Nella Tetra Palude
Era una notte afosa e Gabriella stava ferma sul ciglio del marciapiede aspettando che un’automobile si fermasse. Indossava una minigonna nera e delle giarrettiere bianche che n’esaltavano la sensualità. Un corpetto corto lasciava intravedere l’ombelico trafitto da un piercing e nella parte superiore s’affacciava un abbondante seno tatuato da un cuore.
Una sua collega dalla carnagione nordafricana si accostò e le toccò la natica:
– Stasera non si batte… Tutti froci –
Gabriella si accese una sigaretta e sogghignando aggiunse:
– Eh già! Serata povera…-
La collega tornò sculettando verso la sua postazione sul marciapiede sotto lo sguardo degli automobilisti.
Ad un tratto un’auto si fermò e Gabriella sbirciò dal finestrino socchiuso. A causa del riflesso della luce stradale sui vetri, non riusciva a vedere in volto il conducente.
Sei nuovo? Non ho mai visto questa bella BMW circolare da queste parti… Perché non rispondi? Ho capito… Sei un timido. So io di cosa hai bisogno –
Gabriella salì a bordo e avvertì immediatamente una puzza fastidiosa. Avendo però bisogno di guadagnare qualche euro sopportò. Non riusciva a vedere il viso del conducente. L’uomo aveva la testa avvolta da una fitta sciarpa nera e coperta da un capellino blu scuro. Strano, visto il caldo di quella sera di luglio.
Partirono.
La ragazza accese la luce posta sullo specchietto retrovisore e, ripassandosi il rossetto sulle carnose labbra rifatte, attese la voce del suo cliente che tardava a farsi sentire. Fu lei a rompere il silenzio:
– Dove ci fermiamo? Conosco un parco isolato laggiù, svoltando a destra –
La ragazza non ricevette risposta e allungò la mano verso le gambe del cliente che proseguì diritto verso l’uscita della città senza reagire. Improvvisamente il corpo dell’uomo si chinò sul volante. Gabriella, sgomenta cercò di sollevarlo e, non riuscendoci, lo afferrò alla testa, la quale si staccò dal collo e scivolò sui tappeti rimanendo incastrata tra il pedale del freno e quello della frizione. L’auto sfrecciava a centotrentacinque chilometri orari lungo la superstrada 131 che collega Cagliari a Nuoro e la ragazza, sconcertata da ciò che stava accadendo, scuoteva il corpo morto nella speranza di spostarlo. L’agitazione che provava le fece girare sbadatamente il volante facendo sbandare la BMW verso la corsia d’emergenza. L’auto sfondò uno steccato finendo in un campo di cardi. Non si fermava. Correva ormai a duecentoottanta chilometri orari e Gabriella non riusciva a spingere il pedale del freno perché la testa mozzata glielo impediva. A folle velocità giunsero presso una palude, le cui acque immobili riflettevano perfettamente la luce della luna. Gabriella riuscì a togliersi la cintura di sicurezza a morsi tagliandosi le labbra, ma non fece in tempo a saltar fuori dall’auto, la quale interruppe il silenzio delle acque immergendosi completamente nel suo interno. Lo sportello era bloccato. La ragazza provò a forzarlo e nel frattempo l’abitacolo fu invaso dall’acqua. Ne bevve parecchio dal naso e dalla bocca. Si levò una scarpa e sfondò il vetro del finestrino con il tacco, poi tentò di passarci attraverso. Non riusciva quasi più a trattenere il respiro quando portò fuori la prima parte del corpo. Si graffiò il petto. Ormai stava per uscire del tutto quando qualcosa l’afferrò alla caviglia. Non capiva cosa fosse. Scalciando riuscì a liberarsi e a tornare a galla. Si portò verso una riva e si sdraiò sui cespuglietti d’erba stagnante, cercando di buttare fuori l’acqua assunta. Respirava a singhiozzo. Provava un’angoscia dentro, come se qualcosa la seguisse. Tremava tutta nonostante l’afa. Si osservò la caviglia e vide che sulla pelle bagnata aveva l’impronta di un morso. Colpevolizzò follemente il cadavere nell’auto.
Ripreso fiato, Gabriella si guardò intorno: era circondata da fusti di canne cresciute all’interno dell’esteso acquitrino. Era sola a chissà quanti chilometri dalla città.
Le zanzare si stavano cibando del suo sangue. Le pareva di intravedere nell’acqua mossa dagli insetti qualcosa che la osservava. Il tutto era alquanto bizzarro e inverosimile. Provava un senso di nervosismo che le lacerava il ventre. Provò a sollevarsi, ma cascò nuovamente a terra. Mille pensieri le invasero la mente. Ricordava di un reality show visto in TV l’anno prima: Nightmare show. Era un programma in cui la gente comune veniva presa di mira con scherzi e candid camera a sfondo orrorifico. Sperava di esserne la protagonista e di vedere saltare fuori da un momento all’altro la troupe televisiva. Ripensò poi all’esperienza di poco prima: aveva rischiato di morire e riflettendoci, con sua gran delusione, non poteva essere così.
Gabriella decise di fermare l’emorragia. Si stracciò la maglietta restando così in reggiseno e, stringendo i denti, la legò con forza alla caviglia riuscendo a bloccare l’uscita del sangue. Si sentì svenire ugualmente, nonostante l’emorragia fosse bloccata. Lottò contro il senso di vertigine cercando di rimanere cosciente, tuttavia dopo alcuni istanti svenne.
Non appena riprese i sensi, vide il suo corpo completamente coperto di zanzare.
Le pizzicava il seno in maniera fastidiosa. Pulì il sangue dalle piccole escoriazioni sparse un po’ su tutto il corpo, dovute alla fuga frenetica dall’auto e provò a mettersi in piedi. Barcollò. Era molto debole. Stava per svenire un’altra volta. Doveva rimanere sveglia, vigile, per non cadere vittima né del terrore né dall’inquietudine suscitata dalla sgradevole sensazione d’essere osservata. Tornò a sedersi e cercò di calmarsi. Doveva pensare a come andarsene da quel luogo desolato.
La ragazza fu attirata a voltarsi verso la palude. C’era qualcosa nelle acque che si avvicinava presso la sponda in cui era lei. Impaurita, Gabriella provò ad allontanarsi dalla riva. Non ci riuscì, forse per la paura che le bloccava le gambe o per chissà quale altro motivo.
La sua caviglia era gonfia e dalle vene spappolate stava sgorgando un liquido verdastro. Forse era pus. La maglietta legata si era allentata un pochino, perciò la strinse nuovamente. Scacciò via alcune zanzare dal viso. Un fruscio dietro le canne la fece scattare. Si voltò e vide qualcosa muoversi nel buio. Urlò:
– Chi sei!? –
Nessuno rispose:
– Aiutami. Ti prego –
Implorò.
Gabriella percepì un movimento dietro di sé e, voltandosi vide una sorta di batuffolo fradicio d’acqua strisciare lentamente sul terreno. Pareva che si trascinasse a stento. Era coperto completamente da peli lunghi e dietro si lasciava una scia di liquido nero. In quel momento Gabriella desiderò di essere altrove, anche sul sedile di un’automobile, china sui genitali di un cliente, cosa che aveva sempre fatto con disgusto.
La ragazza si avvicinò lentamente e lo vide meglio. Rimase sbalordita quando capì che era una testa umana. Stringeva tra le mandibole serrate grottescamente un lembo di calza aderente: molto probabile che fosse suo. Pensò alla testa dell’uomo che si trovava in fondo alla palude.
La testa si era bloccata. Gabriella si avvicinò cauta per osservarla meglio. Si trovava a meno di un metro quando le balzò nel basso ventre mordendola con forza. I denti lacerarono lo slip e la lingua penetrò nella vagina facendola cascare a terra. La ragazza cercò di togliersela di dosso affondando le unghie nella carne marcia della testa e sentì la lingua spingere e penetrare sempre più in fondo provocandole una sorta d’orgasmo doloroso.
I brividi di piacere che la pervadevano rendevano arduo cercare di toglierla dalla sua vagina. Si diede coraggio e la staccò con la forza delle sue braccia, scarnificandosi. Cadde a terra lasciando un’ immonda pozza di sangue.
Gabriella fu presa da vertigine, nausea e conati a causa dei quali si vomitò addosso. Si tamponò la vagina con la maglietta che aveva utilizzato prima per bloccare la ferita alla caviglia.
Udì nuovamente qualcuno dietro di se.
– Chi sei? Aiutami. Ti prego! –
La prostituta tremava tutta. Era colma d’insetti attirati dal sangue e dal vomito che aveva addosso. Non riusciva a camminare: la mutilazione della sua parte intima glielo impediva. Vedeva la testa immobile a circa cinque metri da lei. Si sentiva come braccata: qualcosa si muoveva tra le canne e gli arbusti secchi.
Il silenzio fu spezzato dal chiasso dell’acqua da cui venne fuori un cadavere decapitato. Riconobbe che era lo stesso che aveva lasciato nella BMW. Camminava oscillando perdendo a tratti l’equilibrio. La camicia che indossava era strappata sul petto. Gabriella rimase sbalordita quando riconobbe la grossa spilla d’argento raffigurante il volto di un leone che portava sulla camicia all’altezza del cuore. Era la stessa che aveva regalato a Rosario, un suo ex amante, la sera che lo aveva fatto rotolare giù per le scale in seguito ad una lite per motivi di denaro. Aveva poi nascosto il corpo nella cantina dell’abitazione dell’uomo ed era stata costretta a mozzargli il capo per farlo stare in un baule. L’evento era stato talmente scioccante che lo aveva rimosso dalla mente.
Lo zombie si avvicinava a stento barcollando un po’ a destra, un po’ in avanti e Gabriella non riusciva a fuggire perché il dolore intenso che sentiva glielo impediva. La caviglia tornava a sanguinare e perdere pus. Il cadavere ambulante la raggiunse e si gettò su di lei bloccandola tra le gambe. L’urlo disperato della disgraziata riecheggiò in tutta la palude.
– Lasciami Rosario! Ti prego non farlo! Quella sera fu un incidente. Perdonami! –
Lo zombie non si fermò e la percosse un po’ ovunque. Gabriella si difese con tutte le forze che aveva ma l’ex amante era più forte. La violentò. Dopo una lotta stremante lei perse i sensi.
Qualche ora dopo stava distesa sull’erba, sfinita. Aveva sperato che la morte, pietosa, l’avesse sottratta a quell’orribile esperienza, ma così non fu. Ora aveva riaperto gli occhi e accanto a lei c’era lo zombie steso per terra immobile. Gabriella non capiva. Non ricordava nulla di ciò che era accaduto in seguito alla lotta. Si allontanò strisciando fino alle canne che crescevano attorno alla palude e sentì nuovamente qualcuno spostarsi tra le foglie.
Si avvicinò e vide qualcosa muoversi: pensò che si trattava di un altro zombie. Riuscì a sollevarsi da terra. Ora lo vide meglio. C’era un uomo che si agitava debolmente, come un moribondo. Si avvicinò con prudenza e lo vide dimenarsi debolmente. Aveva la trachea maciullata, probabilmente a causa di un morso. La pelle gli era stata staccata in maniera selvaggia e feroce. Lo zombie Rosario si era dato un bel da fare quando Gabriella non era in sé Tra i rantoli che l’uomo emetteva non era possibile capire nulla di sensato. Gabriella soccorse l’uomo e provò a tamponargli la ferita.
Vide, oltre gli arbusti, un’Ape parcheggiata, quindi trascinò l’uomo laggiù e lo sistemò nel porta carichi. Lo sforzo che fece nel trascinarlo le provocò un allargamento delle ferite e quindi una nuova perdita di sangue. La fortuna decise di dedicare qualche minuto a Gabriella, infatti, la ragazza trovò le chiavi del mezzo ancora inserite nel piccolo cruscotto. Mise in moto e partì accelerando. Il terreno era dissestato e disseminato di piccole pozze d’acqua putrida e rigagnoli. La troppa velocità fuse il motore: il motocarro si fermò. Gabriella ora era vicina alla superstrada. Qualcuno forse le avrebbe dato un passaggio. Scese dall’Ape e notò con disperazione che l’uomo nel porta carichi era scomparso. Il frastuono delle auto in corsa lungo la superstrada non la lasciava riflettere. Cominciò a voltarsi da tutte le parti come disorientata, finché vide un gruppo di uomini che camminavano ondeggiando come se non avessero un perfetto equilibrio. In mezzo alle figure ciondolanti e nelle stesse condizioni, stava l’uomo caduto dal porta carichi. Aveva uno sguardo perso e il capo chino verso sinistra, come se la colonna vertebrale non riuscisse a tenerlo dritto. La gola era orribilmente squarciata e sulle spalle erano evidenti alcuni graffi profondi, forse causati dalla probabile caduta dal motocarro. Gabriella si allontanò zoppicando verso la strada dove sfrecciavano le auto a centoventi chilometri orari. Riuscì a raggiungerla.
La notte era ancora lunga e l’afa sempre più insopportabile. Le macchine ignoravano la ragazza: le passavano oltre, indifferenti. L’equilibrio di Gabriella cominciò a vacillare, i suoni le giungevano sempre più ovattati. La vista le si annebbiò e i colori si fecero confusi. I pensieri cominciarono a scivolare via dalla mente lasciandole solo il vuoto. Si tocco la faccia e negli ultimi istanti di lucidità sentì la pelle sfaldarsi tra le sue dita, seguita da un liquido denso e maleodorante. Era orripilante. Ricordò di esser stata morsa dalla testa dello zombie più volte. Dietro di lei gli zombie si bloccarono. Ormai la ragazza non era più loro cibo.
Stupidamente concentrò i suoi timori sulla sua bellezza che sfioriva e si gettò di colpo sotto una macchina che sopraggiungeva ad alta velocità. Il suo corpo si fece a pezzi nell’impatto e fu sbalzato lontano.
Il conducente e i suoi tre passeggeri non fecero in tempo nemmeno a rendersi conto di ciò che stava accadendo. L’auto si fermò. Uno dei tre era sicuramente vivo. Aveva il viso coperto di sangue. Strattonò l’amico che era seduto accanto, nei sedili posteriori, sbattendolo con violenza contro il vetro. Provò a rianimare gli altri, ma inutilmente. Cercò il cellulare per chiamare il 118, ma una mano lo afferrò alla spalla e ne strappò un pezzo. In men che non si dica divennero carne per gli zombie affamati.
Lorenzo Muntoni Luglio 2006
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