Karma Immutabile

Racconti


Si svegliò di soprassalto, col cuore che gli batteva a mille e la sensazione che il petto gli sarebbe scoppiato.
Kate stava di fianco a lui, sul comodo letto, ma non più addormentata come l’aveva trovata di ritorno da un altro faticoso giorno di lavoro, ma seduta, con le gambe distese sotto le coperte, le braccia abbandonate lungo i fianchi, madida di sudore e con gli occhi spalancati, fissi e carichi di terrore. Erano da poco passate le quattro del mattino e Mark era appena riuscito ad appisolarsi, ma poi qualcosa era successo. Aveva sentito la sua fidanzata agitarsi fra le coperte, ma non vi aveva fatto molto caso; nelle ultime settimane era una cosa che capitava di frequente, ma quella notte fu diversa. Le urla di Kate erano state così improvvise e acute che Mark pensò ad un’infinità di cose che avrebbero potuto giustificare una tale manifestazione di sofferenza.
Gli incubi avevano iniziato a tormentarla quando era ancora una bambina ed erano così orrendi e angoscianti che la sua giovane mente li aveva rifiutati con forza, alzando un muro tanto spesso da non riuscire a perforare neanche il fragile equilibrio del sonno. Erano stati rimossi così bene da non averne memoria alcuna. Ma da qualche tempo avevano ricominciato ad agitare le sue notti.
La prima volta che capitò, i ricordi erano straripati dalla memoria, venendo a galla con una violenza inaudita. Ricordando di aver già avuto quegli incubi e l’età in cui erano iniziati, si stupì e si chiese com’era possibile che una bambina di appena sei anni potesse sognare certe cose. Ad un adulto poteva capitare in conseguenza di traumi o per suggestione. Ormai nei tg e nei film si poteva assistere a qualunque atrocità, ma non ricordava che i suoi genitori le avessero mai permesso di vedere film di quel genere e negli anni della sua infanzia i telegiornali conservavano ancora un certo rispetto per la vita umana, senza accanirsi sulle immagini più scabrose di vari delitti. I giorni passavano e la situazione non migliorava, tutt’altro! Ormai si svegliava quasi ogni notte urlando e spaventando a morte il povero Mark. Il peggio arrivò quando gli incubi iniziarono a tormentarla anche di giorno, da sveglia. Sempre più spesso le apparivano davanti agli occhi, come cose reali, immagini di quelle scene agghiaccianti. Parevano allucinazioni e si rendeva conto, con crescente terrore, che se non erano reali in quel momento, lo erano state in passato. Prese allora la decisione di andare da un noto medico del quale si parlava da un po’ per via della sua tecnica di cura dei pazienti, una tecnica del tutto “particolare”; la chiamavano “ipnosi regressiva”. Nel giro di due giorni si ritrovò stesa su un freddo divano di pelle, con un individuo sconosciuto seduto di fianco a lei, tutt’altro che bello ma con un fascino e un modo di fare così rassicurante che si rilassò dopo pochi minuti. Con la voce che era quasi un sussurro, il dott. Smith spiegò a Kate cos’era l’ipnosi regressiva. La giovane non capì granché, ma decise di fidarsi totalmente.
“Signora Larson” iniziò a dire il dottore “ora è di fondamentale importanza che lei si fidi di me. Mi rendo perfettamente conto che non sarà facile, considerato che sono uno sconosciuto, ma la fiducia è alla base della terapia. Ora mi descriva meglio che può i sintomi del suo problema”.
“Incubi notturni!” rispose Kate, convinta che quelle semplici parole fossero sufficenti a spiegare tutto, ma visto che il dottore rimaneva in silenzio, decise di aggiungere qualche parola e fu come un fiume in piena. Raccontò di come erano iniziati improvvisamente e di quando, bambina, li aveva raccontati alla sua compagnetta Alexa; lo ricordava bene, perché questa si era spaventata tanto sentendo quei macabri racconti che aveva fatto la spia, causando a Kate non pochi problemi.
“Dottor Smith” disse Kate con voce tremante, quasi in lacrime “la situazione è precipitata da quando ho dei flash anche durante il giorno, ad occhi aperti! All’improvviso, qualunque cosa stia facendo, la vista mi si annebbia e davanti agli occhi appare un coltello affilato, o forse è un bisturi, insanguinato. E so cosa viene fatto con quel bisturi!”.
“Kate, ho sentito abbastanza” disse il dottore, premuroso con quella paziente tanto agitata.
“Ora daremo inizio alla terapia. La ipnotizzerò, ma non significa che sarà in mio potere! E’ più una sorta di rilassamento totale. Rimarrà sempre vigile e in qualunque momento possiamo interrompere il trattamento. Quello che ora faremo sarà tornare indietro fino all’episodio da cui hanno avuto origine i suoi problemi”.
Nelle tre sedute successive ancora non avevano scoperto niente di significativo, neanche quando il dottore aveva fatto tornare Kate indietro fino ai sei anni e anche in quell’occasione la seduta si era conclusa con una delusione. Il dottore intuì che c’era qualcosa di strano e decise di essere ancora più preciso.
“Kate, ora voglio che rievochi il momento doloroso da cui hanno avuto inizio le visioni”.
Kate trasse un profondo respiro. Sotto le palpebre gli occhi si muovevano veloci.
“Non so dove mi trovo. E’ una bella città, ma grigia e tetra. C’è molta nebbia e l’umido mi entra nelle ossa, anche se sono coperta da qualcosa di molto caldo. Giro per la città, ma è tutto così strano, quasi antico”.
“Riesce a capire in che anno si trova? Cerchi di ricordare se i suoi genitori l’hanno mai portata a fare un viaggio quando era molto piccola”.
“Ma non sono piccola! Non so come, ma sono certa di essere adulta”.
A quel punto il dottor Smith capì cosa stava accadendo. Kate non stava rievocando la sua infanzia e tanto meno la sua vita attuale, ma una vita passata, lontana, già vissuta in chissà quale periodo. Così le domandò in che anno si trovasse.
“Non so di preciso. Mi viene in mente solo il XVIII secolo”.
Con grande stupore del dottore, Kate scoprì di aver vissuto un’altra vita nella Londra dell’800; questo fu chiaro, poiché la paziente si guardò intorno e riconobbe vie e luoghi che solo a Londra potevano trovarsi.
“Kate, dove si trova adesso?”.
“Sto camminando per la strada. Ci sono molti vicoli bui, dove le prostitute si vendono per pochi soldi, ma oggi piove e non c’è quasi nessuno in giro. Arriva qualcuno e io aspetto nell’ombra”.
Pronunciò l’ultima frase cambiando tono di voce, col battito del cuore accelerato ed in preda ad una strana eccitazione, come una tigre acquattata, pronta a balzare sulla preda.
“Cerchi di vedere chi sta arrivando e se questa persona sta cercando lei”.
“No! O forse si. Non so se cerco o sono cercata”.
Ora anche i discorsi della giovane si facevano più confusi.
“Intravedo un abito, lungo e molto ampio, con una profonda scollatura, tipico delle cortigiane di un tempo”.
“Vede ora chi sta arrivando?”.
“E’ un uomo, alto, con un cappello a cilindro, nero, come nero è il suo mantello che gli svolazza lungo i fianchi. E’ strano! Ha con sè una valigetta”.
“Kate, lei è una prostituta?”.
“No, non lo sono”.
Il dottore era un po’ confuso. Non riusciva ad intuire quale fosse il ruolo di Kate in tutta quella storia.
“ODDIO!!!”.
L’urlo della paziente l’aveva strappato violentemente alle sue riflessioni.
“Cosa succede, Kate?”
“Un coltello…” Kate iniziò ad ansimare. “Ha tirato fuori un coltello. NOOO!! La colpisce ripetutamente! E urla, urla, grida sempre più forte. C’è sangue dappertutto. Sul marciapiede, sui suoi abiti, sul coltello, sulle mie mani!”
“Sulle sue mani?!” chiese il dottore, stupito e spaventato.
“Kate, lei chi è?”. Con gli occhi strabuzzati e la bocca tirata in un ghigno ambiguo, sussurrò la sua agghiacciante risposta:
“Non so chi sono, ma so come mi chiamano: Jack, Jack, Jack lo Squartatore!”

Stefania Rizzo 29 Nov 2006

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