagnia mentre ripuliva il bancone. Parlammo di sua figlia.
Poi lei, a sorpresa, mi accompagnò a casa con la sua automobile.
Vita da brava signora. Sapeva ritagliarsi un suo spazio: altri affari riempivano la giornata.
In cambio di piccoli favori, però, credeva che tutti fossero ai suoi piedi.
A casa le preparai un caffé e mi confortai al pensiero che non aveva ancora venduto l’esercizio commerciale.
Si congedò rapida accettando di accompagnarmi l’indomani in campagna.
La guardai mentre scendeva le scale: era un’attrice che oramai aveva rinunciato al sogno di una qualche carriera e si esibiva come comparsa in film girati da compagnie locali.
La mattina dopo salimmo su un treno regionale. Nello scompartimento sedevano di fronte a me un paio di giovani. Avevano i lineamenti tirati e gli occhi abbassati.
Riconobbi il finto punk che la sera precedente si aggrappava ad una ragazza invece che appoggiarsi alla transenna per ascoltarmi, per star lì ad ascoltare le mie canzoni.
Approfittai della temporanea uscita della giovane per accostare le tende.
Gli sferrai un pugno in pieno volto. Tramortito lo trasportai in una scompartimento vuoto.
E ora cominciava il vero lavoro.
Lui, la sera precedente, tamburellava sulle spalle di lei.
Con una mano afferrai i pollici e gli indici, mentre con l’altra premevo sulle cesoie.
Gli staccai due dita e le posai sul sedile.
Svenne subito, non prima di avermi guardato tutto rigido.
A fine concerto l’avevo visto caricare la ragazza sullo scooter.
Il sangue usciva a fiotti dalla ferite ed io pensai bene di chiudere quelle aperture cospargendole di alcool e cauterizzandole con il fuoco.
Prima di accendere il motore aveva osato baciarla.
Con le forbici le tagliai la lingua posandola sul tavolino.
Infine, con uno sforzo di altruistica abnegazione, dopo aver piombato alcuni colpi con il bastone, gli gettai addosso un fiammifero acceso.
Me ne rammaricavo, ma aveva trovato un piccolo uomo, che passati i cinquant’anni non si lasciava sfuggire nessuna occasione per strappare al loro destino stracci d’amore.
Roberto Estavio Settembre 2006
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