Ritratti
“Che cosa ne dice?” chiese l’ispettore mostrando la foto del cadavere orribilmente straziato a Mitchell. Questi la osservò e rabbrividì:
“Mio Dio… è terribile. Chi può essere stato a commettere una simile mostruosità?” si chiese. L’ispettore alzò le spalle:
“Non lo so, dovrebbe dirmelo lei, caso mai” puntualizzò.
“Come sarebbe? Non crederà che sia stato io?” rispose Mitchell allibito. L’ispettore rise e lo tranquillizzò:
“Si calmi. Chiunque sia stato, ha una forza fisica notevole e lei non ha questa caratteristica. Però, il fatto strano è che da qualche tempo a questa parte tutti coloro che hanno avuto a che fare con lei muoiono come mosche. Come se lo spiega questo?” domandò sedendosi al suo posto dietro la scrivania.
“Non ne so niente” farfugliò Mitchell. L’ispettore si stirò alzando le braccia verso il cielo, poi emise un lungo sospiro di disappunto: non amava sprecare il suo tempo.
“Non sospetto direttamente di lei, ma la informo che la stavo facendo sorvegliare da molti giorni, ormai. Io credo che lei ci sia implicato, anche involontariamente. Cosa commercia lei?”
“Forniture elettriche, ma cosa c’entra adesso il mio lavoro?”
“Ha una seconda attività?” chiese ancora l’ispettore
“No”
“Davvero? Allora dove va la sera dopo le dieci da solo?”
A Mitchell non piacque questa domanda:
“Come sarebbe a dire?”
“Intendo dire che lei quasi tutte le sere dopo cena esce con l’auto e se ne va per i fatti suoi. Dove non si sa”
“Cosa fa adesso, mi spia?” si risentì lui; l’ispettore sembrava quasi divertito dalla sua reazione:
“Non si meravigli. E’ la prassi, succede così per tutti, non creda di essere speciale”
Cì fu una pausa. Mitchell stava diventando sempre più nervoso.
“Allora, che cosa ha da dirmi? Dove va la sera da solo?”
“A prendere una boccata d’aria”
“La racconti ad un altro”
“Voglio un avvocato” protestò.
“Lei è libero di procurarsene uno, ma non è accusato di niente in questo momento. Vorrei solamente che rispondesse alla mia domanda”
“Faccio solo due passi e basta” sbuffò lui.
Mitchell stava chiudendo il cancello col lucchetto quando la brezza crebbe d’intensità. Il vento gli stava scompaginando i capelli, così fu costretto a fermarsi per un istante per risistemarseli con le mani, quando il cancello gli sfuggì di mano andando indietro di colpo e sbattendo. Mitchell imprecò e cercò di tenere ben salda l’altra parte. Questo vento era fortissimo ed innaturale, Mitchell ad un tratto udì un grido straziante provenire dalle sue spalle, non fece in tempo a voltarsi che qualcuno lo afferrò per la giacca e lo trascinò con sé. Mitchell iniziò ad urlare quando capì che si stava letteralmente sollevando da terra. Colui che lo aveva afferrato lo stava trascinando verso l’alto. Stava addirittura volando. Tentò di dimenarsi ma quando vide il volto del suo misterioso aggressore inorridì: aveva la pelle rossa come il fuoco e al posto degli occhi due piccole sferette nere senza pupille. L’essere misterioso si lasciò sfuggire una risata che lo raggelò.
Mitchell si svegliò di soprassalto e madido di sudore, per un attimo si sentì come la gola serrata da una forza misteriosa, poi si rese conto di avere avuto un incubo.
Affondò la testa nel cuscino e tirò un grosso sospiro di sollievo, poi accese l’abat-jour e fissò la piccola sveglia sul comodino: erano le otto del mattino.
Mitchell si mise in macchina e giunse fin verso l’appartamento di Rafter, un suo caro amico d’infanzia, scese dalla vettura e suonò immediatamente il campanello. Non appena Rafter scese al pianterreno il suo amico gli spiegò il motivo della sua visita.
“Sta succedendo di nuovo. Siamo nei guai” gli disse;
“Di che stai parlando?” gli chiese Rafter cadendo dalle nuvole.
“Sai benissimo di cosa sto parlando. Sto parlando di lui,è di nuovo qui” mormorò;
Rafter lo guardò fisso negli occhi, poi lo afferrò per un braccio e gli disse:
“Andiamo a parlare di queste cose su da me che è meglio” detto questo entrambi entrarono nel portone e salirono le scale.
Rafter servì un the caldo a Mitchell, il quale dopo avere mandato giù due sorsate si adagiò meglio sulla sedia:”Abbiamo bisogno di aiuto, dobbiamo parlarne con la polizia. Lo capisci?”mormorò. Rafter si sedette vicino a lui:
“Senti, io ti sono amico, però credo che tu abbia preso un granchio”
“Cristo Santo, ma perché non mi credi? La vita di tante persone è in pericolo, non lo capisci?” urlò Mitchell;
“Dannazione, Mitchell. Non può trattarsi di lui. Sappiamo tutti e due che questa storia dei ritratti è una cosa assurda”
“E allora l’anno scorso a Londra sono morte tre persone uccise da una cosa che non esiste?”
“Mitchell, ascolta. Noi dobbiamo riflettere prima di prendere una decisione”
“E allora cosa conti di fare?” gli chiese lui tamburellando le dita sulla tazzina di porcellana;
“Come fai ad essere sicuro che è qui?”
“L’ ho sognato”
“Non è una prova sufficiente” ribatté lui.
“Lo è. Io sento la sua presenza. Adesso è qui a Ravendorf”.
Mitchell chiuse a chiave la porta e si tolse il cappotto, poi chiuse l’ombrello e lo appoggiò al suo posto, accese la televisione e si adagiò sul divano. Ad un tratto udì come un gemito provenire dalla cantina, allora capì.
Si alzò in piedi e scese lentamente le scale fino a giungere nel seminterrato. Lì era buio e freddo, Mitchell rabbrividì toccando una stufa spenta. Dopo pochi passi, il gemito aumentò di intensità. Mitchell si fermò, puntando il fascio di luce della torcia elettrica davanti a sé. Illuminò un volto spettrale, identico all’immagine che aveva sognato.
“Sapevo che saresti tornato da me” sorrise Mitchell, poi si fece sfuggire un paio di colpi di tosse .Il freddo dei giorni precedenti avevano lasciato il segno su di lui. La creatura fece un passo verso di lui:
“Io sono sempre al tuo servizio. Siamo soci, non ti pare?”
gli sussurrò con la sua voce che non era una voce.
“Oh, più che soci. Siamo parenti” disse Mitchell. A quel punto scoppiò in una fragorosa risata ilare.
La memoria gli era tornata.
L’ispettore in quel momento se ne stava tranquillo ad osservare i dipinti nel corridoio della villa di campagna di proprietà del caro Mitchell. Per lui era stato facile entrare, dal momento che possedeva una copia della chiave del portone. Se le era fatta fare appositamente in gran segreto. Proprio per entrare nella suddetta dimora.
Non aveva alcun timore di essere scoperto ed accusato di violazione di domicilio. Essendo un uomo di legge, conosceva bene i regolamenti. Sapeva come aggirare i cavilli legali e come fare tornare la cosa a suo vantaggio.
Sul cancello vi era un cartello ad altezza degli occhi con una scritta ammonitrice:
PROPRIETA’ DI MITCHELL GAWREN
ENTRATE A VOSTRO RISCHIO E PERICOLO. PENSATECI.
Ma proprio mentre attraversava il corridoio la sua attenzione fu catturata da un dipinto: L’ispettore allora si paralizzò dal terrore: quel volto era identico a quello di Mitchell. Come era possibile? La data era 1817.
Prima che potesse riprendersi dallo stupore, una lieve brezza gelida gli mosse i capelli. Udì una voce provenire dalla penombra.
“Ispettore, ma che piacevole sorpresa….”
Panico.
Meccanicamente, mise mano alla fondina. In una frazione di secondo estrasse l’arma e la puntò contro i due. Ma il secondo sinistro individuo si lasciò sfuggire una risata che raggelante era dir poco.
“Che vorresti fare adesso con quella, eh, idiota? Vorresti cambiare il destino?”
“Siete …siete entrambi in arresto. Uno di voi due è il mostro di Ravendorf. O forse …forse lo siete tutt’ e due” farfugliò;
Incredibile, pensò l’uomo di legge. Sto tremando. Non aveva mai avuto paura di nessuno, ma adesso stava tremando come una foglia. Già, certo. E tutto questo semplicemente perché il suo amato sesto senso gli aveva fatto capire che quei due erano esseri umani soltanto in apparenza.
“E così, bello mio” rise ancora il sinistro individuo avvicinandosi a passo lento verso l’ispettore “ancora non hai capito che non puoi fermarci”
Quelle parole non fecero altro che aumentare il terrore in lui. Quel maledetto continuava ad avanzare. L’ispettore a quel punto fece un rapido calcolo mentale. L’unica via di fuga era la porta in fondo al corridoio. Ma non l’avrebbe mai raggiunta in tempo. Doveva a tutti i costi eliminarli entrambi.
Sparò il primo colpo. Il proiettile attraversò lo spettro come se nulla fosse e si conficcò nella parete.
“Sei contento, adesso?” lo apostrofò Mitchell in tono dileggiatorio.
L’ispettore urlò, poi sparò una seconda volta. Infine, lo spettro sollevò a quel punto le braccia verso il cielo. L’uomo di legge si sentì a quel punto trasportare da una forza misteriosa.
ADDIO IDIOTA.
Urlò lo spettro. Le sue parole risuonarono nell’aria.
In un attimo il terribile potere della creatura soprannaturale lo catapultò alla velocità di un treno in corsa in fondo al corridoio. Il suo corpo sfondò la vetrata e in un attimo precipitò nell’abisso sottostante la collina.
Mitchell osservò per un attimo lo spettro, poi sospirò:
“Muoviamoci, adesso… ci attende un lungo lavoro da fare”
“Lo so” rise lui. Continuarono a camminare entrambi lungo il corridoio. Corridoio le cui pareti erano di quadri. Erano i ritratti di tutti gli antenati della famiglia, dal 1500 in poi. Lo spettro altro non era che il vecchio Barone Gawren. E Mitchell era un suo discendente. Peccato che anche lui fosse già morto da un pezzo.
Il cosiddetto Mostro di Ravendorf non uccideva a caso come la polizia credeva. Uccideva quelli che avevano tentato nel passato di acquistare la tenuta. Ma ora che erano stati tutti eliminati, più nessuno avrebbe minacciato la sacra pace di quel luogo.
La casa sarebbe rimasta a loro. Alla famiglia Gawren.
Per sempre.
PER SEMPRE.
Diego Balestri 09.01.2005
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