Ultima Fermata
Quando il treno lasciò la Stazione Nord erano passate da tre minuti le nove e in cielo cominciavano ad adunarsi i primi squarci crepuscolari. Con gli avambracci poggiati alla bordura cromata dell’ampio vetro dello scompartimento, Uri guardava la banchina scivolare sempre più rapidamente verso destra. Era in viaggio da poco meno di tre ore eppure sentiva già addosso la logorante spossatezza di un viaggio allucinante attraverso tutta la penisola: forse il caldo, forse quella maledetta sensazione di impotenza…..
Sospirò profondamente e sedette al suo posto, abbandonando i muscoli e gettando una fugace occhiata agli altri tre occupanti della carrozza: due fidanzatini che cinguettavano allegramente lucidi di felicità e un sonnecchiante rappresentante di qualche non meglio specificata azienda, almeno a giudicare dal dozzinale abbigliamento che lo conteneva. Tornò a guardare per un attimo il caotico fluire del paesaggio al di là del treno spostando poi la messa a fuoco sulla superficie trasparente del vetro che rifletteva la spettrale immagine del suo viso: possibile che si fosse consumato in quella maniera in due soli giorni? Se fosse andato avanti così probabilmente non sarebbe riuscito a portare a termine l’intero lavoro anche se forse sarebbe stato meglio così. Ma ormai aveva accettato, presentarsi senza aver completato l’opera avrebbe significato andare contro la sua natura, assolutamente immorale. Si alzò e uscì dallo scompartimento, dirigendosi verso la testa del vagone seguito dagli sguardi di curiosità degli altri viaggiatori che probabilmente mai avevano visto in una giornata torrida come quella qualcuno vestito con un pesante cappello di lana calcato fin sulle orecchie, uno sformato e lunghissimo impermeabile con il bavero rialzato, pesanti pantaloni di fustagno, guanti e rigidissimi stivaloni di cuoio. Tutto rigorosamente rosso.
Quando tornò ad occupare il suo posto di lì a mezz’ora, Uri notò con piacere che i fidanzatini non erano più nello scompartimento, mentre il presumibile rappresentante continuava imperterrito la rumorosa pennichella. Non ci mise però molto a realizzare che il treno non aveva fatto nessuna fermata, anzi, che fino alla Stazione Centrale, capolinea di quella tratta in cui anche i binari morivano, non c’erano altre fermate. Nessuno sarebbe più sceso da quel treno fino ad allora e se tutto fosse andato secondo i piani….. S’incupì dunque quando scorse i due ragazzi abbracciati che passavano nel corridoio.
Non riteneva di essere così perfido come chiunque lo avrebbe dipinto conoscendo le sue intenzioni, era soltanto una visione distorta di ciò che lui rappresentava. Non è facile per nessuno ribellarsi alle proprie leggi, che ci avviluppano fino a permearci l’anima, all’istinto che ci ha generato e che preordina la nostra condotta: nel suo caso non era neppure ipotizzabile provarci. Guardò nervosamente l’orologio lasciandosi sfuggire un gemito d’impazienza: ancora nove minuti, se il treno avesse rispettato la tabella di marcia, poi quell’angosciosa attesa sarebbe finita e lui sarebbe tornato quello di sempre, indifferente a ciò che gli accadeva intorno ma succube del suo destino. Avrebbe voluto mettersi a gridare a squarciagola di scendere da quel treno, tirare il freno di emergenza e poi sparire, ma sapeva che nessuno avrebbe potuto fermare quel treno. Non più ormai. Non dopo essere entrato nella cabina del locomotore e aver fatto quello che aveva fatto. Al macchinista che ora giaceva riverso sulla plancia dei comandi, il dorso squarciato dall’ano fino alla base del collo: la testa staccata dal tronco e poggiata ai suoi piedi con l’espressione serena di chi non sa. Le viscere e tutti gli organi interni erano stati diligentemente estirpati e collocati in bella mostra per terra, sulla moquette nera di sangue rappreso. Sarebbe stato sufficiente un colpo di pistola alla nuca, ma gli ordini erano stati tassativi, niente iniziative personali. Uri si osservò le mani: ancora pochi minuti e avrebbero ripreso la loro forma originale, lacerando i guanti e facendolo urlare di dolore, la coda arrotolata nelle mutande avrebbe cominciato a premere per saettare fuori e le ali membranose si sarebbero spiegate pronte per spiccare il volo. D’altronde quando era stato mandato sulla Terra per aprire l’ennesimo e interminabile capitolo dell’eterna lotta tra il Bene e il Male, Uri sapeva già tutto questo. E Loro dovevano attenersi alle Sue regole: niente distruzioni di massa, la reazione del nemico sarebbe stata per loro nefasta. Uri tirò giù il finestrino dello scompartimento e si affacciò sulla notte nera mentre in lontananza le luci della Stazione Centrale correvano follemente incontro al treno.
Simone Nuzzo
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