Il Cronista

Racconti


Mi trovavo sempre male nella mia situazione lavorativa, non riuscivo a mutar impiego perché non ero più giovane: la pensione era ancora distante e con i colleghi i rapporti erano difficili.
Sognavo sempre la fuga e non riuscivo a realizzare le mie ambizioni: avevo la passione dello scrivere, mi sarebbe piaciuto fare il giornalista, ma non avevo gli agganci giusti.
Mi accontentavo di inviare lettere su lettere ai giornali di tutte le tendenze, schieramenti e generi: qualche volta vedevo pubblicato qualche mio scritto, che trattavano di parecchie questioni differenti, ma sempre collegati a fatti di attualità.
Proprio per queste mie sporadiche apparizioni sulla stampa, mi ero guastato i rapporti personali: le mie uscite erano spesso polemiche, con qualche attacco contro interessi, favoritismi, questo o quel partito, mantenendo sempre la mia indipendenza, il mio senso critico sopra le parti.
Non mi attendevo più un invito da parte dei quotidiani, delle riviste locali: ero fuori tempo massimo per l’età, per il mio carattere scorbutico, per la mia difficoltà congenita ad abbassarmi di fronte ai capi e  ai capetti.
Lo squillo del telefono mi colse di sorpresa: da tempo non ne sentivo il suono.
Alzai il ricevitore quasi con timore, la voce un po’ gracchiante di una segretaria mi  fischiò nell’orecchio: mi chiese di contattare il quotidiano “La Notte del Cittadino”, perché il Direttore mi voleva parlare.
Detti prontamente la mia disponibilità ad un appuntamento e lo ottenni la sera stessa.
Eravamo in Novembre e il buio calava presto: le serate erano umide e io non amavo uscire dopo il tramonto.
Ero diventato, da tempo, un pantofolaio e un misantropo: un uomo senza più ambizioni, né  speranze, il grigio era il colore dominante della mia vita.
Il quotidiano in questione era poco diffuso, quasi sconosciuto: lo avevo scovato tra gli indirizzi di un vecchio elenco di giornali.
Ero convinto che fosse già tra gli estinti: trovabile tra gli annali dei periodici d’epoca.
Infatti, tutto era antiquato, quasi vetusto: l’edificio di fine Ottocento, le scale di marmo per salire alla redazione, la mobilia in noce scuro, tetra quasi macabra.
Mi pareva un’agenzia di pompe funebri: in ogni modo attesi che l’anziana segretaria sbucasse dai vuoti corridoi.
Senza preamboli mi comunicò: -Il Direttore l’attente!-
Tornò al suo tavolino a sfogliare pratiche ingiallite, mentre io avanzavo nel nulla della penombra, in un silenzio agghiacciante: bussai con timidezza e sentii un invito ad entrare.
Mi parve una voce cavernosa e aprii con cautela: invece trovai un ometto in giacca e cravatta, sorridente e cortese.
Mi disse: -Si accomodi!-
Mi sedetti nella logora poltrona e attesi che mi rivolgesse la parola: fu inutile, era troppo intento a scrivere alla macchina da scrivere.
Mi decisi a rompere il ghiaccio: -Mi chiamo Antonio Di Paolo, ho qualche esperienza di giornali.
Ho collaborato… –
Mi fece zittire: -Li sente?-
-Chi? Cosa?-
Lui insistette: -Non sente nulla?-
Percepivo un silenzio pesante e monotono: per un istante temetti di trovarmi dinnanzi ad un folle.
Invece aveva ragione lui: c’era un brusio di sottofondo.
Ero nel cuore di una redazione e la frenetica attività serale stava iniziando con l’ansia dell’ultima notizia da buttare in prima pagina.
Il Direttore mi chiese: -Se la sente di iniziare a lavorare questa sera stessa?-
-Certamente! Non vedo l’ora di gettarmi nella mischia.-
Mi sentii improvvisamente il vigore dei ventanni nelle vene, con tante speranze e tanti sogni da realizzare.
Mi consegnò un foglio: -Qui c’è il sunto della notizia, la sviluppi e poi vedremo.-
Mi accompagnò in una stanzetta dove c’era un tavolino dei fogli e una macchina da scrivere vecchiotta, ma funzionante:
Strappai quattro o cinque fogli prima di aver trovato l’ispirazione giusta: il lavoro era decente e mi decisi a consegnarlo al capo redattore, un omone sudato in maniche di camicia.
Lo lesse brevemente e fece solo un mugugno per commento: non compresi se di compiacimento o di disapprovazione.
A mezzanotte me ne uscii, stanco, ma felice come un bambino: mi gettai sul letto senza togliermi gli abiti e mi risvegliai appena in tempo per correre in ufficio.
Il mio umore era allegro e notai diversi sguardi stupiti su di me, ma non svelai a nessuno il mio segreto.
Appena potei, durante la pausa pranzo, corsi in edicola per acquistare “La Notte del Cittadino”: c’era il mio articolo, un po’ tagliato alla fine, ma con la mia firma in grassetto.
Ero entusiasta: avevo raggiunto lo scopo della mia vita, non mi restava che riuscire a farmi assumere e licenziarmi da quella che era ormai la mia prigione.
Fu così che continuai a presentarmi in redazione, dopo le 21 e lì mi impegnavo per due o tre pezzi, che mi erano sempre pubblicati.
Ricevetti il primo compenso, un discreto gruzzolo, ma non ebbi altre informazioni dal burbero capo redattore.
Il Direttore era irraggiungibile,  era assente o aveva sempre fretta: la mia assunzione restava una chimera.
Mi stancai e bussai con decisione alla porta del Direttore, sentii la solita voce cavernosa che  mi disse di entrare: -Si accomodi Antonio, l’attendevo.-
Non avevo capito come aveva fatto ad intuire che ero io, ma non mi preoccupai: il capo era placidamente sdraiato sulla poltrona, con i piedi appoggiati sulla scrivania.
Fui cortese e determinato: -Vorrei avere dei chiarimenti, la mia condizione di precario è inaccettabile…-
Mi sorrise e mi consegnò una busta: conteneva la mia tessera di giornalista professionista, ero stato assunto a tutti gli effetti.
Si alzò e mi strinse la mano: -E’ soddisfatto! Complimenti!-
Me ne uscii borbottando ripetutamente grazie.
Ero estasiato, confuso, andai nel mio ufficio.
Lessi con attenzione la mia tessera: era tutto regolare, ma la data del rilascio era 1896, pensai a un errore di stampa, poi mi accorsi che c’era uno stemma dell’epoca: tutto era di più di cento anni prima.
Non mi fidai dei miei colleghi, sempre evanescenti, sfuggenti, con cui avevo scambiato solo poche brevi frasi e qualche battuta simpatica.
Il caporedattore non si era mai degnato di rispondere alle mie richieste: decisi di saperne di più in biblioteca.
La mattina successiva, all’ora dell’apertura, mi presentai dall’addormentato bibliotecario, chiedendogli tutti gli annali di “La Notte del Cittadino”: mi fornì dieci libroni polverosi, con rilegati cinque anni di pubblicazioni del quotidiano.
Erano dell’inzio del Novecento.
Mi arrabbiai e stizzito chiamai l’occhialuto bibliotecario, che mi rispose senza alterarsi: -“La Notte del Cittadino” non esiste più da almeno novantanni.-
-Non  è possibile! Io vi lavoro!-
Un vecchio, intento a leggersi un periodico, mi sorrise: -Lei ha bisogno di una vacanza, mi pare un po’ esaurito: non può lavorare in un giornale di morti.-
Ero stordito, confuso, terrorizzato, ma volli sapere tutto: il mio quotidiano non esisteva più perchè l’edificio era crollato e tutti, redattori, segretarie, telefonisti, erano rimasti sotto le macerie.
L’edificio non esisteva più e al suo posto c’era un giardno pubblico: mi sembrava di impazzire, ma poi compresi il tutto e attesi il buio per tornare al mio posto, dietro una scrivania a stillare articoli che nessun’ anima viva avrebbe letto.

IL  GIORNALE DELLA CITTA’ – del  1 Novembre lxxxix: – …ieri mattina, alle sette, è stato ritrovato il cadavere dell’impiegato Antonio Di Paolo, deceduto di infarto, secondo la perizia del Medico Legale. Il corpo era su una panchina del giardino, noto come lo spiazzo del Giornale dei Morti… –

Arduino Rossi Marzo 2006

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