Soffoco
La stanza è spoglia, priva di mobili ed arredamento. Le pareti ed il pavimento sono chiari ed anonimi. Al centro, in piedi, una donna dall’aria preoccupata avvolta da un nugolo di persone vestite tutte allo stesso modo, di scuro. Ben allineate, come soldati svizzeri, sono voltate dalla parte opposta in cui guarda la donna. Tendono a sfiorarla, a stringersi intorno a lei piano piano, sempre di più. Oscillano come boe sul mare calmo. Automi. Apparentemente privi di coscienza e d’anima, fissano la parete scialba dinanzi a loro, ignorando la donna. Lei vacilla. Gli occhi sempre più grevi, la bocca che si spalanca alla ricerca di ossigeno. Otto di loro fanno cerchio su di lei impedendole definitivamente di fuggire. La donna si guarda attorno, cerca di girarsi, ma senza esito. Nessuno la può aiutare. Sta soffocando. Non riesce ad opporsi alla macchia d’inchiostro che la sta seppellendo. Piega la testa sulla spalla, cercando una posizione che le consenta di respirare. Scivola verso il basso senza quasi accorgersene. Le sue mani ossute cercano vanamente un appiglio. Scompare. Gli individui scuri si compattano, calpestandola.
La donna si sveglia di soprassalto nel suo giaciglio. Sudata, respira a fatica. Il ricordo dell’incubo è ancora fresco. Trema di freddo sotto la doccia circondata dai vetri appannati. Lavandosi i denti qualcosa le va di traverso facendola tossire violentemente. Inghiottisce due grosse pastiglie bianche, dopodiché si reca a lavoro.
Nell’autobus affollato, rimane a fatica ancorata ad uno dei freddi tubi neri. Con lo sguardo assente adocchia ogni tanto gli occupanti. In fondo, alle sue spalle alcuni studenti scherzano tra loro a voce alta. Il resto dei passeggeri sono signore che starnazzano ininterrottamente e vecchietti semiaddormentati che non si accorgono della saliva che gli cola dalla bocca. Un ragazzo in piedi, di fianco al posto di guida, la fissa dritto negli occhi. La donna se ne accorge. Volge lo sguardo altrove. Gli occhi del ragazzo sono gelidi e penetranti. E’ come se volessero entrare nell’intimità della donna e tastarne l’aridità che la permea. La donna sa di essere ancora osservata da quello strano figuro. Dietro di lei gli studenti, che poco prima scherzavano, si alzano lentamente in silenzio. Con un impeto di coraggio, la donna decide di affrontare quel giovane. Cercando di rimanere in equilibrio, fa qualche passo in avanti e giunta dinanzi a lui gli domanda cosa voglia. Mentre attende la risposta, l’autobus rallenta sino a fermarsi. Il guidatore inserisce il freno a mano, spunta dalla cabina e si volta verso i passeggeri. La donna spalanca gli occhi. Sul volto sfigurato del guidatore è in atto una trasformazione. Gli occhi felini allungati arrivano fino alle tempie. E’ come se fossero disegnati da un pittore. I passeggeri che la precedeno e l’affiancano, si alzano girandosi contemporaneamente verso di lei. Gli studenti in fondo giungono alle sue spalle, sino a sfiorarla. Nell’autobus c’è un silenzio irreale. Hanno rivelato la loro vera natura. Anche il ragazzo, che precedentemente la fissava, è mutato in una maschera di esecrazione. Insieme, il guidatore e gli altri passeggeri, puntano su lei. Come nell’incubo, le si stringono addosso avvinghiandola chi per le braccia e chi per i capelli. Alcuni di essi s’inginocchiano fino al suo pube, immobilizzandole le gambe. Le unghie nere ed affilate dei mutanti, le lacerano i vestiti e le carni. Il sangue spruzzato macchia i seggiolini ammaccati. Le viene tirata la testa all’indietro. Le sue grida si spengono mentre le aprono la gola.
L’ennesimo incubo sveglia la donna che poggia la testa su un cuscino piatto. Si trova imprigionata all’interno di un polmone d’acciaio, in una stanza semibuia di un ospedale. Il volto della donna si gonfia. Grida a squarciagola senza che nessuno possa sentirla.
Christian Marchi dicembre 2005
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