Gli Occhi Di Belial

Racconti

Occhi Rossi - LibroTitolo: Occhi Rossi
Autrice: Adele Patrizia D’Atri
Editore: Lulu
Pubblicazione: 2007
Prezzo: 10.50€

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Decise di accettare quella proposta. Famigerata, ma unica. Unirsi ai figli di Belial. Certo era stato sempre un cattolico, magari poco praticante, ma cattolico. Essere cattolico, però, non riempiva il piatto. Questi della setta, invece, gli avevano promesso un posto dove dormire e tre pasti al giorno. Più che sufficiente. Avrebbe lavorato con e per loro.
L’anno prima, quando gli era stata fatta la proposta, aveva rifiutato. Senza batter ciglio. Ma l’anno prima aveva un tetto e da mangiare.
E poi in fondo non sarebbe stato uno di “loro”.
Rimaneva pur sempre ancorato alla sua religione e alla sua morale. Era un uomo buono, lui, che amava i suoi simili. Non di certo poteva incarnare le sembianze di un pazzo furioso che desiderava l’estinzione della specie. Non avrebbe sacrificato agnellini per un demone posticcio come questo Belial. Attualmente non sapeva neppure che demone fosse. Un sottomesso di Lucifero, forse.
In effetti era piuttosto ignorante in materia demoniaca. Spesso aveva sentito parlare delle sette sataniche come luoghi in cui si attua qualsiasi tipo di depravazione e barbarie. Ma in finale unirsi ai figli di Belial era un salto nel buio. Tuttavia, non credeva affatto che ci fosse del vero nelle diffuse leggende metropolitane.
Il tizio che lo aveva contattato, chiedendogli di unirsi all’allora nascente setta, non aveva parlato di sacrifici animali o di orge. Aveva soltanto riferito che si trattava di un assemblea di persone che credevano in Belial, che si riunivano per pregarlo. Quello che volevano creare era una comune, dove vivere del proprio lavoro ed adorare Belial.
Niente di male, dunque. Tra l’altro era una via di sbocco ai suoi guai.
Dunque sì, accettava.

Dalle tasca ripescò il foglietto dove l’adepto aveva annotato il suo numero di cellulare. “Anche satana si adegua ai tempi” pensò. “Magari la comune sarà dotata di computer e collegamento internet“.
Non perse tempo a rimuginare ancora. Chiamò e, stupore, fu accettato.
Senza colloquio, senza richiestapecuniaria. Quest’ultima, cosa davvero anormale e singolarmente gradevole.
Lo avrebbero accolto a qualsiasi ora. Di conseguenza poteva recarsi da loro anche in quel momento. Non se lo fece ripetere due volte. Era per strada dalle otto del mattino, orario in cui il suo padrone di casa lo aveva cacciato a calci da quella stamberga che si ostinava a chiamare casa. Riassettò i suoi vestiti ed il suo umore e salì in groppa al primo autobus.
Via pessimismo, avanti ottimismo. Una vita nuova.
Per fortuna qualcuno gliela aveva offerta.

Giunse alla comune proprio per ora di cena. Cosa assai gradita a dire il vero. In effetti, a cose fatte, anche lo stomaco ritornava a reclamare un pasto. Dopo cena lo condussero dal “maestro” per essere istruito sulla vita nella comune.
Era un affare! Il suo lavoro consisteva nel coltivare patate e, inoltre, era solo vincolato a prendere parte ai riti.
Tutto qui?” si disse mentalmente e si recò a prendere possesso della sua nuova stanza. Oddio, forse un po’ spartana, ma dotata di letto, armadio e scrivania. Accipicchia, il tutto in cambio di tuberi da coltivare. Avrebbe coltivato anche carote se fosse stato necessario!
Dopo un mese era finalmente sereno. Gli adepti erano gente simpatica, ospitale.
Si sentiva a suo agio e, come aveva precedentemente sospettato, anche l’inferno si era modernizzato. Climatizzatori in ogni dove.

L’ora era tarda e il mattino minacciava le sue ore di sonno, avrebbe visitato l’edificio l’indomani. Chinò le palpebre e Morfeo non si fece bramare. Ma con Morfeo giunsero anche incubi, non di sicuro agognati seppur differenti da quelli dell’ultimo mese.

Vide cavalli bianchi avanzare rapidamente verso voragini e non fermarsi in tempo prima della caduta.
Vide uccelli neri sulle scie di aerei crollare uniti verso la terra.
Vide uomini vestiti di stracci tormentarsi attorno ad un rogo.

Si svegliò.
Agitato, affannato, con un inspiegabile presentimento addosso.
Uscì di corsa dalla stanza.
Non si fermò a riflettere, non lasciò che la ragione lo spingesse a capire quanto folle fosse mettere in relazione sogni e realtà. Si lanciò nei corridoi bui, in cerca di una spiegazione al suo malessere. Nell’inquietudine che lo attanagliava quasi non si accorse di essere finito in una stanza scura, illuminata di rosso.

All’apparenza sembrava vuota quindi si spinse all’interno incuriosito. La paura e l’agitazione di pochi attimi prima lo avevano lasciato. “Eh le fissazioni sulle sette sataniche...” pensò “leggende da casalinghe“.
Così si trattenne ad osservare il luogo. Sul pavimento c’era una stella. Sicuramente doveva essere una specie di chiesa. In effetti c’era un grosso tavolo in marmo, una specie di altare. Poteva essere benissimo il luogo di preghiera. Ma non c’erano scanni dove sedersi ad ascoltare il predicatore.
Oltre l’altare, niente. Ai due lati dell’ara si aprivano due cunicoli. Sembravano gallerie. “La curiosità è donna” si disse, ma a dirla tutta è umana.
Dunque si diresse verso la galleria di destra. Anche lì la luce era rossa, ma non vide lampade. Così proseguì fino al punto in cui le due gallerie si univano. Nel punto di incontro si imponeva una cascata che si gettava in un lago.

Le acque apparivano rosse. “Sicuramente effetto delle luci” pensò. Poi si avvicinò e vide che il bagliore vermiglio scaturiva proprio dalle acque. Anche la cascata era rossa. E prospera!

Doveva vederci chiaro, per quanto si trovasse in penombra. Era possibile che ci fossero lampade sul fondo del laghetto. Senza altro non era sangue. Troppo scontato. “Trovarsi nella sede di una setta satanica e vedere fiumi di sangue” era una cosa da far ridere, perbacco! Era come dar credito al mucchio di baggianate che si ascoltava in giro. Certo la sede di una confraternita dedita al culto di Belial doveva pur sempre avere un certo simbolismo, una qualsivoglia decorazione che riportasse con la mente al loro credo. Probabilmente si trattava di un artifizio ben congegnato. Magari quella non era acqua, ma vernice, salsa di pomodoro o altri stratagemmi coreografici. Però era ugualmente curioso ed attirato dallo strano meccanismo che metteva in atto la cascata ed il lago. Si avvicinò ancora di più. Immerse le mani nel fluido sanguigno ed ebbe una bizzarra idea. Voglia di tuffarsi in quel liquido, voglia di immergervi la testa.
Lo fece. Una sensazione di potere lo invase. Ora non si chiedeva più cosa fosse quel fluido. Lo avvertiva magico, tanto gli bastava. Nessuna percezione di troppo freddo o troppo caldo. Era perfetto.

Si avvicinò alla cascata e aspettò che le acque rosse gli piombassero addosso. La cascata giunse con una tale forza che lo fece finire in un vortice sotterraneo. Finì in un meccanismo che lo tranciò in due: il suo sangue si unì allo scorrere dell’altro, il suo corpo invece cadde in un contenitore.

Non si era sbagliato affatto. Il meccanismo c’era. Ma c’era anche la magia che lo aveva svegliato nel cuore della notte e lo aveva portato a divenire parte del lago di sangue.
L’indomani Belial avrebbe avuto nuovi occhi e gli adepti più sangue in cui bagnarsi.
Senza avvicinarsi alla cascata, però.

Adele Patrizia D’Atri aprile 2005

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