The Headtrasher
Ricordava con orrore quando aveva visto per la prima volta la vera faccia di uno di “loro”.
Detestava chiamarli “loro” perché, come recitava una battuta del suo film preferito, dove ci sono dei “loro” c’è anche un psicopatico paranoico, ma proprio non sapeva come chiamarli. La creatività non era mai stato il suo forte.
Avvenne in una sera noiosa e solitaria. Non ricordava quando aveva cominciato a fare quella vita triste e sedentaria, ma nel suo cuore risiedeva la certezza che probabilmente avrebbe smesso solo quando sarebbe passata a fargli visita la nera signora.
Alle 21.30, puntualissimo, il ragazzo delle pizze aveva bussato alla sua porta.
Lui si era scollato dal divano e, ciondolando, si era avvicinato all’ingresso con ancora in testa i pensieri di poco prima. Sorrise all’idea grottesca di trovarsi di fronte uno scheletro vestito di nero, una falce nella mano sinistra e una pizza nella destra, venuto a prenderlo.
“Chissà se vorrà pure il resto dopo!” – Sghignazzò.
Non ricordava bene nei dettagli la sua reazione dopo aver aperto la porta, ma era sicuro di essersi messo ad urlare di terrore, immobilizzato sull’uscio di casa.
Il ragazzo delle pizze lo aveva guardato attonito attraverso i suoi 5 occhi gialli e, se non fossero intervenute le ventose che ricoprivano la sua pelle, probabilmente avrebbe fatto cadere la pizza. Dopo aver bofonchiato qualcosa attraverso il suo becco da calamaro, era scappato terrorizzato da quell‘inquietante cliente.
Mario invece aveva sbattuto la porta con violenza ed era corso in bagno a vomitare lo spuntino delle 18.
Nei mesi successivi “loro” si erano palesati sempre più spesso ai suoi occhi, ma parevano non accorgersene. Molti di loro avevano continuato a svolgere le proprie attività, come quella donna-ragno che insisteva per lasciargli il posto a sedere sull’autobus notando che Mario era in preda ad un malore, ignorando di esserne lei stessa la causa. Altri scappavano impauriti dalle sue reazioni sconvolte, prendendolo per pazzo, uno di quelli pericolosi.
Con il tempo aveva anche imparato che bastava strizzare gli occhi per 10-15 secondi e “loro” riprendevano le proprie sembianze umane.
Una volta, durante la sua pausa pranzo, il suo capo si era trasformato in una creatura orrenda con i denti da squalo. Dopo qualche secondo in cui la sua mente si era rifiutata di capire, Mario si era finalmente accorto che nel panino che il capo stava addentando c’era un neonato, o almeno quello che ne restava.
Ci erano voluti molti uomini per placarlo e il dottore della ditta aveva dovuto iniettargli dei sedativi. Quando finalmente Mario si era ripreso, aveva trovato il suo capo seduto attonito accanto a lui. In una mano stringeva ancora un panino alla carne tartara.
Stava forse impazzendo?
Secondo il dottore che lo ascoltava due volte a settimana, si.
In cuor suo non riusciva a spiegarsi perché li vedesse solo lui.
Forse lui era “il prescelto” o qualche stronzata del genere. Forse aveva ragione quel vecchio hippy, che negli anni ’70 gli aveva riempito la testa di storie su come l’uomo avesse sviluppato con l’evoluzione un filtro per tenere fuori dalla testa le cose più assurde del mondo, in modo da concentrarsi sulle faccende quotidiane. Secondo l’hippy, solo delle potentissime droghe avrebbero permesso di aggirare il filtro e vedere la realtà nuda e cruda. Evidentemente il vecchiaccio ignorava che il filtro si potesse anche rompere. Come quello di Mario.
Nel giro di pochi mesi, Mario aveva ormai imparato a trattenere le proprie reazioni, anche se non è proprio piacevole firmare una ricevuta ad un postino-formicone gigante o farsi dare il resto da una cassiera con due teste di pesce ricoperte di pus.
Il primo pensiero che gli venne in mente fu quello di farla finita. Non con la vita naturalmente, per un agnostico come lui era troppo stupido come gesto, ma con i suoi occhi.
Un bel colpo di rasoio e via, cieco alla meta. Avrebbe potuto vivere libero da quelle oscene visioni.
Ben presto però, l’idea di non sapere con che mostro aveva a che fare, lo distolse dal piano.
Quasi senza accorgersene, si ritrovò un giorno a pedinarne uno all’interno della metropolitana. Fu allora che ebbe l’illuminazione: se li attaccava isolati, uno a uno, arrivandogli alle spalle, probabilmente non sarebbero mai riusciti a difendersi e poteva sopraffarli.
Sarebbe diventato un giustiziere di creature mostruose.
Mentre la sua mente vagava ancora su di un’improbabile folla acclamante nei suoi confronti, raccolse una barra di ferro dal pavimento e spaccò la testa alla creatura.
Purtroppo la morte ebbe sulla creatura l’effetto contrario a quello che Mario aveva immaginato.
Al momento della morte il mostro riassunse definitivamente la propria forma umana. Il sangue aveva il colore del sangue e anche le cervella parevano non avere niente di strano, sebbene il nostro eroe non avesse mai visto prima delle cervella sparpagliate sulla banchina della metropolitana per confermare l’ipotesi.
Pazienza. Probabilmente gli altri uomini non erano ancora pronti.
Decise quindi di “spacciarsi” per un serial killer. Si inventò addirittura una firma da lasciare sul luogo di ogni delitto e cercò di rispettare una sorta di schema.
Aveva letto in un romanzo che quel tipo di cose mandava in sollucchero investigatori e profiler.
I giornali gli dedicavano le prime pagine, lo chiamavano “The Headthrasher” perché non lasciava molto di intatto nella testa dei poveri malcapitati. A lui il soprannome non piaceva, troppo anglofilo, ma la sua creatività non gli suggeriva niente di meglio.
Non sapeva perché si accaniva sulla testa delle vittime. Sesto senso forse, o molto più probabilmente era tutta colpa di qualche film sui vampiri o sugli zombie che aveva visto troppe volte.
Il miglior investigatore del paese, un certo Antonelli, era sulle sue tracce, con una task force di moltissimi uomini a disposizione, ma ancora brancolava nel buio.
Un paio di volte, Mario provò l’impulso di tagliare via qualche pezzo dai cadaveri, da tenere come souvenir, ma l’idea che i brandelli potessero improvvisamente riassumere sembianze mostruose lo dissuase.
Qualche volta, se la creatura si era tramutata in una donna carina, aveva fatto sesso con il cadavere. Insomma, si ripeteva in quei casi, sono single da anni e, si sa, l’uomo non è di legno.
Dopo cinque anni di onorata carriera di angelo della morte, con Antonelli che sembrava quasi per gettare la spugna e dare le dimissioni, Mario ebbe un improvviso delirio di onnipotenza.
“Se mi infilo nella stanza di un albergo molto alto, al buio, con un fucile silenziato, potrò abbatterne molti di più alla volta e magari farla franca.”
Il vecchio vizio di parlare ad alta voce poteva essere molto pericoloso per il proseguimento della sua nuova carriera, ma per fortuna Antonelli nemmeno si sognava di mettere delle cimici nella casa di un comunissimo e noiosissimo ragioniere come lui.
“Stanza 105, signore”
“Grazie, buona giornata”
Si posizionò alla finestra verso le 18.
Il sole non batteva sul palazzo e la penombra della stanza lo rendeva quasi invisibile.
Sotto di lui, il marciapiede brulicava di persone indaffarate nello shopping serale o nel ritorno a casa.
Non era stato affatto facile procurarsi quel fucile, ma il mirino di precisione era qualcosa di straordinario. Da lì riusciva a vederli tutti: donne che al posto della bocca avevano una specie di imbuto dentato, uomini-insetto, altri mostri indescrivibili. Sperò che non ce ne fossero troppi indaffarati a mangiare, perché ancora non riusciva a sopportare la metamorfosi di semplici panini in mani mozzate o viscere umane.
Cominciò a far fuoco. Le teste delle vittime esplodevano in nubi rossastre. Una, due, dieci, quindici.
Ben presto fu il panico.
Ad ogni colpo, Mario scoppiava a ridere a crepapelle, soddisfatto ed eccitato allo stesso tempo.
Urlava improperi nei confronti dei mostri, ma nemmeno si accorgeva di pronunciare delle parole dotate di senso.
“Signor Antonelli, deve presentarsi all’Hotel Plaza. Un’ora fa i cecchini hanno abbattuto un folle che stava compiendo una strage sparando sulla strada. Quelli della scientifica hanno modo di pensare che sia lo stesso uomo che sta cercando lei.”
“Impossibile!! Sarò lì in 10 minuti!”
Antonelli era così impaziente di vedere l’assassino che arrivò anche prima di quanto promesso.
Gli bastò dare un’occhiata alle vittime stese sull’asfalto per capire che la scientifica probabilmente ci aveva visto bene e che quello era davvero il serial killer a cui dava la caccia da cinque lunghi anni.
“Certo che questo qui era proprio schizzato eh commissario?”
“Già…”
Antonelli si passò pensieroso un tentacolo sul suo mento spugnoso.
Possibile che quell’uomo avesse capito tutto? Forse era stata solo una coincidenza, ma se dall’alto avevano affidato quel caso a lui, allora non era il solo a pensarla così.
Gli passò per la testa di avvisare il comando supremo perché era probabile che gli umani avessero ricominciato a vedere. Forse lo scudo mentale installato geneticamente su di loro durante l’invasione di 8000 anni prima stava cominciando a cedere e presto avrebbero potuto tentare una rivolta contro i loro mostruosi schiavisti invisibili.
Alla fine decise di lasciar perdere. La testa del carnefice era andata in poltiglia per colpa di un cecchino troppo preciso e non era rimasto molto materiale per effettuare delle verifiche attendibili. Quelli del comando supremo erano severissimi sui falsi allarmi e sullo spreco di risorse.
Staccò un dito e qualche brandello di pelle dal cadavere di Mario e li infilò nella busta per le prove. La vista di tutto quel sangue gli aveva messo appetito e nel frigorifero non c’era più molto da mangiare.
Daniele Del Frate agosto 2007
RACCONTI DELLO STESSO AUTORE: La Porta – Mamma – Tote Truppe – Emofagia Onirica – Umberto do it Better
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