George

Racconti

Occhi Rossi - LibroTitolo: Occhi Rossi
Autrice: Adele Patrizia D’Atri
Editore: Lulu
Pubblicazione: 2007
Prezzo: 10.50€

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Nell’afa di una mattina di luglio, George, un impiegatuccio grigio, scomparve.
Si dissolse. Nel tremolio dell’asfalto. Mentre percorreva la lunga discesa che lo avrebbe portato a casa. Con la sua borsa nera. Con i suoi pantaloni ampi di lino. Con la sua pancetta traballante.
George, una vita di insulti. Una vita inutile. George, il ciccione.
Nessuno si accorse del suo dileguamento. Nessuno ad attenderlo, nessuno a rammentarlo.
Come puntino nel cielo, come goccia nel mare.

Ci sarebbero tante cose da dire sulla sua adolescenza… ma più sulla sua infanzia.

George era stato un bambino impacciato, ma privo di cattiveria. Non certo un bel bambino, ma tanto buono, come gli ripeteva zia Carlotta. Non aveva amici, per via del suo aspetto. Era obeso. La zia gli ripeteva che era solo robusto.

E sì… la zia. Zia carlotta. Unica parente in vita. Anche questo era motivo di sbeffeggiatura per George.
Ridicolizzato nell’ aspetto, deriso nell’ abbandono.
Cosciente della sua mole, George chinava il capo e proseguiva, tra gli spintoni dei bulli, per la sua strada.
Cosciente delle sue limitazioni, piangeva lacrime solitarie nel fienile vicino casa.
Cosciente sin da piccolo di essere un fallito.
Cosciente fin da allora della brutalità dei suoi simili.
Consapevole dei suoi teneri anni gettati in un turbinio di ingiurie. Annientato nella sua sensibilità. Bastonato nel profondo. Lacrime amare a rigare il viso paffuto. Lacrime salate ad insaporire la pelle dolce di bimbo. Manine grassotelle unite in grembo come in attesa del colpo finale. Chiunque beffava il suo portamento, la sua goffaggine, le sue lacrime, la sua vergogna. Spietata vergogna.

Oh George avresti dovuto ucciderli, ucciderli a sassate. Massacrarli.

Invece fu massacrato lui tra l’euforia generale.
All’età di 28 anni rimase solo. Anche la zia lo lasciò. Solo. Nel suo mondo ostile, con i suoi vestiti extralarge, con le sue guance grassoccie ora velate di un’ ombra bionda. Ma gli occhi di George. Oh quegli occhi verdi. Verdi come la selva in estate. Verdi come la speranza che non aveva.

Oh George avresti dovuto cucire la loro sporca bocca.

Invece chiusero la sua di bocca.
E con la bocca la mente. Nei panni di un impiegato trascorreva le sue giornate tagliato fuori da adulto, come da bambino. Nelle giornate tiepide soleva mangiare il suo panino lì, in quel giardino. In compagnia di suoni remoti. In compagnia di frasi lontane. In compagnia dei fantasmi della sua vita. I suoi sgomenti.

Oh George avresti dovuto spaccare la testa a quei bastardi!

Invece spaccarono la sua di testa.
A furia di irrisioni era divenuto un uomo ancor più timoroso. Aveva terrore di recarsi a fare la spesa. Provava panico a compararsi con chiunque. George, un uomo debole, deriso dal mondo. Nel suo lungo tempo libero, amava passeggiare per le stradine di un maestoso parco. Si soffermava ad ammirare le fronde degli alberi che coprivano agli occhi la vista del lago.

Oh George avresti dovuto cavargli gli occhi! Strapparglieli con le tue dita!

Ed invece era stato lui a divenire cieco.
Cieco nei confronti della sua vita. Cieco verso il fato beffardo. Era stato fermato nel parco da un uomo. Un tipo inconsueto, vestito di cenci, dai capelli grigi e lunghi, con il viso rubicondo, senza denti. Gli aveva sciorinato svariate teorie. Insolite. Davvero curiose.

Ma un uomo annullato dal mondo, con la bocca serrata dall’ impassibilità, con gli occhi spenti di chi ha solo pianto, un uomo grasso, un uomo solo (insomma George)…aveva creduto in quelle parole. Aveva confidato in quell’ individuo sporco e sdentato. Gli aveva sorriso.

Si erano seduti su quella panchina in cui George aveva consumato per anni i suoi solitari pasti. Avevano guardato insieme quella striscia di lago coperta dalla fronda. George gli aveva parlato del suo passato. All’inizio balbettando, poi le parole erano diventate un fiume in piena. Gli aveva svelato tutto.

Oh George non dovevi farti abbindolare..no George

Ed invece il vecchio astuto lo aveva giocato.
Gli aveva offerto la soluzione ai suoi problemi. Certo non poteva restituirgli la famiglia, ma quei rotoli di lardo sarebbero scomparsi. Poteva giurarci!Così gli consegnò una polverina. Sarebbe bastato scioglierla nell’acqua e berla. Una sola volta. Non volle soldi in cambio…no, no…niente lercio denaro. Che quei volgari bigliettoni andassero al diavolo. Volle molto di più.

Oh George non dovevi credergli! Avresti dovuto strappargli i capelli!

Quando George, reso snello dall’intruglio, ritornò al parco, lo rivide. Seduto lì sulla sua panchina, di fronte il suo lago..celato dal tramonto.

“Ti aspettavo” gli disse.

George si sedette, nella sua nuova sfolgorante esteriorità. Nei suoi nuovi pantaloni emme.

Oh George …quanto eri bello…se eri bello…e così dannatamente stupido…

“Ora dovrai fare qualcosa per me”
“Cosa, cosa? Tutto… chiedimi tutto”

Oh George non dovevi essere così malleabile… no… George

“Una cosa che farà piacere ad entrambi.”
fece una pausa e poi aggiunse:
“Uccidere quegli stolti fanciulli che ti insultavano.”
altra pausa e poi:
“E dovrai portarmi le loro teste”

Oh George eri solo un bambino timido e grasso, non eri cattivo, george. Eri così buono!

George accettò.
Nella fatiscente cucina ritrovò alcuni attrezzi che gli sarebbero tornati utili nella sua caccia. Li mise nella sua sbilenca borsa nera e sia avviò. Nel passare davanti lo specchio del corridoio, si fermò per la prima volta ad osservarsi. Magro. Con gli occhi così verdi, così attraenti. Si riavviò i capelli e si scoprì piacente. Un uomo giovane, dai capelli color miele dai lineamenti delicati. Sorrise alla sua immagine e si incamminò. Senza riserve. Senza paure. Per la prima volta nella sua angustiante vita.

Oh George non dovevi dar retta a quello schifoso verme!

E così George dopo anni ed anni di insolenze, villanie e meschinità si decise a far fuori i suoi antichi oppressori. Fece come gli aveva detto il suo nuovo amico. L’unico in verità che avesse mai avuto. Attese il primo, avvolto dall’oscurità, dietro una siepe.

Oh che nobile attesa, George…avresti dovuto farlo prima

Lo vide giungere con passo risolto. Con la sua valigetta da avvocato. Con i suoi abiti pregiati. Fischiettava alla vita, spensieratamente. Oh quel fischio! Oh quel dannato fischio! Riportò George al tempo in cui, quell’odioso bambino, ora lodevole avvocato (del demonio sicuramente), gli lanciava bucce di banana addosso, tra le risa degli astanti. Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Con un mossa fugace sbucò dalla siepe. Gli afferrò il collo con una mano e con l’altra gli tappò quella fottutissima bocca. No, non per le urla…no … per quell’ infernale fischiettare!

Fu semplice. Così semplice, eppur così gradevole. Nell’aria frizzante della sera gli staccò la testa e la mise nella borsa. Poi, nonostante la serata fitta d’impegni ( piacevoli per carità..) si soffermò a prelevare qualche ricordo e ad assaporare l’antica vendetta. Da non crederci, non lo aveva riconosciuto, il bastardo. Aveva dovuto rinfrescargli la memoria…e si lo aveva fatto, con vero diletto. A bastonate ogni qual volta non azzeccava il suo nome. Aveva riso mentre l’avvocato agonizzava e urlava George! Certo che aveva riso, fino a sentirsene male. Ma poi il dovere chiamava. Di fretta aveva finito il lavoro quando l’uomo aveva perso i sensi.

E ora toccava al numero due.

Oh George non ti piacerà la tua ricompensa, no George

Terminato lo sterminio, si incamminò di gran lena dal vegliardo. Lo trovò ad attenderlo. Lì sulla stessa panchina di sempre, ad osservare il lago sotto il barlume bianco della luna. Gli mostrò le teste, ma l’uomo non parlò. Lo guardò fisso negli occhi e poi cominciò a sogghignare.

Oh George cosa succede? Perché ride? Ride di te?

Proprio così il vecchio rideva di lui, lo beffava. George non capiva. Perché? Perché? Perché? Ma il vecchio scomparve. Un frantumarsi di vetro e fu buio. Dove prima era l’uomo ora il nulla, il vuoto. George si sedette sulla panchina. Poi si stese e dormì. Le sue ultime ore da uomo magro, le sue ultime ore da uomo.

AH-AH-AH George, te l’ hanno fatta un’altra volta,eh?

“No no zia, noo, nooo. Non sono più un grasso balordo impacciato. Ora sono un uomo, sono un Uomo!”
Poi abbassò lo sguardo e vide il suo pancione tremolante come gelatina di nuovo lì. Dove era sempre stato. Al chiarore del sole di mezzogiorno si evidenziava ancora meglio. Nessuna ombra a snellire. Poi guardò i suoi vestiti. Erano tornati quelli di una volta. Il pantalone di lino largo, la polo bianca e lì sulla panchina la sua borsa nera.

Oh George, piccolo bambino mio, che ti hanno fatto?

ERA STATO TUTTO UN SOGNO?

No, non lo era stato.
A ricordarglielo un giornale spiegazzato ai suoi piedi, con le foto delle sue vittime.
Prese la borsa e si incamminò. Verso casa.
Verso l’inferno.

Adele Patrizia D’Atri 09.12.2004

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