Una Ragazza Come le Altre
Era di nuovo l’alba, i tiepidi raggi di sole penetrati dalle finestre mi colpivano debolmente gli occhi.
Come ogni mattina non vedevo l’ora di vederli, per sentirmi vivo, per sentirmi ancora vivo.
Ero sveglio da un po’, anzi a dir la verità non mi ero ancora addormentato o almeno così credevo.
Intorno a me c’erasolo silenzio. Un silenzio che io avevo voluto, un silenzio che io mi ero imposto.
Un silenzio che pensavo mi servisse a espiare le mie colpe.
Ora mai erano più di tre anni che nella mia casa non entrava un rumore, un suono che non fosse quello della natura che isolava il mio mondo da quello esterno.
Ero ancora mezzo intontito dai pensieri che mi attraversavano la mente, ormai erano settimane che non mi muovevo dalla casa, dalla mia montagna, da me stesso.
Mi rigirai nel letto e vidi il mio personal ancora acceso dalla notte precedente, anche a lui avevo tolto la parola, niente casse, solo il rumore acuto dei dati che venivano letti e trasmessi, solo il rumore dei tasti che colpivo velocemente.
Mi alzai e mi avvicinai a lui, ormai l’unico mezzo che mi teneva in contatto con il mondo.
Mossi il mouse e vidi subito sullo schermo la segnalazione dell’arrivo di una mail.
Una mail che conteneva un messaggio proveniente dal paese, d’altronde gli unici che conoscevano il mio indirizzo erano là, era indirizzata al “Dottore”.
Quasi mi ero dimenticato di essere stato un tempo un medico, confessore di questo paese dimenticato da tutti, anche dagli stessi abitanti.
Aprii la mail proveniente dal comando dei carabinieri, scritta dal mio amico o così credevo, Franco.
Nella mail, Franco, mi spiegava che c’era stata un urgenza in paese e che dato che il vecchio medico s’era preso una settimana di ferie ed il nuovo e giovane medico era alquanto scontroso e indisponente, mi chiedeva se potevo fare una visita in commissariato. Mi scriveva, sempre nella mail, che avevano trovato una giovane in palese stato confusionale e che questa ragazza sembrava alquanto “strana”.
Quella parola strana scritta tra virgolette mi vece venire un brivido alla schiena, chissà cosa voleva dire?
In ogni caso pensai che mi avrebbe fatto bene vedere un po’ di gente, sentire un po’ di rumore, sentire una voce che non fosse la mia.
Uscire dalla mia prigione mentale mi avrebbe permesso di andare avanti ancora per un po’, mi avrebbe permesso di respirare un po’ d’aria, mi avrebbe dato un altro giorno di vita.
Cosi mi incamminai lentamente verso il paese, la strada scendeva in modo delicato e ad ogni curva e ad ogni passo ripensavo a me stesso, a cosa mi aveva ridotto così, a quando avrei superato le mie paure, il mio voler scomparire del tutto, il mio nascondermi completamentedi fronte alle responsabilità.
Giunsi finalmente in paese, lo attraversai per un bel pezzo fino a giungere di fronte al commissariato, giusto in tempo ad evitare che i mie pensieri mi facessero di nuovo crollare in un pianto disperato.
Entrai con calma, dalla porta a vetro, subito notai in un angolo Franco, era seduto su una sedia e sul suo volto aveva i chiari segni di chi non aveva chiuso occhio tutta notte.
“Ciao Franco ti vedo un po’ giù, allora cosa è successo?”
“mi dispiace averti disturbato, ma questa che mi è passata fra le mani è una cosa piuttosto disturbante, è una cosa che non so spiegarmi fino in fondo è… strana”. Disse lui.
Questo termine, “strana”, che continuava a ripetere non mi suonava affatto bene, come faceva a non saper utilizzare nessun altro vocabolo, cosa poteva essere che in 15 anni di lavoro non aveva già visto, già vissuto.
“Questa ragazza, non si ricorda niente, non sa chi è ” riprese lui
“L’abbiamo trovata senza apparente memoria, svenuta, vicino al palazzetto dello sport”
“Ma la cosa inquietante non è questa, sai c’è stato un concerto ieri sera, i ragazzi, bevono, ballano e può succedere che stiano male e che magari qualche figlio di puttana ne approfitti per ripulirli, il problema è la serenità disarmante di questa ragazza, irradia dolcezza, non so come spiegarti, è come non fosse mai cresciuta come fosse regredita ad uno stato primordiale come se non esistesse ….”
“Non so come spiegarti devi conoscerla per sapere cosa intendo”.
Non sapevo cosa pensare, non sapevo cosa dire, più che altro non capivo cosa mi stesse dicendo.
Era veramente scosso, muoveva le mani in modo frenetico e mi guardava con occhi sbarrati.
Franco aveva forse conosciuto qualcosa che la sua mente non riusciva a catalogare, conosceva ladri e assassini, puttane e accattoni, ma da come la descriveva sembrava avesse visto una santa e per un carabiniere non penso sia una cosa comune.
Franco mi accompagnò di fronte alla stanza dove di solito venivano interrogati i sospettati.
“L’abbiamo lasciata qui dentro, abbiamo preparato un lettino di fortuna, ma lei sembra che non abbia voglia di dormire” Guardai attraverso lo spioncino che serviva per controllare i sospettati e vidi infondo alla stanza una figura seduta su una sedia.
“Doc.” Cosi mi chiamavano di solito.
“Ti ho chiamato, perché un po’ mi fa paura.” Mi disse guardandomi negli occhi.
“lo sai come sono fatto. Le cose o, per meglio dire, le persone che non capisco, mi fanno paura, mi spiazzano. Non so mai come comportarmi. Ho paura di essere troppo aggressivo e questa ragazza mi sembra un animo candido anche se in tanti anni di lavoro non mi era mai capitata una cosa del genere. Vedi tu sei riesci a capire chi è e se veramente ha perso la memoria. Se mai ha avuto una memoria da perdere”Distolsi lo sguardo da lui.
“Ci proverò” risposi tristemente guardando verso la porta della stanza.
“Doc., sono passati più di tre anni, non puoi vivere per sempre in questo modo, non puoi staccarti dal mondo, perché in ogni caso non riuscirai mai a scappare da te stesso” Aveva ragione e lo sapevo, ma dovevo distruggere tutto per poter ricostruire, ma non riuscivo ad annullare tutto. Non riuscivo a pulire la mia mente. Non riuscivo a smettere di pensare che era stato tutto sbagliato e io volevo ripartire dalle fondamenta.
“Ci proverò” ripetei, più a me stesso che a Franco e aprii quella porta.
Entrai in quella stanza.
Appena chiusa la porta dietro di me, venni investito da una musica dolce, da un senso di tranquillità di pace, come se quelle mura spoglie avessero iniziato a produrre una melodia dolce e triste. Era come se le ali di una farfalla suonassero un’arpa con corde fatte di raggi di luce.
La ragazza non si era mossa, stava lì seduta, guardava un punto indefinito all’interno della stanza, proprio vicino alla finestra sbarrata alla mia destra. Un momento dopo quasi per sbaglio posò i suoi occhi verdi su di me.
Era molto bella, capelli neri, lunghi, lisci, mi guardava come se io non esistessi, lo sguardo mi attraversava, sembrava stesse cercando di andare oltre il mio viso, oltre la mia figura, stava cercando di leggere dentro di me.
Mi mise a disagio, nessuno mi aveva mai guardato così.
Sentivo qualcosa di diverso nella stanza, sentivo un soffio che sbattendo contro le pareti si espandeva in tutte le direzioni, un vento che mi circondava e mi avvolgeva.
La guardai di nuovo stava canticchiando, ma più che cantare, stava muovendo le labbra, sembrava stesse parlando con se stessa.
Era veramente bella.
Feci la prima mossa.
“Ciao, mi hanno chiamato qui per controllare come stavi, mi hanno detto che non sei stata molto bene stanotte” Mi guardò, come se per la prima volta sentisse qualcuno parlare, sembrava che le mie parole avessero spezzato chissà quale magia.
Io continuai.
“Lo so che non sembra, ma io sono un dottore, o almeno un tempo lo sono stato”
“Se c’è qualcosa che non va, se non ti senti bene, puoi dirmelo” Lei continuò a canticchiare come se nemmeno mi avesse sentito
“Scioglie la neve il sole, ritorna l’acqua al mare” percepii nel vento
Per la prima volta nella stanza sentii delle parole, era lei, aveva cantato qualcosa.
Lei parlava la mia lingua, forse.
“Capisci quello che ti dico?”
“Strano trovarsi qui” Sentii di nuovo delle parole, anzi erano come dei versi di canzoni a me sconosciute.
“mi hanno catturato, mi hanno portato qui, solo perché io non ho un nome, non ho un posto dal quale provengo” disse lei
“Ma tutti provengono da qualche posto” le ripetei
Lei fece finta di niente, quasi l’ avessi annoiata, come se io non la interessassi più, il soffio, che io chiamavo parole, cessò di colpo dopo che ebbi udito.
“ritorna quando saprai costruirti una vita”
In una sola frase mi distrusse, non so come potesse averlo capito, non sapevo cosa dire, non sapevo di cosa parlare, mi aveva ammutolito.
Chiusi gli occhi quasi per piangere e mi girai per andarmene.
“Fermo il tuo posto è qui” Sentii di nuovo quel soffio che mi parlava.
Mi girai, lei era in piedi a non più di mezzo metro da me.
Non l’avevo nemmeno sentita alzarsi, ne camminare.
Ma non provai paura quando la vidi.
Mi accorsi che nei suoi occhi c’era tristezza, sembrava un animale cresciuto libero e catturato per essere mostrato al mondo.
“Lasciami libera” disse
“Riportami dove mi hanno trovato” mi pregò lei.
“Non posso, mi spiace ma non ti lascerebbero andare via con me” replicai
“Io posso uscire da qui, ma non so ritrovare la strada. Sono persa, girerei in eterno.
Tu conosci le strade, tu sai qual è la direzione, io posso andare ovunque ma non so come tornare dove sono nata” Non riuscivo a capire dove volesse arrivare.
La guardai da vicino, era magrissima quasi trasparente, mi domandai come riuscisse a camminare.
“Tu mi guiderai”mi disse
Non so perché ma le sue parole mi diedero fiducia.
Dopo molto tempo una persona si affidava a me completamente.
La cosa mi onorò e mi spaventò. Ricevere la fiducia di una persona mi aveva distrutto.
“Non è colpa tua, tu amavi la tua musica e anche lei la amava” No, non potevo ascoltare oltre, come faceva a conoscere i miei pensieri?
Come poteva sapere cosa amavo, come faceva a leggere nella mia mente, nella mia anima.
Un soffio, delle parole che conoscevo, arrivarono alle mie orecchie, al mio cuore.
“Il sole arderà i nostri corpi, fin che la pioggia non ci regalerà un attimo per poterci riposare” Come faceva a conoscere le parole di una mia canzone, chi era questa ragazza?
Come faceva a conoscere tutto di me?
“Tu sai chi sono io” mi ripeté lei
Chiusi gli occhi per guardarla meglio.
“Va bene farò come vuoi” dissi io quasi ipnotizzato
“Qui fuori a 200 metri sulla sinistra si trova una fontana, di fronte a questa fontana si trova una panchina in legno, (dove le chiesi un bacio) io ti aspetterò lì tra 10 minuti, se non verrai io me ne andrò e ti lascerò qui e non mi rivedrai mai più”
“Va bene, spero solo che il viaggio verso il luogo in cui sono stata trovata non sia troppo lungo” rispose lei
“Non preoccuparti in 10 minuti arriveremo, preoccupati di come uscire di qua, non sarà facile” le dissi
“Ci vediamo alla panchina tra dieci minuti, tu non scappare, soprattutto da te stesso” mi disse come se stesse parlando con un bambino.
Aprii la porta ed uscii dalla stanza.
Era come risvegliarsi da un sogno, tutto mi sembrava sfocato.
Franco mi aspettava fuori dalla stanza.
“Allora? Hai scoperto qualcosa?” Mi disse in modo apprensivo.
“No mi spiace, Non vuole parlare” risposi
“Avevi ragione è strana, non la capisco, però è pura sembra una rosa coperta di rugiada” Mi guardò in modo strano, forse pensava che mi ero innamorato di lei, ma non era così.
Io sono sempre stato innamorato di lei, anche quando non c’era anche quando ho voluto tenerla lontana da me.
L’avevo riconosciuta, era incredibile, ma era lei.
Me ne andai senza salutare nessuno.
Uscii sulla via percorsi velocemente la strada che mi separava dalla panchina.
Appena appoggiai la mia mano sulla panchina sentii, di nuovo quello stano soffio.
Quasi mi ero dimenticato di quella splendida sensazione che provavo in quella stanza appena lasciata.
“Seguimi ” le dissi senza girarmi
Sentii la sua mano appoggiarsi sulla mia spalla e ci incamminammo.
Il leggero soffio di vento che l’accompagnava era diventato una brezza estiva, qualcosa che allietava i nostri passi su questa terra.
Lei non camminava, si lasciava trasportare dal vento.
Ero felice, dopo più di tre anni ero felice, se non fosse stato che avrei accorciato la mia felicità avrei corso e poi corso ancora.
Ma la felicità se ne sarebbe andata con lei.
“No io ci sono sempre, tu l’hai dimenticato, hai voluto perdermi, hai voluto il silenzio intorno a te”
“Tu mi odiavi” mi disse
“Tu hai attribuito la colpa a me per una cosa per cui non esistono colpe”
“Adesso sai qual è la medicina che ti salverà da te stesso, usala” Arrivammo sulla collinetta su cui fu trovata.
“E ora addio”
“Tornerò forse, un giorno, se tu sarai in grado di vedermi”
Un vento caldo estivo mi colpii alle spalle. Il suono di mille canzoni mi entrarono nel cuore, mi girai lei non c’era più.
Lei non era sparita, ma io avevo una vita da ricominciare a vivere, grazie a lei.
SangueImpazzito 18.09.2002
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