In Mezza Giornata
Avete mai visto il cielo… Certo che l’avete visto! Fatemi continuare…
Dicevo, avete mai visto il cielo quando sembra essere scolpito, così che la distesa azzurra è interrotta da un nugolo di nuvole dall’aspetto sorprendentemente tridimensionale? E bianche, così bianche che quasi accecano, a guardarle. Sono i raggi del sole a provocare l’effetto, perché investono quelle nubi con un’angolazione particolare così che i contorni vangano ad essere definiti in modo evidente tanto da far sembrare quelle nuvole dei grossi batuffoli di cotone appiccicati lì, nel cielo, come quando si vuol fare un presepe alternativo.
Sono le 06:00 di un mattino d’estate.
Una strana estate che sembra dover essere un nuovo punto di partenza che mi porti…
Già, dove?
E me ne resto qui in giardino, mentre tutt’intorno è silenzio, seduta su una poltrona di vimini a respirare l’aria diversa che solo a quest’ora puoi assaporare. E a guardare il cielo, così come i nostri avi che ad esso rivolgevano lo sguardo per riceverne presagi che indicassero loro la convenienza dell’agire.
Resto come ipnotizzata davanti a questo spettacolo, anche perché, adesso, una leggera sfumatura di rosa comincia a colorare una parte di nuvole che ora stanno trasformandosi in una gigantesca torta di compleanno di quelle artisticamente decorate.
Sono in uno stato di grazia, questa mattina.
Una pace interiore mi supporta e riesce a farmi vedere le circostanze che mi hanno condotto fino a questo punto delle mia vita, come inevitabili e necessarie al percorso esistenziale che, da qui in avanti, dovrà necessariamente essere intrapreso. E questo venticello leggero, tipicamente estivo, a carezzarmi la pelle, alimenta questa sensazione di benessere interiore, che mi porta a ringraziare quel dio che non conosco, perché rinnegato a prescindere, per avermi messa al mondo. Le contraddizioni, del resto, sono sempre state parte integrante del mio ragionare per assiomi e convinzioni maturate nel tempo, che hanno modellato la mia mente adattandola al contenuto mentre, mi costa ammetterlo, sarebbe stato meglio fosse accaduto il contrario.
E adesso sono qui a stilare consuntivi, a valutare opportunità future sulla scorta di esperienze passate. Ad eliminare grosse fette di ricordi da quella torta lì nel cielo come a volerne offrire ad ospiti indesiderati. Così facendo, però, restano grandi vuoti che mi appresto a colmare di dolcezze artefatte che delizino il piacere del mio eccentrico gusto per l’inusuale svolgersi dei giorni.
Oh si, lo so cosa state pensando: che io sia pazza.
E probabilmente avete ragione ma soltanto perché, adesso, mi trovo qui, in questo giardino… Cosa c’entra il giardino, vi starete chiedendo. Vedete quei muri alti, lì in fondo? Sono la delimitazione invalicabile di questo cortile alberato e pieno di aiuole, che ospita quella che risulta essere una fra le migliori cliniche all’avanguardia nelle cure dei disturbi mentali.
Non lasciatevi ingannare, però.
Il fatto che io sia qui, non vuol dire necessariamente che sia pazza. Sono gli altri che vogliono farlo credere: per salvaguardarmi, dicono. Ed il mondo intero, man mano, soltanto perché ho perseguito con convinzione ed estrema determinazione il mio preciso desiderio di realizzazione, si è convinto che io sia disturbata così tanto mentalmente, da risultare pericolosa per gli altri e, addirittura, per me stessa. Ecco perché sono costretta a dover passeggiare tra i vialetti di questo giardino soltanto a quest’ora di mattina presto e guardata a vista da tre energumeni d’infermieri. Nessun altro ospite della struttura può permettersi di essere presente e, del resto, le 06:00 del mattino non è un’ora che invogli nessuno ad essere qui.
E poi non sarebbe concesso. La mia presenza lo impedisce.
Potrei anche aggredire qualcuno, lanciarmi contro stringendo in mano una pietra e colpire ripetutamente, così come loro credono che… Ma non è andata così… E, poi, avevo un motivo, signori. Un validissimo motivo.
Un esatto disegno da realizzare nella mia mente che doveva portarmi ad altri palcoscenici e non ad una clinica psichiatrica. Una vita diversa, di popolarità e successo per un talento innato che avrebbe saputo conquistarsi l’attenzione di un grosso pubblico e non quella di pochi e scortesi inservienti in camice bianco. Dovevo soltanto eliminare chi, con il suo inatteso arrivo, aveva interrotto inevitabilmente questo mio desiderio di affermazione e proprio nel momento in cui, forse, una probabilità si stava schiudendo per lasciare posto ad una concreta speranza.
Ho atteso qualche mese; ho provato, credetemi, a considerare l’ipotesi di poter ricoprire entrambi i ruoli, ma inutilmente. È impossibile provvedere a svolgere compiutamente, infatti, tutti quei compiti che la nuova situazione venutasi a creare aveva presentato e quelli necessari alla mia agognata realizzazione di donna di successo che, dovete credermi, impegna a tempo pieno.
Avrei dovuto rinunciare?
Non volevo, non potevo permettere che un insignificante incidente di percorso potesse intralciare il mio progetto. Così decisi… ed agii.
Avrei dovuto fare le cose per bene, però, per cui avrei dovuto organizzare tutto in modo preciso e sicuro. Una volta individuato come fare, passai all’azione. Feci bere a Lisette una bella tazza di latte caldo nel quale avevo versato un numero molto alto di gocce di sonnifero. Ebbi l’effetto cercato dopo poco quando si addormentò sul divano: era il momento di agire.
Presi il suo piccolo corpicino e nel sollevarlo dal divano sbattei, inavvertitamente ed in modo violento, la sua testa allo spigolo del tavolino da salotto. Un rivolo di sangue cominciò a colare sulla tempia sinistra e, ancora più giù, sul mio braccio; nonostante questo, posai Lisette in un tegame che era capace di contenerla e la cosparsi di olio. Aggiunsi foglioline di alloro e del prezzemolo. Cipolline intere, carote e sedano che avevo provveduto a bollire precedentemente; del sale, chiaramente, pepe nero e aggiunsi dell’acqua.
Misi tutto nel forno a temperatura di 130 gradi e lasciai cuocere il tutto per circa un’ora. Impiegai questo tempo leggendo un libro e ascoltando del buon Chopin, che a me rilassa tantissimo. Trascorso il tempo di cottura tirai fuori dal forno il mio “preparato”. Dovevo sbrigarmi: lui sarebbe tornato a breve e doveva essere tutto pronto per la cena.
Eliminai mani, piedi e testa e li diedi da mangiare al mio maremmano, che sembrò gradire moltissimo; continuai a ricavare pezzi non troppo grandi dal resto e li misi in caldo nel forno. Preparai un battuto di aglio e prezzemolo e versai il tutto nel frullatore insieme a mezzo bicchiere di olio. Frullai il tutto fino ad ottenere un salsina composita che avrei aggiunto in ultimo, prima di servire, sul mio ottimo stufato.
E così venne, mi salutò con un bacio ed andò a fare la doccia. Strano che non mi chiese di Lisette…
Dopo circa mezz’ora tornò in cucina pronto per riempire il suo stomaco affamato. Si sedette a tavola, infatti, ed io, come sempre, cominciai a servirgli la cena. Versai nel piatto qualche pezzo di quanto avevo preparato nelle ore precedenti e mi sedetti al mio posto per osservarlo mentre cenava.
Mi domandò perché io non mangiassi e risposi che, avendo esagerato a pranzo – inventandomi di essere stata ospite di un’amica – preferivo digiunare.
Finalmente si ricordò di Lisette e mi chiese dove fosse nostra figlia: te la stai mangiando, gli risposi.
Robert Strange (ciao.it) 16.08.2005
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