Fresco di Giornata
Resta sospeso tra un battito e l’altro, nell’infinito tempo che intercorre, prima che il sangue venga nuovamente pompato. E lo vedo contrarsi nel suo alveo predisposto, avvolto dal plasma abbondante e vermiglio nel quale sembra galleggiare.
È uno spettacolo; è la vita che cerca sé stessa nel continuo pulsare amplificando, ad ogni nuova contrazione, il desiderio di vivere.
Ed io glielo congedo. Ancora per poco.
Il giovane che oggi mi serve da cavia ha resistito bene, tutto sommato, a questo taglio profondo che ha allargato le sue carni fino a scoprire l’oggetto del mio interesse. È un premio al suo coraggio, questa concessione.
E tutto ciò è necessario, credetemi.
Non avrebbe senso addormentarlo o, magari, ucciderlo prima. No, no.
È indispensabile che l’organo sia prelevato ancora palpitante e che lo stesso donatore, con la sua paura, il suo terrore, gli dia maggiore linfa vitale, così da essere rimosso nel massimo della sua attività, gonfio di sangue e nel pieno vigore.
È un cuore robusto, di ragazzo di non più di venti anni, così come mi è stato chiesto. Non deludo mai il mio committente, ed è per questo che i miei servizi hanno un costo così elevato.
Non potete immaginare quanto possa rendere una simile attività. È chiaro che si debba avere una certa pratica e soprattutto uno “stomaco forte”, una mano ferma e decisa, anche qualche conoscenza nel campo medico è assolutamente indispensabile.
E per me è unire l’utile al dilettevole.
Vi vedo già, tutti quanti, ad inorridirvi, a condannarmi senza nemmeno aver cercato di comprendere, senza darmi modo di spiegare quanto possa essere esaltante sapere di avere nelle proprie mani il destino di questa o quella persona e come possa dare enorme soddisfazione, quasi ebbrezza, leggere sul loro volto lo smarrimento, la rassegnazione, il dolore, lo sconforto…
Quasi mi dispiace, però, per questo ragazzo dal bell’aspetto, dai capelli d’un biondo lucente e gli occhi azzurri grandi e profondi. Nei quali, adesso, leggo l’orrore.
Ha capito, non può non averlo fatto.
Certo, non lo immaginava stamattina, lì vicino al campo nomadi, quando l’ho irretito con cenni evidenti d’intesa e facendogli credere esattamente questo: gli avrei dato il mio corpo.
Non crederete che non l’abbia fatto!
Ah, è stato un vero piacere. Più mio che suo, probabilmente. Non si può volere tutto dalla vita, del resto… ed io ne so qualcosa. Credo, però, che il suo divertimento, se c’è stato, si sia interrotto definitivamente quando ha avvertito il primo taglio netto del rasoio ben affilato sulla coscia ed il sangue caldo che gli ha colorato la pelle di rosso.
Avevamo appena finito di fare l’amore e l’avevo lasciato lì, insoddisfatto. Io me l’ero spassata alla grande e, tenendo il ruolo di chi ha premura verso chi non ha trovato il piacere, gli avevo proposto di farsi legare nudo sul letto di questa sala operatoria improvvisata così che, forse, in questo modo, avrebbe potuto trovare la maniera, vista la nuova e strana situazione, per lui, di raggiungere il godimento.
E invece ho cominciato ad usare quel rasoio.
Prima sulla coscia destra e poi sulla sinistra, praticando un taglio dall’inguine fino al ginocchio così che il sangue ha cominciato a sgorgare copioso.
Soltanto un attimo per ammirare la mia opera e poi ho ripreso a divertirmi con lui che, incredibile a credersi, nonostante le due ferite profonde sulle gambe, ha continuato a mantenere intatta la sua virilità. E questa volta riesce a trovare soddisfazione anche lui cosicché, io, con ancora addosso il suo sangue, comincio ad operare per quello che è il mio vero obiettivo.
Con il fonendoscopio ascolto attentamente i suoi battiti, per rintracciare eventuali aritmie, battiti irregolari che possano farmi recedere dall’intento di intervenire. E, invece, è un cuore che sembra un metronomo, a dispetto di quello che il corpo in cui è contenuto ha dovuto subire.
Ed ecco che torniamo all’inizio del mio racconto.
Sono qui di lato al letto a contemplare questo corpo immerso nel sangue con il cuore aperto a lasciare intravedere quello che mi frutterà un bel po’ di denaro. Ho avuto il mio giusto e solito divertimento… Ed anche qualcosa in più, mi è parso. È solo un’impressione, però, sarà da verificare.
Prelevo il cuore, allora, con addosso una strana sensazione, di potere immenso, con la certezza che sono in grado di dare la morte a qualcuno per donarla ad un altro.
Mi piace, questo.
Depongo l’organo nella solita custodia frigorifera e nella quale c’è quello strano materiale gelatinoso che, tra le altre sostanze, mi pare, contenga freon ed azoto. È questa composto che fa sì, mi è stato spiegato, che il muscolo possa conservarsi integro fino a quando verrà utilizzato cosa che, comunque, avverrà in giornata.
Il mio giovane amante è definitivamente morto, ormai. Sono le tre del mattino ed ho la consegna per le sei. Devo sbrigarmi a ripulire tutto, mettere il corpo nella sacca di plastica, prendermi il tempo per una doccia e poi andare all’incontro per ritirare il mio sudatissimo compenso. E, in cambio, lasciare il cuore, ovviamente.
Dovrò fermarmi prima all’inceneritore, però; è lì che faranno sparire il corpo, come sempre del resto. È gente ben organizzata questa; e paga bene. Al lavoro, dunque…
In altro luogo alcuni mesi dopo…
Guarda la televisione con fare annoiato, cambiando canale ad ogni secondo.
Squilla il telefono. Quel telefono. Quello che usa soltanto per il suo lavoro, quello, diciamo così, saltuario. Risponde e la solita voce dall’altra parte comincia a dire che c’è bisogno del suo intervento. È necessario reperire due reni…
Interrompe il suo interlocutore telefonico dicendogli che questa volta non può occuparsene. È impensabile in questo momento e ci vorrà molto tempo prima che ciò possa accadere di nuovo.
«Perché?» chiede l’altro.
«Sono incinta» risponde.
Senza neanche salutarsi, entrambi interrompono la telefonata.
«Il mercato illegale degli organi umani può ben attendere adesso» pensa, riprendendo a cambiare i canali.
Quella sera stessa le doglie, la corsa in ospedale, accompagnata dal marito…
«No, cosa credete… lui non sa nulla di questa mia criminale attività… Ma non giudicatemi: è un modo come un altro per arrotondare il mio stipendio… Al giorno d’oggi è così difficile riuscire ad ottenere ciò che si vuole…
Mio marito è qui, accanto a me, tutto premuroso. Crede che sia suo il bambino. Quanto scommettete che avrà i capelli d’un biondo lucente e gli occhi azzurri grandi e profondi?»
Prima di entrare definitivamente in sala operatoria la donna sente gridare, con voce che probabilmente riconduce a quella del capo infermiere del suo reparto: «È la dottoressa Trìboldy, lavora in questo stesso ospedale. Trattatela con riguardo!»
Alla dottoressa Genoveffa Tribaldy, venne concesso di curarsi del suo bambino per i primi tre mesi di vita, poi venne rinchiusa in un reparto psichiatrico in attesa che l’indagine sul mercato degli organi facesse il suo corso.
Al processo, che durò due anni, la Tribaldy tenne un comportamento tale da non lasciare dubbi sulla sua infermità mentale così che venne ricondotta, e questa volta a tempo indeterminato, nello stesso reparto psichiatrico. La rete criminosa che commerciava in organi umani, facendoli pagare a prezzi incredibili, si componeva, tra gli altri, di medici professionisti tra cui tanti affermati e stimati anche a livello internazionale.
In tutto vennero processate 35 persone alcune delle quali ebbero pene severe, anche fino all’ergastolo.
Ma la mente, quella che ha imbastito tutta la trama, non è stata arrestata. Si sa che c’è – è venuto fuori dal dibattito in aula – ma non se ne conosce il nome: è persona rimasta sempre nell’ombra e, se a lui ci si doveva riferire, si usava il nome di “doctor phantom”.
Se tutto potessimo vedere, però, sapremmo che, adesso, questa persona è in Brasile dove, con l’aiuto di altra gente senza scrupoli, ha ripreso la sua illegale ed aberrante attività.
Robert Strange (ciao.it) 25.06.2005
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