Questo Sarà Il Mondo?
~ Solo… Fino all’ultimo giorno ~
Ricordava d’averla chiusa quella porta. Più che altro era una certezza. Perché adesso, allora, era socchiusa? Per di più tra lo stipite e la stessa porta c’era una scarpa che impediva al battente di chiudersi. A vedere meglio, però, si trattava di una pantofola. Da donna , era evidente. Forse una delle sue stupide figlie aveva pensato di andare in cantina?
Aveva sempre detto loro che questo era proibito; che mai avrebbero dovuto permettersi di scendere lì in basso.
E se non fosse stato per quel fragore, in piena notte, che lo aveva svegliato di colpo, sarebbe ancora nel suo letto a dormire, facendo quegli strani sogni che sempre travagliavano il suo sonno. E invece no! Quel rumore – ma cos’era stato, poi? – lo aveva svegliato e, seppure molto contrariato, era sceso a vedere cosa potesse essere stato.
Ora si ritrovava a pensare, dunque, a quale punizione avrebbe inflitto a chi tra le sue due figlie – avrebbero potuto anche essere entrambe – si era permessa di disubbidirgli.
Quella pantofola lasciata lì, però, non lo convinceva.
Perché Norkia o Serkia – e ogni volta che le nominava malediceva la moglie per aver voluto quegli stupidi nomi – avrebbero dovuto lasciarla lì?
Non volevano che la porta sbattesse? No… Avrebbero potuto chiuderla, diversamente. Sembrava fosse stata persa da qualcuno che aveva fretta e per caso si fosse posizionata lì, tra lo stipite e la porta.
E perché una delle due sue figlie, o entrambe, avrebbe dovuto scendere là in cantina, dove era severamente vietato entrare? Solo lui sapeva cosa si trovava in quel locale. C’erano voluti molti sacrifici per allestire quel laboratorio che serviva ai suoi esperimenti di alta medicina. Certo, c’erano delle cavie da dover sacrificare ma “nulla si ottiene senza sacrificio” e che quest’ultimo non fosse il proprio, poi, ma di altri esseri viventi era un particolare senz’altro trascurabile.
A questo pensava mentre s’apprestava ad andare in cantina cercando ancora di capire cosa potesse essere stato quel rumore che lo aveva tolto al suo sonno.
Cominciò, allora, a scendere la scala di legno così tanto malamente connessa nei vari componenti che ad ogni suo passo sembrava dovesse cedere all’istante. Si disse che avrebbe dovuto provvedere a ripararla prima o poi e che… Non terminò il pensiero perché vide sua moglie di traverso sulla seconda rampa di scale che scendeva in cantina. Immobile, con solo una pantofola ai piedi, che sembrava dormisse. Ed avrebbe anche potuto sembrare cosa vera se fosse stato normale dormire in un luogo come quello ed in una simile posizione.
Di certo aveva scoperto di chi fosse quella pantofola.
«Parkia!» E la richiamò: «Parkia, rispondimi!»
L’illusione che sua moglie stesse dormendo – per quanto fosse idea strana – si trasformò ben presto nella certezza di un guaio ben più grande di una volgare malattia incurabile. Signori, qui il nostro protagonista si ritrova improvvisamente davanti alla morte.
Quel rumore, allora… Capì subito essersi trattato della moglie che rotolava giù per le scale. Ma perché Parkia aveva pensato di venire giù in cantina? Di notte ed in pigiama, per giunta. Anche a lei lo aveva vietato e sapeva bene sua moglie che se fosse stata scoperta a trasgredire avrebbe subito una severa punizione. Conosceva bene anche quale sarebbe stata: altre volte l’aveva punita in quel modo quando lei non aveva ubbidito al suo volere. A volte pensava che Parkia ne ricevesse piacere ad essere punita…
Poteva essere per questo che aveva disubbidito ancora? Non avrebbe potuto più punirla però. Sembrava che avesse pensato bene di punirsi da sola, vista la situazione in cui si trovava. Era davvero morta? Era scivolata o era stata spinta? Se fosse stata vera quest’ultima ipotesi nel suo laboratorio avrebbe potuto esserci qualcuno a rovistare fra le sue cose o non sarebbe certo una delle sue figlie. No, certo. Non avrebbero mai fatto del male alla madre, almeno non adesso… Non ancora a questo punto delle cose… Potevano ancora aiutarsi l’uno con l’altro…
Chi poteva esserci, dunque, nel laboratorio?
Si convinse che l’unico modo per scoprirlo era quello di andare avanti, sorpassare il cadavere (?) di sua moglie, accertandosi prima che fosse davvero morta, ed affrontare l’eventuale intruso che avrebbe trovato. Avanzò, quindi, e scese le scale. S’abbassò quando fu nei pressi di sua moglie ad intercettare il battito cardiaco sulla giugulare.
Nulla. Nessun pulsare. Morta. Stecchita.
Si ritrovò a pensare che gli veniva naturale non provare dolore. Nemmeno un’emozione.
Doveva essere per colpa di quei farmaci disgustosi che, come tutti, era costretto a prendere e che, in qualche modo, riuscivano a sedarlo.
Era contento, adesso, di aver portato con sé la sua pistola che ora teneva in mano nella tasca della sua vestaglia. Non passava giorno che non si prodigava a tenerla efficiente. Voleva esser certo che, quando sarebbe servito – e sapeva che prima o poi sarebbe accaduto – avrebbe funzionato a dovere.
Scese l’ultimo gradino per arrivare al pianerottolo di fondo scala sul quale si trovava la porta d’accesso diretto alla cantina e che, adesso, era socchiusa. Avvertiva dei rumori all’interno ma non sapeva cosa fare: avrebbe potuto irrompere nella stanza all’improvviso, pistola alla mano, puntarla contro chiunque avesse trovato ed intimargli di sdraiarsi a terra. Avrebbe cercato, poi, qualcosa con cui legarlo per renderlo inoffensivo.
Potrebbe non essere stata una sola persona, però. O potrebbe anch’egli essere stato in possesso di un’arma da usare. E allora, cosa avrebbe potuto fare?
Forse qualcosa poteva… Se l’idea che gli era venuta si fosse rivelata giusta, se la sarebbe cavata egregiamente.
Corse al piano di sopra, aprì la porta di casa ed uscì sulla veranda. Si rallegrò di trovare, dove aveva pensato, il sacco con le foglie secche che il giorno prima Norkia e Serkia avevano rastrellato in giardino. Passò dalla cucina a prendere i fiammiferi e corse nuovamente in cantina.
Posizionò il sacco in prossimità della porta dal lato opposto ai cardini, là dove si vedeva lo spiraglio di luce proveniente dal suo laboratorio. Accese un fiammifero e lo gettò nel sacco. Non mancò molto che le foglie secche cominciarono ad emettere del fumo che, oltre ad espandersi nel vano scale, si indirizzarono anche nella stanza dietro la porta.
Si nascose allora dietro una sporgenza costituita da un grosso pilastro di fondazione ed attese. Sentì rumori n successione provenienti dalla cantina come di vetri in frantumi, sedie spostate e rovesciate frettolosamente. Era certamente “l’ospite” che, visto il fumo, era andato in panico e, adesso, cercava immediatamente di correre verso l’uscita. Lo vide all’improvviso inciampare nel sacco di foglie e cadere a terra. Quasi andò a sbattere con la testa contro un gradino. Decise che era quello il momento giusto per intervenire e, uscito dal suo nascondiglio, si lanciò sull’uomo ancora non completamente rialzato puntandogli la pistola alla schiena ed intimandogli si non muoversi. Ma quello, con movimento rapido ed imprevedibile lo colpi al braccio facendogli cadere la pistola dalla mano che andò a finire a terra non lontano da quello stesso pilastro dietro al quale lui, prima, si era nascosto.
L’intruso cominciò a salire le scale aiutandosi anche con le mani, quasi fosse un cane. Lui corse a recuperare la pistola e, una volta stretta in mano, la puntò contro l’uomo e cominciò a sparare. Non è che fosse un campione con il tiro con la pistola ma i suoi allenamenti con i barattoli in giardino dovevano essere serviti a qualcosa se con il primo colpo riuscì a colpirlo alla spalla. Ne sparò un secondo e s’accorse di averlo colpito alla schiena ed il terzo, poi, fu quello decisivo perché arrivò giusto alla testa. S’accorse subito, però, dell’errore che aveva commesso ed ora avrebbe dovuto di certo subirne le conseguenze.
Immediatamente, infatti, sentì una voce dall’alto che diceva: «Stop! Interruzione forzata! Regola contravvenuta. Il concorrente con matricola X271CB non ha rispettato il regolamento che alla voce 742-C dice testualmente:
“In caso di utilizzo di arma da fuoco si impone categoricamente ai concorrenti di non superare il numero di 2 (due) colpi da indirizzare verso ogni altro concorrente allo scopo di eliminarlo dal gioco. Pena l’esclusione dal gioco stesso.”
Per questo motivo il concorrente con matricola X271CB è eliminato dalla quarta edizione del “The horror house reality – gioco di ruolo ad eliminazione diretta – anno 2030.” Si prega il concorrente suddetto, quindi, di abbandonare la casa.
Comunicazione ai collaboratori della regia: si rimuovano immediatamente i due cadaveri e si preparino per il ritiro da parte delle rispettive famiglie.
Per tutti gli altri concorrenti: il gioco riprenderà appena terminata questa nota informativa e, come sempre: buona caccia!»
Robert Strange (ciao.it) 07.03.2005
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