La Tartaruga

Racconti

Occhi Rossi - LibroTitolo: Occhi Rossi
Autrice: Adele Patrizia D’Atri
Editore: Lulu
Pubblicazione: 2007
Prezzo: 10.50€

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Così cadde.
Con i suoi 180 chili. Chi avrebbe mai potuto rialzarlo? Come uno scarafaggio, sulla schiena. Dannata dieta mai cominciata. Ed ora era caduto nel bosco. Solo. In mezzo alla selva selvaggia! In mezzo allo sterco di chissà quale bestia randagia. Ma come gli era venuto in mente di fare una vacanza tra i monti? Maledetti chili di troppo.
Era lì per mettere in atto il piano due: dimagrire camminando. Si era convinto della validità del sistema leggendo una rivista di sua moglie. Relax e passeggiate. Alleluia! Una validità indiscussa, specie in quella posizione. Ne avrebbe persi di chili se nessuno lo avesse trovato! Con la schiena dolorante e la pancia così grande ci sarebbe voluta una gru per sollevarlo. Decise di rilassarsi un po’ prima di ergere quell’ammasso di lardo che era il suo corpo. E poi non era meglio una liposuzione? Sarebbe stata la prima cosa che avrebbe fatto una volta tornato a casa…se ci fosse riuscito, ovvio. Ma che andava a pensare! Era pressoché impossibile morire in quelle condizioni. Assurdo. Eppure continuava ad immaginarsi i titoli sui giornali locali: UOMO DI 180 CHILI UCCISO DALLA SUA CICCIA, OBESO MORTO COME UNA TARTARUGA. Pensare che aveva sempre creduto che sarebbe stato stroncato da un infarto. Che sciagura cadere nel bosco. Cosa peggiore già cominciava ad avvertire i primi sintomi di sete. A dire il vero aveva anche un languorino. Un lieve appetito, niente di preoccupante. Ben peggio andava con la sua vescica. Lo stimolo di urinare, già presente quando era uscito, ora diveniva impellente. Che umiliazione! Non solo morire come una tartaruga, ma anche con i pantaloni impregnati di urina. E poi la tartaruga. Che razza di animale era? Un rettile buono a nulla, perdinci!
A pensarci bene ricordava di aver fatto rotolare spesso, per proprio diletto, la tartaruga di suo figlio sulla schiena. Ora però vi intravedeva un segno del destino ad essere finito nella stessa situazione di Takito. Che fosse la vendetta della tartaruga? Ecco, ora era del tutto impazzito. Come diavolo avrebbe potuto un essere lento come Takito restituirgli il favore? Per giunta l’animaletto, in quello stesso istante, di certo scorrazzava tranquillo in giro per la sua casa mangiucchiando foglie di insalata e chissà che altro. E lui invece era nel bosco. Digiuno. Tra non molto sarebbe stato ricoperto dai sui stessi escrementi oltre quelli in cui si trovava già. Maledizione doveva ribaltarsi. Ma proprio non gli riusciva, avvertiva troppo male alla schiena. Cominciava ad agitarsi davvero. Perché diavolo non aveva portato quell’aggeggio di tortura (il suo cellulare) con sé? Pensare che quando era in città lo portava praticamente ovunque, finanche in bagno. Invece, giustamente, quando si recava a trottare per i monti lo lasciava a casa. E spento. Spento? Tragicamente si vedeva attaccarlo alla corrente e spegnerlo. Calma. Doveva rimanere calmo. Che differenza c’era se era spento o acceso? Praticamente nessuna. In entrambi i casi qualcuno si sarebbe allarmato se non avesse risposto. Fantastico. Effettivamente si sentiva con la moglie ogni sera. C’era solo d’aspettare. Certo in mezzo alla boscaglia senza luce, con quelle belve girovaghe non sarebbe stato per niente semplice. Ma che altro poteva fare?

Mio Dio, invece doveva tentare qualcosa, prima che le tenebre calassero! Non poteva certo aspettare i soccorsi. E se fossero scesi i lupi a valle? I lupi non erano il solo pensiero. Era tarda primavera. Se non ricordava male le vipere in quella stagione si sparpagliavano per il bosco. Dunque anche con il giorno c’erano rischi. Forse c’erano anche altre cose velenose, o altri animali temibili.

Così tentò una nuova manovra. Gli alberi erano piuttosto distanti per usarli da sostegno. Però poteva sempre strisciare per arrivarci. In fin dei conti stare immobile nello sterco o sguazzarci dentro non differiva di molto. Tra l’altro stava in quella posizione da almeno 15 minuti. Quindi cominciò uno strano movimento contorsionista, una novella danzatrice del ventre stesa sul dorso. Gli venne da ridere. Ma non c’era niente da ridere, anzi. Al secondo movimento sentì un crack. Un dolore lancinante lo fece bloccare all’istante. La schiena. Ecco cosa era quel dannato dolore. Si era rotta qualche vertebra. Dio mio. Ora si che era disperato. Muoversi e rischiare di rimanere paralizzato o aspettare soccorsi? Serbava ancora memoria del corso di pronto intervento studiato per prendere la patente: “in caso si sospettino danni alla colonna vertebrale non spostare il soggetto ed attendere l’intervento di esperti”. Lì di esperti però non ne vedeva. O forse quello scoiattolo indisponente era un esimio specialista? Ecco ricominciava a perdersi in riflessioni stravaganti sugli scoiattoli. O sulle tartarughe spietate. Magari Takito apparteneva alla loggia delle tartarughe ninja. Nuovamente scansava il problema. Doveva alzarsi e scappare, maledizione! Quel suo ottuso cervello, di certo avvolto nel grasso, non la smetteva di creare contesti farseschi.
Bene. Doveva vedere se gli arti funzionavano, doveva capire se il suo midollo spinale era già partito definitivamente per le vacanze. Il piede destro funzionava. Anche la gamba. Riusciva persino a piegare il ginocchio. La gamba sinistra era addormentata. Le braccia andavano a meraviglia, dunque tutto sommato si trattava solo di un colpo di frusta, o della strega o come cavolo la chiamavano. Quando mai se ne era preoccupato? Quello, poi, non era certo il momento per incuriosirsi del nome che veniva dato a quell’infortunio. Perdinci, era necessario agire non rimuginare!

Allora passò al piano B. Raccolse tutti i rametti che riuscì a scovare attorno a sé e li posizionò sotto un lato del suo pesante fisico, in modo tale da costruire una piccola catapulta da un lato e creare un inclinazione dall’altro.

Ingegnoso, davvero ingegnoso, Walter

Che era quella voce adesso? Da dove diavolo proveniva? Poteva averla immaginata? Era altisonante, pareva vera. Forse c’era qualcuno. Forse gli aiuti. Cominciò a sgolarsi. Ma nessuno rispose. Solo lo scoiattolo sbucò fuori dalla sua tana a vedere che era accaduto. Per niente intimorito, il bastardo. Dunque aveva immaginato. “Giochi che fa il cervello in condizioni estreme”, si disse. Continuò a racimolare rametti e tutto ciò gli capitasse sotto mano. Anche sterco. Perché no? Non avrebbe forse dovuto? Era necessario, e poi non lo avrebbe detto a nessuno. Poi si rilassò un po’. Era stanco. Prendere da un lato e poggiare dall’altro era spossante disponendo solo dell’agilità delle braccia e le sue tanto agili non erano per dirla tutta. Però sarebbe riuscito a liberarsi presto. Ne era convinto.
Ma quanto tempo aveva trascorso a raccogliere quei dannati rami? Caspita, il sole aveva già cominciato il suo declino. La pendenza delle ombre era cambiata. Anche di molto. Vide le prime ombre della sera galoppare furiosamente verso lui. Nei boschi il buio arriva prima. Non ci aveva pensato. Di nuovo il panico si impossessò di lui. Doveva spicciarsi. Iniziò di nuovo a scavare nervosamente. Finalmente qualcosa si mosse.

Complimenti amico

Di nuovo quella dannata voce. Oh al diavolo! Stava per tagliare il suo traguardo e chiunque fosse a parlare, uomo, fantasma o alieno, non si era certo prodigato per dargli il benché minimo aiuto. Dannazione, non avrebbe sprecato energia per urlare questa volta! E poi non gli interessava affatto conoscere in quell’istante il possessore della voce. Era troppo preso nella sua attività di escavazione. Ormai aveva realizzato una buca sufficientemente profonda. Sarebbe bastata una sola spinta e…
e si mosse per davvero. Era inebriato. Prima che ragni, scarafaggi e quant’altro offrisse il sottobosco, sbucassero fuori in cerca di cibo sul suo pancione, sarebbe riuscito a tornare a casa. In barba alla voce, sicuramente creazione del suo cervello stressato. Un uomo, a meno che non si trattasse di un sadico villano, lo avrebbe aiutato. Perdinci! Gli uomini in situazioni simili si aiutano!

Non gli restava che spostarsi e si sarebbe capovolto. Cominciò a flettersi lateralmente. La schiena gli doleva e prevedeva qualche danno permanente alla colonna vertebrale. Doveva comunque procedere, con estrema cautela, ma procedere. Uno, due, tre …via. Diede uno strattone alla sua ciccia e riuscì a piegarsi quanto bastava. Poi la forza di gravità fece il resto e si trovò con la faccia nello sterco. C’era riuscito. Con lentezza estrema cominciò ad alzarsi. Si mise in ginocchio. Con sua somma sorpresa ci riuscì. Dunque non aveva niente di rotto. Maledetta vigliaccheria. Aveva marcito in quel letamaio invano. Be’ non lo avrebbe saputo nessuno. Tentò di ripulirsi alla meno peggio e si alzò su due zampe. Proprio come un uomo. Adesso ripensava a Takito, la tartaruga. Che ridere! Aveva creduto davvero che la tartaruga avesse poteri speciali! Assurdo, grottesco. Quell’inetta della tartaruga. L’avrebbe presa a calci. L’odiava ancora di più adesso. In ogni caso doveva andare a casa a farsi una doccia e a preparare i bagagli. Altro che moto e moto! Qui urgeva un taglio netto della ciccia realizzato dal bisturi esperto di un chirurgo. Magari di fama mondiale. Sissignore. Avrebbe preteso il miglior chirurgo.
Si munì di bastone (la prudenza non è mai troppa) e si diresse verso la sua casupola di montagna a passo spedito, nonostante il dolore alla schiena. Non aveva alcuna voglia di vedere il sole tramontare definitivamente mentre era ancora per boschi.

“Ci rivedremo presto Walter, prima di quanto immagini”

E no! Questa volta non aveva affatto immaginato. Qui c’era qualcuno, e quel qualcuno doveva venire fuori. Adesso.

“Che razza di uomo sei? Ti sei divertito abbastanza a vedermi in mezzo allo sterco? Hai riso di me? Ora puoi anche uscire, sono di nuovo un bipede. Razza di stronzo bastardo! Non hai sentito che chiedevo aiuto? Ho urlato, dannazione! Sei un sadico! Te ne stai celato dietro i rami, cercando di farmi credere che sono pazzo!”
“No, non sei pazzo. Non è mia intenzione fartelo credere. Ben altre sono le miei intenzioni”.
“Cioè?Volevi vedermi strisciare in quel letamaio e dirmi bravo quando fossi riuscito ad issarmi su due zampe, proprio come un orso ammaestrato? Magari poi mi avresti omaggiato anche di un barattolo di miele. Non mi hai aiutato per il mio bene, vero?”
ma la sua ironia non fu affatto utile, anzi.
“affatto”
“ma che razza di bestia sei? Esci fuori da quel fottuto nascondiglio. Esci perdiana! Ti spacco la faccia, razza di…. Tartaruga …tartaruga?”
“Tartaruga. Sissignore. Prova a farmi ribaltare ora, se ci riesci. Ti sei divertito abbastanza a farmi rotolare sul mio guscio? Pensi che sia stato divertente per me? Chi tra noi è il sadico adesso? Oppure pensi di avere uno sconto speciale perché sei uomo?”

…..Istanti lenti come passi. Quelli di una tartaruga. I suoi. Zampe rivolte al cielo in cerca di aiuto. La canaglia siede a tavola, a due passi da lui. Stappa vini. Spezza il pane. Infonde pene……

Nascere tartaruga. Già quella sarebbe una disgrazia. Ma lui un tempo era uomo. Ambizioso, bello come la prima stella della sera. Aveva voluto l’immortalità. L’aveva anche ottenuta, ma a che prezzo?

Il giorno che aveva compiuto quaranta anni aveva avvertito una chiara costernazione. Ribrezzo della vecchiaia, orrore del trapasso. No, non avrebbe lasciato che il tempo gli rubasse la vita, i suoi anni. Aveva sentito parlare di una certa madame Berenice. Forse lei poteva dargli una mano.
Aveva rimuginato ore prima di prendere una decisione. In fondo era stato sempre un uomo concreto. Non tollerava neppure chi credeva in quella o quell’altra idiozia. Che si trattasse di credi religiosi o pagani, erano solo fesserie. Allora perché si attardava su quella seggiola a meditare mentre le ombre si allungavano e si fondevano nel buio?
Tentare non avrebbe nuociuto. Presa la decisione, lasciò che le ombre ingoiassero la seggiola vuota e corse via. Verso sentieri cosparsi di ciottoli, verso la speranza.
Madame Berenice gli diede ciò che chiedeva. Gli diede l’immortalità, ma anche le sembianze di tartaruga. Una tartaruga speciale, dotata di intelligenza e di parola. Ma pur sempre una tartaruga. Mai aveva sperimentato un simile patema. Impotente nel suo nuovo corpo. Immortale per giunta. Passati i primi attimi di disperazione si accorse che aveva fame. Ma lui non era una tartaruga, come si sarebbe procurato il cibo? Dove si sarebbe riparato? Il pacchetto immortalità prevedeva non morire per cause naturali, ma non erano contemplati i predatori. Difficile pensare di rimanere vivo nello stomaco di qualche rapace. Gli veniva da piangere e Dio solo sa se nella sua testa non lo facesse. Così si era arreso al suo nuovo aspetto, che madame aveva detto essere quello definitivo, e si era incamminato a passi “tardi e lenti” lungo il sentiero che prima aveva percorso lestamente. Si era avviato nella ridicola veste di tartaruga verso il negozio di animali del centro. Lo avrebbero recuperato senz’altro. Alle tartarughe gratis nessun commerciante dice no. Non si era sbagliato. Così lo vendettero al ciccione. Così divenne un regalo di compleanno con tanto di fiocco al collo. Così cominciarono le sue sventure.

Ora però poteva punire il riprovevole panzone. Non era un uomo quello! Era un porco e nel letame meritava di stare. Si era infilato in un sacco ed era partito con lui, per i boschi. Lì aveva lavorato incessantemente notte e giorno fino a costruire una magnifica trappola dove far cadere l’idiota. Ma il ciccione era scivolato nello sterco e lì era rimasto, Dio solo sa perché. Certo Takito, un tempo Max, aveva progettato di farlo cadere a gambe all’aria. Sapeva anche che il ciccione avrebbe avuto difficoltà ad alzarsi. Ma perdinci, quello non si rialzava! Come se avesse intuito il seguito dell’imboscata. Si era adagiato nello sterco e non si muoveva. Finalmente aveva raccolto quei fottuti rami ed era riuscito ad alzarsi.
E ora lo attendeva il resto.

“Se volessi potrei farti ruzzolare anche ora. Chi me lo impedirebbe? Neanche il pensiero di mio figlio che piange la tua scomparsa.”
“Allora provaci, vieni qui”
“Sei una tartaruga, non capisco perché parli, ma sei una tartaruga. Non ho paura di te”

In verità tremava. Una tartaruga parlante? Dove mai si era vista? Doveva aver respirato qualche spora di fungo allucinogeno. Takito parlante non era altro che una creazione della sua mente. Era semplice dimostrarlo a se stesso, bastava raggiungere la tartaruga ed afferrarla dal collo. Se avesse catturato aria anziché l’animale molesto si sarebbe tranquillizzato.

“Certo che ci provo, razza di palla con le zampe!”

Si spinse a gran velocità verso il piccolo animale, nonostante il ballonzolare della pancia. Con le mani in avanti pronte ad afferrare la testa della tartaruga, ma ahimè non afferrò niente. Cadde rovinosamente nella buca che Takito aveva preparato ingegnosamente per lui. Cadde su mille aggeggi appuntiti. Vetri, chiodi, viti arrugginite, cocci, lamiere, schegge di legno. Tutti piccoli oggetti che la tartaruga era riuscita a trasportare lì. Questa volta, Walter cadde con la faccia in giù. Un chiodo arrugginito gli trafisse un occhio, un coccio di vetro gli si infilò nella narice destra e in collaborazione con la gravità la trafisse fino a spaccarla. Una piccola, ed in altri casi innocua, scheggia di legno gli strappò, nella caduta, parte del labbro superiore lasciando scoperte al periglio le gengive che ben presto si adagiarono, non senza la violenza dell’impatto, sulla vecchia lama di un coltello. Svenne.
Ma forse esser cieco da un occhio e ferito in diversi punti del viso e del corpo poteva essere una vendetta appagante? Domanda sciocca, amico…
Takito si lanciò sulla schiena di Walter, approfittando della perdita dei sensi, e cominciò a rosicchiare prima i vestiti, poi la pelle, poi una vertebra, poi il midollo spinale. Walter si riprese troppo tardi, urlò si agitò tentò di rialzarsi. Quello che aveva temuto prima ora era realtà.

Takito riprese il suo lento cammino, pago di avere lasciato il ciccione in quello stato angoscioso. Cosciente ed impotente verso il fato atroce che lo attendeva.
A passi “tardi e lenti” si mise in cerca di un nuovo padrone.
Da assassinare.

Adele Patrizia D’Atri 28.03.2005

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