La Porta
Luigi non aveva idea di come fosse finito lì. E probabilmente non l’avrebbe mai scoperto. Ci era finito e basta. Una sera si era svegliato sulla sua poltrona di cuoio, con tanto di pantofole e vestaglietta di flanella… ma non si trovava più nel suo salotto retrò.
“Il postaccio”, come lo chiamava lui, pareva essere una città futuristica, disabitata e circondata da una folta boscaglia. Una specie di ghost city ideata da un folle architetto, moderno ma ambientalista.
Ormai lui la conosceva a menadito quella cittadina, e anche gran parte del bosco. Sei mesi sono tanti, soprattutto se hai la poltrona di cuoio ma non hai il tuo giornale preferito per ingannare il tempo.
La cosa che più lo mandava in bestia era il clima. Lui, abituato al piacevole tepore del suo salotto, si trovava costretto a (soprav)vivere in un postaccio nebbioso e freddo, dove il sole non albeggiava mai. Era sempre notte, in eterno. Vabbè, non esageriamo, però almeno per quei sei mesi era stata notte. Sissignore.
Appena arrivato (esclusi i primi 5 giorni di piagnistei) aveva esplorato a fondo l’edificio in cui era “comparso dal nulla” (o meglio, dal suo salotto), ed aveva concluso che si trovava in un deposito di armi. Ironico, non trovate? Era solo in una cittadina deserta, però era pesantemente armato signori miei. Ahimè bastò una settimana a trasformare il suo sarcasmo fuori luogo in terrore puro: non era affatto solo, tutta la zona circostante era popolata da mostri.
Forse erano stati loro a uccidere i precedenti abitanti della cittadina, oppure erano loro stessi gli indigeni del posto. Chissenefrega. L’unica cosa che lo interessava era scampare a quei “cosi” e cercare una via d’uscita dal “postaccio”. Se ci restava ancora un po’ rischiava di perdersi tutto il campionato di calcio.
Ragni a due teste grandi come cani (dobermann ovviamente) che tessevano ragnatele acide (e la sua mano sinistra, o meglio ex, lo sapeva benissimo), il terribile incrocio tra un orso e un polipo che si aggirava nel bosco e che si era divorato la sua poltrona di cuoio, quegli odiosi animaletti zannuti che si mimetizzavano nel terreno fingendosi pozzanghere, gli alberi violacei che cercavano di strangolarti nel sonno, gli odiati e amati uomini cavolfiore (degli esseri antropomorfi agili e poco intelligenti, con la bocca sul torace e ricoperti da una melma che ricordava il simpatico ortaggio)… tutto ciò che si muoveva nell’ombra era un pericolo per la sua incolumità e molto probabilmente era sul punto di sbranarlo. Ma non solo! Il folle architetto, moderno ma ambientalista, aveva ideato anche delle trappole niente male! Muri che ti crollavano addosso se tastavi al buio il mattone sbagliato, fucili collegati alle maniglie delle porte, pronti a spararti in faccia appena aprivi, grondaie con sensori di movimento che sparavano raggi laser letali.. Maledetto “postaccio”!
Chissà quante altre trappole e quanti altri esseri si nascondevano nelle tenebre della cittadina. Nella notte risuonava un concerto di ululati e ringhi che avrebbe tenuto sveglio per la paura anche un narcolettico. Per non parlare di quelle selve di occhi, che lo fissavano da ogni parte per poi sparire nell’oscurità.
Un incubo lungo 6 mesi: esplora, corri via, spara, mettiti in salvo, questo era lo schema della sua giornata tipo e ormai non ne poteva più. Per necessità era diventato abilissimo nel maneggiare le armi, inoltre, memore delle numerose (e odiose) visioni di “Rambo” a cui lo aveva costretto il nipotino, si era costruito diverse armi da corpo a corpo e qualche arco con frecce. Altro che McGyver!! In fondo, prima o poi, le munizioni del magazzino sarebbero finite, e la sua personalissima lotta per la sopravvivenza si sarebbe complicata ulteriormente. Doveva farsi trovare pronto perdiana!
Per fortuna, come diceva suo nonno buonanima, “non tutti i mali vengono per nuocere!”.
Dopo ben 25 giorni di digiuno aveva scoperto che, chiudendo gli occhi, tappandosi il naso e utilizzando molta molta molta fantasia, la melma che ricopriva gli uomini cavolfiore era quasi meglio del roast beef di sua moglie (notoriamente una pessima cuoca).
Una mattina, almeno stando al suo orologio, il quarto giorno della seconda settimana del settimo mese (l’orologio con il datario costava troppo) Luigi stava perlustrando una zona imprecisata a nord est del bosco. Ad occhio e croce doveva essere a 15 km dalla cittadina. L’orso – polipo non si allontanava mai troppo dalla zona delle grotte e quindi l’uomo poteva esplorare in relativa tranquillità. Scostò delle fronde.. e si trovò al cospetto di qualcosa mai visto prima.
Innanzi agli occhi di Luigi c’era adesso un rettangolo luminoso e saettante, largo 4 metri e alto 3. Da esso proveniva un inquietante ronzio elettrico. Sembrava proprio un enorme televisore mal funzionante o sintonizzato su una frequenza sbagliato, ma che accidenti era??
Ricorrendo nuovamente alla sua cultura televisiva, coltivata crescendo due scalmanati nipotini, gli venne in mente StarGate, quel film fantascientifico nel quale degli “affari” simili venivano utilizzati come porte tra diversi mondi. Era dunque la via per la libertà? E se fosse stato un miraggio o, peggio ancora, una nuova trappola del “postaccio”? Una ragnatela acida non poteva essere, troppo scuro e fitto. Anche ponendo che fosse veramente una porta… chi lo assicurava che conduceva veramente al suo salotto retrò? E se lo avesse diretto verso un mondo ancora peggiore del “postaccio”?
Cogitava ormai da diverse ore, quando decise finalmente di fare una prova empirica. Dopo essersi assicurato con dovizia che non si trattasse di un mostriciattolo roccioso, afferrò un sasso, lo scagliò verso la presunta porta e… EUREKA! Il sasso svanì nel nulla, come se non fosse mai stato lì. Non era passato attraverso il portale ma era semplicemente svanito.. finito altrove!
“Si vive una volta sola e poi non voglio passare qui tutta la mia età pensionale!” sospirò Luigi, tentando di racimolare quel poco coraggio necessario a fare un passo in avanti.
Fu un attimo. Luigi infilò prima il piede e la gamba, poi la mano, il braccio, quindi la testa.. un normalissimo passo in avanti, attraverso una porta misteriosa, verso l’ignoto.. e la libertà.
A metà strada Luigi aveva già capito che quella non era una porta, ma non gli era interessato più di tanto: la sensazione che provava era troppo bella… si sentiva leggero nel cuore, quasi felice, mentre il portale lo inceneriva.
Adesso Luigi era finalmente libero.
Daniele Del Frate 20.03.2005
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