Non si Gioca con il Fuoco

Racconti


“Quella sera avevo ricevuto un sms da parte di un amico, Cristiano, che mi chiedeva di raggiungerlo urgentemente a casa sua. Il numero non era nella rubrica perché avevo cambiato cellulare e probabilmente mi ero dimenticato di contrassegnarlo con il suo nome. Cristiano viveva e vive tuttora a Sanluri, una cittadina a circa 18 Km dal mio paese.
Il messaggio non era chiaro e pareva scritto con ansia. C’erano sparsi qua e là errori che Cristiano non avrebbe mai commesso, nemmeno in un sms.
Corsi giù in garage per controllare se l’auto di mio padre fosse disponibile: non c’era. Tornai di sopra, presi il telefonino e scrissi un sms di risposta:
– nn posso venir. La makina nn ce’. cs è suceso!? –
Attesi una risposta inutilmente per dieci minuti. Decisi di chiamarlo al cellulare il quale squillò a vuoto per parecchio. Lo chiamai anche al telefono di casa ma non ottenni risposta.
Mi preoccupai seriamente. Perché chiedeva aiuto proprio a me, così distante da casa sua?
Ricevetti un altro sms che mi fece rabbrividire:
– aiutami,  ti prego! –
Non indugiai oltre, mi preparai alla svelta e uscii di casa. Sentivo che qualcosa di strano stava succedendo.

Nel cielo si stavano addensando delle nubi grigie. Passai per una scorciatoia e giunsi al bivio per Sanluri.
Si erano fatte le sette di sera e stavo in piedi lungo l’orlo della strada allungando l’indice della mano destra nella speranza che qualcuno mi prendesse. Non era la prima volta che facevo l’autostop e quindi sapevo che in quel tratto di strada provinciale erano poche le auto che passavano e molto meno quelle che si fermavano. D’altronde era l’unica possibilità che avevo per arrivare.
Dopo quindici minuti passò una Panda verde alla quale feci cenno di fermarsi, ma il conducente passò con fare superbo e non mi degnò nemmeno di uno sguardo.
Erano trascorsi 45 minuti e, non riuscendo a stare fermo a causa dell’agitazione che provavo, percorsi circa tre chilometri a piedi verso Sanluri. Faceva freddo e il sole era scomparso. Da nord giungevano con gran rapidità delle nubi grigie spinte da un maestrale formatosi poco prima.
Avevo una gran voglia di far pipì. Andai dietro un rottame  d’automobile, nascosto tra erba e cespugli, a qualche decina di metri dalla strada e mi liberai. Poco dopo sentii lo stridore di una frenata. Vidi una Volvo  ferma con i fari e il motore accesi. Dovevo approfittarne e corsi verso la strada.
Buona sera. Io vado per Sanluri –
dissi.
Il tizio alla guida annuì senza fiatare e io salii a bordo.
Era un uomo sulla cinquantina, calvo con i capelli ai lati. Era grasso, puzzava in maniera spaventosa e indossava un maglione sporco e macchiato.

Il cielo si era oscurato completamente minacciando pioggia. Tanto per rompere il pesante silenzio dissi:
Meno male che si è fermato, altrimenti non so come avrei fatto… Come faceva a sapere che cercavo un passaggio visto che non stavo sul ciglio della strada in quel momento? –
L’uomo non fiatò. Probabilmente non era in vena di conversare.
A qualche chilometro da Sanluri, mi resi conto che non mi ero allacciato la cintura di sicurezza. Mi voltai indietro per prenderla e notai con grande stupore che era stracciata e pure unta. Già da appena ero salito a bordo avevo notato che il resto dell’auto era ridotto ad uno stato lercio e la tappezzeria calava dal tettuccio dell’abitacolo.

Quel respirare in maniera energica da parte del tizio mi fece venire una sorta d’angoscia. Presi il mio telefonino e provai a chiamare Cristiano. Avviai la chiamata dalla lista delle ultime ricevute e attesi. Il tizio si voltò a guardarmi ed espresse una sorta di grugnito accompagnato da un’alitosi asfissiante:
– Non chiamare cretino! –
Esclamò.
Mi scusi, sto chiamando un amico che mi aspetta a Sanluri… sono preoccupato: prima mi ha messaggiat… –
Il tizio mi prese il telefono di mano e lo scaraventò contro il volante.
– Che cazzo fa! È pazzo!? –
Esclamai in preda allo stupore.
L’uomo frenò di colpo. Vidi il suo cellulare scivolargli fuori dalla giacca e finire sui miei piedi. Mi chinai per prenderlo e notai che segnalava “chiamata in arrivo”, pur non emanando alcun suono. Sicuramente aveva la suoneria disattivata. Il numero del chiamante corrispondeva al mio. Inizialmente non misi a fuoco la situazione, poi tutto fu chiaro e allo stesso tempo sconcertante: era stato lui a mandarmi l’sms spacciandosi per il mio amico. Cristiano non centrava nulla.
– Chi è lei? Cosa vuole da me? –
Gli dissi.
– Non sai chi sono? Poverino…! Mi hai preso per il culo per anni e ora non sai chi sono? –
Più l’ascoltavo e più mi convincevo di conoscere quella voce. Ma il volto non mi diceva nulla. Lui mi fissava sorridendo, senza parlare.
– Io non la conosco e non capisco cosa voglia da me: so solo che devo raggiungere il mio amico che mi aspetta –
dissi io, pur avendo capito che così non era.
Il tizio disse:
– Non fare il cretino… Sai benissimo che il messaggino del tuo amico è una cazzata e che te l’ho inviato io –

Eravamo immersi nel buio della strada nei pressi di Sanluri. Davanti a noi, in lontananza si vedevano le luci delle automobili che sfrecciavano lungo la superstrada Cagliari – Sassari e, alla nostra destra c’era il cimitero sanlurese. La vegetazione circostante era popolata da uccelli notturni e da pipistrelli che svolazzavano sotto la pioggerellina che ormai da qualche minuto scendeva leggera.
L’uomo accese la luce posta sopra lo specchietto retrovisore e disse:
– Sono sicuro che immagini chi sono… caro Roberto! –
Pronunciato quel nome mi saltò il cuore in gola. Finalmente capivo. Rimasi immobile. Mi rendevo effettivamente conto di ciò che mi stava accadendo e ciò non mi piaceva affatto.
Il tizio disse:
– Penso tu abbia capito chi io sia! Ah! Dimenticavo… tanti saluti da Carla. Scommetto che non indovini dove si trova… la tua cara sorellina! –
Lui era Porcy. Il suo vero nome è Rodolfo… o chissà quale.

***

Era iniziato tutto quando mia sorella Franca aveva acquistato un telefonino e aveva attivato il servizio d’autoricarica tramite il quale il suo gestore telefonico aggiungeva un tanto di credito telefonico per ogni minuto di chiamata ricevuta. Da quel giorno non faceva altro che inventare e procurarsi numeri telefonici di persone sconosciute, finché incappò in uno strano tipo. Inizialmente si trattava di semplice conversazione, poi,  man mano che la cosa andava avanti gli argomenti cambiarono. Mia sorella fu costretta ad inventarsi un nome di fantasia: scelse Carla. Lui invece si diede  il nome Rodolfo. Dopo qualche tempo, non ricordo come e perché, mi ci misi in mezzo pure io. Mi presentai con il nome Roberto, anche questo di fantasia. Mi chiedeva sempre se Carla fosse lì con me. Ricordo che il suo accento sardo era vomitevole e perennemente sconcio e che gli argomenti erano sempre gli stessi: sesso, sesso, sesso. Mia sorella lo paragonò ad un porco depravato e per questo motivo, io lo soprannominai “Porcy”.
Circa un anno dopo attivai quella dannata autoricarica sul mio telefonino. Fu inevitabile dargli il mio numero. Da quel momento chiamò più me che Franca e io ne approfittai  per aumentare il mio credito telefonico intrattenendolo il più possibile: passavo fino a due ore al giorno al telefono con lui parlando di stupidaggini e prendendolo continuamente in giro.
Dopo aver raggiunto il credito esorbitante di quasi duecentocinquanta euro decisi di liberarmene non rispondendo più  alle sue chiamate. Non riuscendoci,  fui costretto a tenere quella sim sempre spenta.
Sono passati due anni e di lui non ho saputo più nulla.
Nel frattempo ho acquistato una nuova sim e, non so come, ma ha scoperto il mio nuovo numero e pure il mio paese!

***

Porcy si voltò verso i sedili posteriori e aprì una busta di nylon dalla quale venne fuori una puzza asfissiante.
– Guarda là dietro –
Fui costretto a guardare. Sollevai il nylon e vidi l’orrore: c’era una testa mozzata, irriconoscibile.
– Eh! eh! eh! L’hai riconosciuta? E’ Carla! Bella vero? Bella cogliona! –:
Disse accompagnandosi ad una risata macabra.
Ebbi un sussulto. Quel bastardo aveva ucciso mia sorella. Non riuscii a trattenere le lacrime e l’angoscia mi bloccò quasi il respiro, creandomi una forte tachicardia. Presi a colpi sul petto quel bastardo e gli urlai tutto l’odio possibile:
– Perché! Perché l’hai fatto? Sei un bastardo! Ti prenderanno. Alla fine la polizia risalirà a te…
Ok! Ammetto che abbiamo esagerato con quelle chiamate, ma arrivare ad ammazzare mi sembra troppo! Sei un pazzo psicopatico –
Porcy mi si buttò addosso con il suo eccessivo peso e io non riuscii a reagire. Cercai di picchiarlo ma essendo io poco robusto non ebbi la capacità di difendermi. Ad un tratto udii qualcuno bussare. Porcy si scostò da me e aprì il finestrino. Era un carabiniere. L’aria soffocante si liberò dall’abitacolo e fu sostituita da aria fresca, accompagnata da gocce di pioggia. Ricordo che Porcy fu costretto a scendere dall’auto e a spiegare ciò che stava accadendo al carabiniere, il quale lo squadrò e gli fece alcuni controlli. Io senza perdere tempo, ne approfittai per uscire dall’auto passando dal sedile del conducente, perché la sportina destra era bloccata. Una volta fuori, ansimando e tremando dissi:
– La prego, mi aiuti! Quest’uomo è un pazzo assassino. Ha ammazzato mia sorella e ora vuole ammazzare pure me! Guardi nei sedili posteriori se non mi crede –
Porcy mi guardò con aria vendicativa e disse:
– Faccia pure. Non crederà alle parole di questo cretino? –
Un altro carabiniere scese dall’auto di pattuglia e ci raggiunse:
Giancarlo, che succede qua? –
Chiese al collega che aveva lo sguardo incerto.
– Questo ragazzo sostiene che quest’uomo sia un assassino. Dare un’occhiata alla macchina non mi costa nulla –
Il carabiniere Giancarlo puntò la torcia all’interno dell’abitacolo della Volvo. Porcy si sfilò il cinto dai pantaloni e glielo avvolse con ferocia al collo, stringendo selvaggiamente. Simultaneamente si gettò di spalle contro l’altro carabiniere, il quale non ebbe i riflessi pronti e cadde a terra, battendo la testa su una pietra e perdendo conoscenza. Io, terrorizzato corsi via e trovai un posto buio, presso il muro di cinta del cimitero da dove vedevo Porcy grazie alla luce dei fari anteriori della sua Volvo.
La pioggia aumentò. Porcy lasciò cadere a terra il carabiniere Giancarlo e lo trascinò lungo l’asfalto per poi gettarlo nel margine della strada in un cespuglio. Così fece pure per l’altro carabiniere che aveva battuto la testa. Pregai che Porcy non venisse a cercarmi e che se n’andasse, ma in cuor mio sapevo che non sarebbe mai accaduto. Lo vidi venire verso la mia direzione cantilenando come un pazzo:
– Roberto Robertino… non farmi arrabbiare… se vengo lì vicino… io ti farò crepare… -.
Affannavo troppo forte e lui avrebbe potuto sentirmi nonostante il fruscio della pioggia. Balzai fuori da uno spiazzo in cui mi ero nascosto e corsi verso l’ingresso del cimitero sotto il suo sguardo. Scavalcai il cancello e fui dentro. Porcy mi osservò ridendo e bestemmiando:
– Brutto cretino! Lo sai che sei proprio coglione!? Alla fine di questo gioco ti prendo e vedrai cosa ti faccio. Domani il custode del cimitero troverà le tue budella appese al cancello –
Lo vidi scomparire dietro una scultura  raffigurante Padre Pio.

M’inoltrai nel cimitero, tra le tombe illuminate dai lumicini danzanti nell’oscurità funerea del luogo. Il cielo fu spaccato improvvisamente da un lampo che illuminò tutti i loculi. Ero fradicio e tremavo tutto. La sensazione di esser giunto al capolinea mi terrorizzava. Proprio ora che avevo scoperto l’amore con Valeria, una ragazza perugina conosciuta durante una gita in Costa Smeralda l’estate prima…
Voltai il mio sguardo in alto e vidi Porcy scavalcare una ringhiera. Nonostante la sua obesità era riuscito ad entrare. Senza far rumore mi calai all’interno di una fossa accanto alle tombe, destinata probabilmente a qualche funerale del giorno seguente. Era ripugnante farlo, ma dovevo nascondermi. Fortunatamente tornò a gocciolare più delicatamente.
Attesi dieci minuti. Forse venti. Poi sporsi il capo in alto. Porcy non c’era… mi sollevai da terra completamente sporco di fango e provai ad uscire dalla tomba. Udii il suo urlo dietro di me:
– Roberto… Ora raggiungerai quella bastarda di Carla! –
Mi colpì con ferocia alla testa e caddi nuovamente nella tomba senza però perdere completamente i sensi. Il dolore che provavo alla tempia era insopportabile. Portai la mano alla testa e vidi che sanguinavo. Non avevo la forza di reagire e alzarmi.
Vidi Porcy gettare della terra su di me. Sogghignando diceva:
– Questa è la tua fossa caro Robertino. Marcirai là dentro come un cretino –
Mi seppelliva. Avevo quasi tutto il corpo e il volto coperti dalla terra umida e non avvertivo il freddo: stavo perdendo i sensi… stavo morendo.

Non so quanto passò, e cosa accadde nel frattempo, ma mi risvegliai sul letto di un ospedale con la testa fasciata. Mi fu raccontato che il carabiniere Giancarlo si era ripreso e mi aveva salvato la vita scaraventando un grosso crocefisso di marmo in testa al pazzo. L’altro carabiniere invece morì a causa della perdita di molto sangue dalla testa.
Porcy ora si trova in prigione con la fama del Mostro. Gli hanno dato l’ergastolo per ben quattro omicidi. Pare avesse già ucciso mesi prima sua moglie e suo figlio.
Se non fosse per quel carabiniere, ora non sarei qui a raccontarlo. Non credi?”

Pronto… Ha chiuso! Forse non mi ha creduto. Era una storiella un po’ esagerata. Spero di aver raggiunto i minuti di conversazione per ricevere la ricarica da due euro.

Lorenzo Muntoni Luglio 2006

RACCONTI DELLO STESSO AUTORE: DutchMacabre PerversioniMommottiNella Tetra Palude

Email: [email protected]

indice racconti

INVIA IL TUO RACCONTO