Il mio Amico
Non capisco come Manfred sia riuscito a trovarmi dopo tanti anni. Nessuno poteva sapere dove mi ero rifugiato per scappare al mio destino…
Avevo circa 10 anni quando mi accorsi della mia attrazione per le carni lacerate, l’odore, la visione di queste mi procurava un forte senso di forza, di benessere. Non potevo assistere all’uccisione della gallina, la domenica, per paura di essere colto da una di quelle crisi che mi obbligavano ad “assaggiare” le carni, o meglio, il liquido rosso che sgorgava dal collo del volatile, fino ad arrivare al punto di non riuscirmi più a staccare dalla bestia appena uccisa. Dovevo stare attento, molto attento, mentre gli altri bambini del quartiere scorrazzavano beati tra le vie, io ero costretto a starmene nel giardino, solo, senza nessun tipo di rischio… Il rischio più grande era quello di cadere in corsa, non potevo cadere, non potervo lacerarmi il ginocchio, perché sarebbe stata la fine della mia tranquillità.
Manfred forse capì. Dopo una corsa, l’allora giovane Manfred cadde sbucciandosi il ginocchio. Era una piccola ferita ma il sangue che usciva fece scattare in me la molla e con fare assente mi avvicinai a Manfred, lui mi chiese semplicemente aiuto, io al contrario lo azzanai con violenza e decisione, cominciai a bere il sangue che usciva dall’articolazione ferita, non ero io, era la mia voglia a comandare in quel momento… La mia giovinezza fù segnata dalla segregazione, consapevole del mio morboso bisogno di sangue caldo, sangue vivo.
Manfred mi ha trovato dopo dieci lunghi anni vissuti su questa collina. Mi guardo intorno, sento il suo odore, la sua voce che mi chiama, sussurrando il mio nome… “Frost… sei lì?”… “Frost… è tanto tempo che non ci vediamo…” “Frost… ricordi davanti alla Scuola del quartiere San Salvador?”
Provavo piacere, in fondo era un amico, ma allo stesso tempo Manfred mi incuteva una strana sensazione di orrore profondo, mi stava cercando o mi stava braccando? Il suo tono di voce nascondeva una strana ironia, un timbro diverso e in effetti erano passati tanti anni…
Finalmente riesco a scorgere Manfred dalla finestra sul retro della baita, era vestito stranamente, con abiti sgualciti, la camicia era strappata in più punti, perdeva sangue e questo mi fece male, molto male, al punto che non riuscii più a rimanere nell’ombra, nascosto. Mi mostrai, con già il pensiero di quello che poteva essere, dopo tanti anni, il sapore di sangue frescoma sopratutto sangue di persona, umano.
Cercai di raggirarlo, attraverso i dedali del bosco adiacente all’uscita sul retro della baita. Ero finalmente dietro a lui, mi accingevo all’attacco, come una bestia inferocita, non ero più io in quel momento. Feci un salto, di circa mezzo metro e colpii Manfred alla testa con il manico di una falce, lui rimase in piedi e si girò… Mi guardò negli occhi e mi disse “Frost, ricordi?…” “Frost… perché l’hai fatto?” “Frost ora sono come te…” e senza indugio sferrò dalla cintura un enorme coltello e fissandomi con rabbia, me lo conficcò nella gamba destra, poi nella sinistra facendo in modo che non riuscii più a camminare. Ancora continuò a tagliarmi senza dire più una parola, ero ridotto ad un ammasso di carne maciullata da tante le ferite che Manfred mi aveva inferto.
Finalmente mi disse qualcosa, sussurrandomi nell’orecchio sinistro “Frost, sono qui per te, sei tu la causa e come tale devi pagarla” cominciò a mangiare le frattaglie di carne più sottili delle mie gambe, e io immobilizzato non potevo fare nulla se non pensare a come arrivare alla sua gola per morderlo. Nel frattempo l’odore di tutto quel sangue aveva fatto arrivare a noi il branco di cani randagi che sostavano nella pianura accanto alla baita, di tanto in tanto si mostravano per chiedermi cibo… Ora il loro cibo eravamo noi. Il primo dei sette cani, sembrava il capo del branco, si fece avanti ringhiando e con unal balzo preciso, millimetrico, azzannò Manfred immobilizzandolo. Lui si girò e con il volto sporco del mio sangue, mentre masticava ancora una frattaglia della mia coscia, si trovò i sette cani addosso, posseduti e senza pietà sbranarono Manfred sotto ai miei occhi. In pochi minuti tutto era finito e di Manfred non rimase che il tronco e un braccio. Mi chiesi se ora doveva toccare a me, dopo tanto sacrificio per nascondere il mio problema all’umanità, per tutta la vita…
Il primo dei cani si avvicinò sempre di più, azzannò il braccio senza vita di Manfred e me lo portò, come fosse un dono, come dovesse contraccambiarmi degli avanzi che ricevette da me, durante gli inverni più freddi.
Ora quei cani vivono con me, in questa baita sperduta lontana da tutto. Loro lo sanno, loro sanno tutto di me, ma ugualmente non mi temono perché consapevoli della loro forza. Ora ho una famiglia, ora non c’è più nessuno che sa di me. Ora posso vivere in pace, nutrendomi insieme ai miei cani, nutrendomi dei miei cani…
Massimo Nero Settembre 2005
RACCONTI DELLO STESSO AUTORE:
Email: [email protected]