Dannato Amore
Tutti guardavano in alto ora. E lui continuò indisturbato: lavoro di braccia e martello su quelle sbarre. I colpi arrivavano fino a loro, ma nessuno sembrava farci caso, avevano occhi solo per lei ora. Lui continuò a picchiare sui cardini, sulle saldature, sui lucchetti arrugginiti ed il pesante clangore cominciò ad entrargli nelle tempie, con pulsare ritmico.
Oltre le sbarre c’era il suo premio, ma lui non osava guardare, avrebbe perso il coraggio di andare avanti. Fissava il punto in cui picchiava col martello che aveva aperto verruche grandi come sanguisughe in mezzo ai palmi.
Poteva solo sperare che continuassero a parlarle, che lei continuasse a guardare loro senza fare sciocchezze.
Il suo vestito, una volta candido, era ridotto in pezzi. Le sue gambe erano scoperte fin sopra le ginocchia, si mostravano tra le ferite lacere della veste. Teneva le sue mani strette sull’inguine a fermare il vento che riempiva la sua gonna. Aveva sotto di se un panorama stupendo ed una piccola distesa di teste vociferose.
“Le ripeto di non muoversi, ha capito? Ripeto: non si muova! La persona con cui ha chiesto di parlare sta arrivando. Ripeto: sta arrivando!”
Poteva sentire la voce dal megafono anche da lì sotto, ed anche da quella cripta silenziosa avvertiva la puzza di una menzogna. Non facevano che peggiorare le cose perché, anche nelle condizioni in cui si trovava adesso, Lara non si sarebbe certo fatta ingannare da quelle misere parole.
Il primo lucchetto cedette nello stesso momento in cui Lara si conficcò il chiodo rugginoso nel mezzo del palmo della sua mano destra. Lo fece con forza e velocità. Quelli di sotto non ebbero il tempo di far nulla. Aveva poggiato la mano destra sul muro di fianco al suo corpo, caricato il colpo col l’altra mano, e scaricato la forza in un colpo netto da togliere il fiato.
Padre Carmine si fermò per un attimo su quelle grida. Guardò il lucchetto sventrato. Aveva voglia di dare un’occhiata a quello che c’era oltre le sbarre, quello che cercava, ma nemmeno questa volta lo fece. O almeno non del tutto. I suoi occhi arrivarono solo alla base di quel tremendo simulacro. Gli tremarono le mani e calò lo sguardo.
“Signore, abbi pietà della mia anima…”, recitò dentro sè, “prenditi cura della mia anima se riuscirò a finire il mio lavoro, per questo io ti supplico.”
Inspirò profondamente, guardò le sue mani e vide che non tremavano più.
Espirò.
Ricominciò a battere sul secondo dei tre lucchetti che tenevano salde le catene di quelle sbarre.
Solo il bagliore di una candela guidava le sue mani, il sudore era freddo nonostante la fatica, la paura di qualcosa di troppo grande per la sua condizione dominava i suoi pensieri. Era sceso solo una volta in quella cripta, e quel giorno di un anno addietro si disse che sarebbe stato l’ultimo.
Ma lei era inarrestabile. E solo oggi lui si era reso conto di quanto il suo amore fosse forte, potente e…definitivo.
“Signorina si fermi! Per l’amor di Dio, non faccia sciocchezze! Lui a minuti sarà qui accompagnato da Padre Carmine in persona! Non serve tutto ciò! La prego si fermi e parli con me. Mi chieda quello che vuole!”
“Imbecille di un poliziotto!”, ebbe il tempo di pensare Padre Carmine quando la ragazza, dopo pochi attimi di incredulità per tutta risposta diede un urlo che fece rabbrividire il sergente Duilio e tutta la gente presente al momento, civili e forze dell’ordine. La disperazione di quella donna rimbalzò contro le mura di quella chiesa imponente e raggiunse le orecchie anche di persone che abitavano a isolati da lì. Il lato ovest della chiesa di San Giuda era transennata dalle 6:00 di quel mattino. La ragazza era sul balcone più alto, con una mano gravemente ferita, le lacrime sul viso, i piedi nudi sul marmo, i capelli biondi al vento.
“Come volevasi dimostrare”, pensò, e si tranquillizzò per quanto potè, almeno aveva la certezza che era ancora viva.
Scaricava la sua rabbia su quei lucchetti che lui stesso aveva applicato e dei quali aveva distrutto personalmente le tre chiavi.
Il secondo lucchetto saltò mentre la sua mente tornava a quel fatidico mese di agosto, quando il suo servitore di messa prediletto, Giovanni, cominciava ad avvertire degli strani malesseri durante le celebrazioni.
Continuò a battere col martello sempre più forte, una vescica si ruppe in bruciore e liquido, ma non vi badò, non esitò nemmeno per un momento.
Giovanni era cresciuto con lui, orfano di entrambi i genitori, ed era stato sempre un ragazzo solitario, di poche parole, ma serio ed efficiente. Amava la lettura e la musica, ma aveva una riservatezza ed una timidezza di fondo che lo tenevano lontano dallo stringere rapporti duraturi con i suoi coetanei.
Aveva un difetto dalla nascita. Padre Carmine lo aveva sempre aiutato a non farsene un problema anche se il ragazzo tendeva sempre a nascondere questa sua malformazione.
Il ragazzo aveva il viso di un angelo, la carnagione era chiara ma aveva gli occhi del colore del mare di notte, delle onde senza schiuma e luce. Le ragazze che incrociava per strada quando il buon padre gli commissionava qualche lavoretto si giravano a guardarlo, ma lui molte volte non ci faceva nemmeno caso. Era felice di poter essere utile a “suo padre”.
Tutti coloro lo conoscevano non avevano mai visto Giovanni un solo giorno senza il suo amato copricapo, un cappello da “guappo”, regalo di padre Carmine per il suo diciassettesimo compleanno, al quale il ragazzo teneva come ad una sacra reliquia, e che non avrebbe ceduto nemmeno in pericolo della sua stessa vita.
Due volte la settimana Giovanni ritirava la posta della chiesa e spediva le missive che padre Carmine gli aveva affidato direttamente all’unico ufficio postale del paese, quello vicino alla piazza. Lì per la prima volta i suoi occhi si erano fermati su una donna. E vi erano rimasti sopra a lungo.
Lara. Lavorava alla posta del paese già da 2 anni ed era più grande di lui di 2. Quegli occhi spaccarono in un istante tutti i pensieri che separavano la sua mente ed il suo cuore dal concetto di passione.
“Sono tutte dello stesso peso?” gli disse mentre soppesava le missive e tenendo lo sguardo sul suo lavoro.
Aveva fatto quella domanda quasi in automatico.
Giovanni non diede una risposta, guardava le mani della ragazza che lavoravano, sentiva di essere cullato dalle onde su una barca nel silenzio del mare.
“Ehi, ti ho chiesto se son tutte dello stesso peso!” riprovò lei, e questa volta alzò lo sguardo a guardarlo, come a controllare se fosse ancora lì.
In quel momento iniziò tutto. Giovanni vide nei suoi occhi il senso di quei giorni e, sensa saperlo, vide il destino dei suoi ultimi giorni.
Le rispose, scusandosi, balbettò qualcosa, finì la sua commissione e scappò via.
Lei rimase ferma solo per qualche attimo interrogandosi sulla stranezza di quel ragazzo con quel buffo copricapo, poi tornò al suo lavoro.
Quella sera a letto le tornarono in mente quegli occhi profondi e quell’espressione sincera.
Il metallo si spaccò con un ultimo colpo ed un suono di lacerazione. Restava l’ultimo lucchetto.
Lara sfilò un secondo chiodo dalla tasca della sua veste.
Padre Carmine si portò il dorso del braccio alla fronte, asciugandosi il sudore.
“La prego, non è necessario che lei faccia tutto questo, si sta facendo del male inutilmente signorina, la cosa può essere risolta in un altro modo”
Quel poliziotto continuava a menarla nella stessa direzione, non aveva capito chi si trovava davanti.
I colpi di martello aumentavano di frequenza proporzionalmente alla paura che gli attanagliava il cuore.
Giovanni serviva la messa tutti i giorni, ed la mattina del 12 Agosto cominciò a versare l’acqua santa per padre Carmine che celebrava la messa delle dieci.
Poche gocce gli caddero sulle mani, e siccome era concentrato sulla celebrazione e la preghiera non si accorse di quello che stava accadendo.
Se ne accorse il prete, quando accettò come sempre l’acqua ed il vino. Aprì gli occhi più del dovuto solo per un attimo e Giovanni ne seguì lo sguardo.
Ebbe paura.
“Corri in bagno, posso continuare da solo” gi sussurrò padre Carmine.
Ed il ragazzo così fece.
Nessun medico seppe spiegare la causa delle nette bruciature sulle mani del giovane ed i pensieri del prete cominciarono ad offuscarsi.
“Togliti il cappello.” gli disse.Giovanni si irrigidì immediatamente e la fissò negli occhi. Lara sfoggiava il suo miglior sorriso. La sera si avvicinava e loro erano seduti sulle rive del loro fiume sotto una luce che presto sarebbe svanita con il tramonto.
“Preferisco di no.”
Lara abbassò lo sguardo solo per qualche secondo, strappò qualche stelo d’erba distrattamente e… saltò come una cerbiatta verso di lui, rubandogli il cappello ed allo stesso tempo poggiando le sue labbra su quelle di lui. Lui spalancò gli occhi e le pupille si dilatarono. Il cuore cominciò a battergli nel petto e gli sembrò come se avesse poggiato le labbra su una pesca profumata e morbida, sul mare e sul fuoco vivo.
Lei gettò il cappello lontano e, chiusi gli occhi, dischiuse leggermente le labbra e gli donò il suo sapore. Follia, pensò che lo stesse attraversando in quel momento. Tutti i sensi erano completamente fusi ed impazziti tra loro.
Durò pochi minuti ed un’eternità.
Poi finì.
E Lara aveva i suoi occhi dentro i suoi.
Lentamente si allontanarono.
E gli occhi di lei si posarono sul suo capo.
STUMP!
L’ultimo colpo. Padre Carmine si paralizzò. Era andato anche il terzo lucchetto. Deglutì sonoramente. Lasciò cadere martello e scalpello. Lentamente poggiò le mani sulle sbarre, con lo sguardo basso.
Poi si fece coraggio e tirò verso di sé.
Passò una settimana e Giovanni continuò a servir messa e a vedersi con Lara.
Poi accadde qualcosa durante la messa Domenicale del 17 Agosto. Padre Carmine stava alzando il sacramento al cielo ad invocare la presenza divina e a Giovanni mancò il respirò, sembrò che qualcosa gli si strozzasse in gola. I suoi singhiozzi distrassero solo marginalmente padre Carmine, restio ad interrompere il solenne momento dinanzi ad una chiesa piena. Qualcuno del pubblico cominciò ad accorgersi del ragazzo che si portò le mani alla gola.
Voci cominciarono a mormorare: “…ma quel ragazzo…”, “…ma forse sarebbe il caso
di…”, “…chiamate un dottore…”.
Ma nessuno intervenne in tempo. Giovanni sembrò esplodere. La sua voce si tramutò in un urlo che di una bestia che sfogava la sua rabbia primordiale.
“Ma che…” fu tutto quello che riuscì a dire padre Carmine prima di essere assalito da qualcosa che aveva girato gli occhi all’indietro dinanzi a lui, che lo strinse in una morsa al collo cominciando a scandire frasi in una lingua incomprensibile.
Cercò di divincolarsi e subito accorsero diversi uomini ad aiutarlo.
Qualcuno cinse quello che una volta era il ragazzo alla gola, chi ad un un braccio, ma egli dimostrava una forza ed una stretta sovrumana, ne scrollò due di dosso senza alcuno sforzo apparente.
Sull’altare si formò una piccola folla e ci fu tale Andrea Campora, fabbro dalla notevole mole, che si aggrappò con tutto il suo peso al ragazzo mentre altra gente gli prendeva le braccia e le dita per fargli allentare la morsa sul povero padre che respirava a fatica ormai, diventato paonazzo in viso.
Le parole del ragazzo terrorizzarono il pubblico che era rimasto a guardare la terribile scena da lontano.
Donne e vecchie si segnavano. Uno strattone fece cadere il copricapo del ragazzo.
La sua malformazione nascosta per anni venne mostrata a tutti. Due protuberanze curve e appuntite gli spuntavano ai lati del capo.
“EVAS EM DROL, MORF EHT NIAP EVAS EM DROL! MORF EHT HTAED EVAS EM DROL….”
E continuò così finchè il signor Andrea non gli piazzò un colpo sulla nuca con un candelabro in ferro preso dall’altare.
Svenne.
Aprì le sbarre. La cassa era davanti a lui. Le croci, l’acqua santa, doveva spostare tutto ora. E lo fece.
Padre Carmine si riprese dopo una settimana circa. Il ragazzo fu tenuto in prigione.
Aprì la cassa e le mani cominciarono a tremargli di nuovo.
Quando si riprese gli uomini del paese gli dissero che avrebbero ucciso il ragazzo. Padre Carmine si coprì il viso e cominciò a piangere.
Quando sollevò il coperchio la visione fu tremenda. Quello che una volta era stato il suo servitore, quasi un figlio per lui aveva gli occhi aperti e lo fissava come se lo aspettava già da tempo, tranquillo. Le croce sulla fronte aveva i bordi ormai fusi nella pelle che aveva bruciato al contatto tempo addietro. Le occhiaie erano infossate, mostruose. Il pallore era
indescrivibile. Le protuberanze sul capo, simili a quelle di un ariete ora si erano allungate e poggiavano sul bordo della cassa. Le mani incrociate sul petto legate con la corda. Padre Carmine cominciò a tagliare. Un ghigno beffardo comparve su quel volto abominevole.
Portarono il ragazzo in aperta campagna. Erano tutti uomini. Lo avevano bendato e imbavagliato.
Padre Carmine camminava a testa bassa. Arrivarono su un terreno di nessuno, selvaggio, silenzioso. Lo condussero sotto l’ombra di un’unica grande quercia. Lo poggiarono con le
spalle al tronco e due uomini lo tenevano per le braccia. Padre Carmine cominciò una preghiera tra i singhiozzi, poi mentre lo benediva con acqua santa Andrea si avvicinò e gli puntò uno scalpello sul cuore. Un unico colpo secco ed un rumore di un ramo che si spezzava immerso nel liquido.
Andrea tornò a casa imbrattato di sangue.
Nessuno parlò.
Controllarono che fosse morto, poi lo lasciarono lì, tra le braccia di padre Carmine che si era lasciato cadere a terra.
Rimase lì a lungo.
Con mani tremanti tagliò le corde e lentamente rimosse la croce dalla fronte. In quel momento Giovanni rise. E si sollevò.
Lara si conficcò il secondo chiodo nella spalla.
Giovanni strinse padre Carmine per il collo, sollevandolo da terra per una decina di centimetri, lo sentì morire mentre gli baciava la fronte.
Lara estrasse il terzo chiodo, quello che aveva intenzione di piantarsi nel cuore, per poi buttarsi giù, ma non fece in tempo. Una voce alla sua destra l’aveva chiamata.
“Aral”
Lei si volto incredula verso la voce, poi andò verso di lui.
Quando gli fu davanti Lara cominciò a piangere commossa e tentò di abbracciare il suo amore che non le diede il tempo di farlo, poiché le strinse una mano in gola sollevandola dal suolo e dandole la stessa morte che aveva riservato al suo padre.
“I EVAS UOY MORF EHT HTEAD”, urlò.
Poi dal basso cominciarono a partire i primi colpi di pistola.
Giovanni Del Prete Agosto 2006
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