Biodiversità

Racconti


Biodiversità… cosa vorrà mai dire questa parola? Quale significato si cela dietro di essa? Sappiamo tutti che la massiccia industrializzazione a livello mondiale sta causando ingenti danni all’ecosistema. L’effetto serra sta aumentando, e molte specie di animali e piante si stanno estinguendo. Questo perché l’azione antropica sta alterando proprio la biodiversità, cioè la meravigliosa vastità delle specie terrestri. Inquinare causa dei danni, e inevitabilmente chi semina vento prima o poi raccoglie tempesta. Questo significa che ciò che state per leggere potrebbe accadere davvero. E potrebbe accadere anche a voi …. Proprio nella vostra città…E FORSE ANCHE NELLA VOSTRA CAMERA DA LETTO.
Non mi credete? Leggete questa storia e capirete.

La pendola del salotto batté in quel preciso istante le dieci della sera. Michela e Patrizia se ne stavano comodamente adagiate sul divano, osservando le fiamme che avvolgevano e consumavano lentamente i tronchi di legno nel camino.
Se qualcuno di voi è passato per caso da Ponte Antico, senza dubbio ne sarà rimasto colpito in senso negativo. Un paese minuscolo, tetro ed angusto: e i giovani certamente non potevano avervi futuro.
Michela, date le scarse possibilità che offriva il suo modesto borgo, aveva più volte manifestato l’intenzione di iscriversi all’Università della città più vicina. Ma Patrizia, la sua amica inseparabile, non l’avrebbe seguita in questa avventura. Per il momento si era trovata un modesto impiego come commessa nel negozio di Mino (l’unico di generi alimentari che c’era a Ponte Antico) ed era contenta così.
Come vi ho già detto, le due ragazze erano amiche intime. Ed anche molto altruiste. Ed è per questo motivo che si erano offerte volontarie per aiutare la signora Nelia, una brava donna paralizzata, in carrozzella da molti anni, e rimasta vedova recentemente. Nelia si era assentata da qualche ora, portata dal nipote a trovare una vecchia amica, portando con sé dei fiori. Fiori freschi e profumati. L’aroma era così forte che era rimasto ancora nella casa. E nelle narici di Michela. Questa si sedette sul divano ed iniziò a sospirare.
“Mi chiedo perché” disse “l’essere umano non riesca a comprendere il prezioso valore della natura che gli sta intorno. Davvero assurdo” Quel profumo le aveva fatto venire in mente il suo Leonardo, l’uomo col quale provava le gioie dell’amore e del sesso. Capitava spesso che lui le regalasse dei fiori e componesse per lei delle poesie. Era molto romantico.
Vi ho parlato poc’anzi della biodiversità. Gli stupidi ed ottusi abitanti del paese, abituati a parlare di partite di calcio ed altre futilità, non comprendono certamente il suo alto significato. Ma essa c’è, esiste. Riguarda anche l’essere umano. Come pure lo stesso Leonardo. Ed era un grande impegno per lui, dal momento che era un biologo. Condivideva con Michela il grande amore per la natura.
“Perché ci mette così tanto a tornare la signora Nelia?” chiese Patrizia;
“Cosa vuoi che ne sappia?” sbuffò Michela “Mi chiedo piuttosto come faccia a trascorrere gli inverni senza un moderno impianto di riscaldamento…mah” disse strofinandosi le braccia.
Michela non era molto alta, aveva bellissimi capelli corvini lunghi e lisci e due adorabili occhi celesti; vestiva sempre con eleganza e non le piacevano affatto gli indumenti sportivi. Al contrario di Patrizia che amava il casual.
“Che seccatura…cosa facciamo adesso?” brontolò Michela.
Si era adagiata sulla poltrona. Il rumore del crepitio della legna la fece scivolare velocemente nel sonno. La destò la voce squillante della sua amica:
“Guarda, Michi…gli scacchi!” esultò;
“Cosa?”
“Ci sono degli scacchi là su quel tavolo”
Erano scacchi, di colore bianco e blu. Ma non erano fatti di legno o plastica, bensì in alabastro. In fin dei conti non erano stati fabbricati per giocare, ma soltanto per fare scena; l’intero insieme era quindi da considerarsi un soprammobile. Senza perdere tempo, Patrizia andò a prendere il tutto e lo portò sopra il tavolino:
“Così il tempo ci passerà, non credi?” disse entusiasta. Michela invece non condivideva per niente il fervore dell’amica.
“Io lo trovo un gioco noioso. In ogni modo, se ci tieni tanto…” mugugnò. A malapena si ricordava quali fossero le regole. Proprio non vedeva l’ora di andarsene a dormire.
Le due amiche continuarono a giocare una partita dopo l’altra finché la pendola non scoccò la mezzanotte in punto. Quel grave suono le paralizzò entrambe. Patrizia rimase con la mano a mezz’aria intenta a sorreggere la torre.
“Oddio, non dirmi che già è mezzanotte…ma com’è possibile?”
“Avevi così tanto timore di non sapere come passare il tempo. Sarai contenta, adesso!” ironizzò Michela. Patrizia continuò a rimanere immobile come una statua di sale, lei invece si alzò in piedi:
“Ma che fine avrà fatto la signora Nelia? Non le sarà mica successo qualcosa?” si chiese preoccupata;
“Prova a chiamarla col cellulare” le suggerì Patrizia;
“Lei è rimasta all’età della pietra” sbuffò Michela “Non ce l’ha. E non ha nemmeno intenzione di comperarselo, a quanto ho capito”. Già, il progresso avanza. Il mondo cambia, ma c’è chi si ostina a non adattarsi alle novità. Ad esempio, c’è chi si serve dei computer portatili della Texas Instruments e chi invece continua a scrivere documenti con la vecchia Olivetti lettera 32.
Proprio in quel momento udirono il rumore di un’auto. Forse era lei. Infatti era così.
Il nipote la fece uscire dall’auto la mise in carrozzella e la condusse in casa. La donna si scusò prontamente con le due amiche. Si immaginava bene che sarebbero state in pensiero per lei.
“Scusatemi, ho avuto da fare. Mi sono fermata a casa di una mia vecchia amica, purtroppo quando sei a chiacchierare il tempo passa così velocemente che non te ne accorgi” sospirò.
“Beh, finalmente possiamo andare a dormire” esultò Michela.

La donna si fece condurre al piano di sopra ove mostrò loro la camera. La casa aveva soltanto due stanze per dormire: ed in entrambe c’era un letto matrimoniale.
“Non c’è un letto singolo?” chiese Patrizia;
“Purtroppo no, questa era la stanza di nostra figlia, poi lei si è sposata e se n’è andata, lasciandomi sola” sospirò la donna.
Nelia appoggiò la candela sul comodino. La sua luce tremolante illuminava la piccola stanza ed i loro volti. Una candela era necessaria poiché la lampada del soffitto non funzionava. La stanza era piccola e candida: tutto al suo interno era di colore bianco. Il letto, l’armadio in fondo alla parete e le lunghe tende della finestra. Le due ragazze indossarono velocemente il pigiama ed entrarono sotto le coperte. Michela soffiò sulla fiamma regalando così la stanza all’oscurità.
Forse a Michela non importava niente di starsene in quella stanza fredda immersa nel buio più totale, ma a Patrizia sì. Non le piaceva affatto. Si era sempre ritenuta una persona coraggiosa, ma anche alla persona più ardimentosa può capitare di scoprire la paura. Il buio, si sa, è un contenitore infinito, e può celare molti misteri. E anche voi, non venite a dirmi che non avete mai provato una forte sensazione di disagio a starvene da soli in una stanza in assenza di luce. Non è forse così?
“Michi, stai dormendo già?…”mormorò improvvisamente Patrizia. La sua voce aveva il timbro sgomento. Pareva quella di una bambina che era stata appena costretta a mandare giù un cucchiaio di sciroppo amaro.
“Vorrei tanto” sbuffò “Che cosa c’è?”
“C’è che…beh, io sento un freddo cane”
“Lo credo bene, non c’è riscaldamento in questa casa” le ricordò;
“E ora che facciamo?”
” Cosa vuoi fare? Dormiamo, no?”
“Se almeno ci fosse una stufa a legna in questa stanza…”
Michela si mise a ridere:
“Certo. Così, imbranata come sei, daresti fuoco alle tende. Dormi, va, che è meglio”
La biodiversità entra dappertutto, di soppiatto. Silenziosa si insinua nelle piccole case. Lenta ma inesorabile essa arriva, strisciando nel buio. Anche se le due amiche non potevano vederla, essa c’era. E in quel momento era lì. Era nel buio, e c’era anche per loro.
Dopo qualche minuto, Patrizia parlò di nuovo:
“Michi, stai dormendo già?”
“Ora non più. Che cosa c’è ancora?” mugugnò.
“Domani è San Valentino, hai già scelto il regalo per Leonardo?”
“Sì. Si tratta di un regalo molto speciale” ridacchiò;
“Scusa, non volevo parlarti di questo …c’è un’altra cosa. Ma…non so se è il caso…”
“E di che si tratta? Spero che non sia una cosa lunga, perché a quest’ora sarà già l’una di notte” brontolò lei;
“Beh, si tratta di Fernando, il ragazzo che abitava nella casa vicino al vecchio cinema”
“E allora?”
“Sono iniziate a circolare strane voci in paese”

Michela sbuffò. Ci mancava soltanto questa, adesso.
“Uffa, ancora con questa storia? Si può sapere perché diavolo la tiri fuori adesso e a quest’ora? Vuoi fare come i bambini che si raccontano le storie del terrore la sera, prima di andare a letto? Così ci spaventiamo tutte e due ed è la volta buona che trascorriamo l’intera notte ad occhi spalancati nel buio”
“Sì, ma dicono cose strane in paese. Sai che suo padre lavora alla DMM?”
“Alla…cosa?”
“E’ la ditta che ha eseguito i lavori per installare le antenne dei ripetitori. Dicono che quelle installate in cima alla collina che sovrasta il paese hanno generato un forte elettrosmog in tutta la vallata. E dicono che esso ha causato degli…strani effetti sulla gente”
Aveva fatto una pausa di una buona manciata di secondi prima di continuare. Sì, il timbro della sua voce lasciare trapelare una certa di paura che si era insinuata in lei. Come un piccolo granello di sabbia in un macchinario. Dopotutto, non era niente di speciale. Era solamente una triste storia di un giovane ragazzo ucciso da un ladro entrato nella sua casa. Ma questo ladro, a giudizio di chi lo aveva visto sgattaiolare via, aveva qualcosa di strano.
“Sì, certo…si chiama alterazione genetica. Ma spero che non vorrai crederci pure tu, adesso”
“No, è che…hai sentito anche tu a quello che hanno raccontato in paese, no?”
In quel preciso istante iniziò a sollevarsi un forte vento. Le persiane venivano fatte sbattere continuamente contro i ganci che le sostenevano. Patrizia temette che si potessero rompere.
“Adesso Non fare finta di non sentire, cribbio. Hai sentito che cosa hanno detto oppure no?”
Dannazione a te, pensò lei. Certo che l’ho sentito dire. Tutti l’avevano sentito dire. Ma preferivano non pensarci. Anche Michela preferiva tergiversare. Anzi, si chiese per quale assurdo motivo alla sua amica fosse venuta la malsana idea di parlare di quella dannata storia proprio in quel momento.
“Sì, hanno detto che quando hanno ritrovato il suo assassino era come metamorfizzato. Al posto delle gambe aveva due grossi rami che si muovevano autonomamente. Come fosse una pianta umana. Al punto da sembrare quasi il protagonista di un racconto di Ramsey Campbell. O di Clive Barker” …detto questo si mise a ridere. Michela aveva adottato questo termine di paragone perché era una grande appassionata di letteratura del brivido. E Patrizia lo sapeva bene.
“Non prendermi in giro, dannazione…tu ed il tuo Clive Barker! Ma ci credi o no?”
“Sono tutte idiozie. E adesso dormi…”
“Ma…”
“Niente ma. Buonanotte e sogni d’oro” disse Michela voltandosi dall’altra parte. Affondò la testa nel cuscino e si addormentò. Ma il suo sonno durò ben poco, perché pochi istanti dopo fu destata per l’ennesima volta:
“Michela, c’è qualcuno!”
“Cosa?”
“C’è qualcuno con noi in questa stanza. Non siamo sole” balbettò in preda al panico.
“Cosa? Ma che dici? Ti sei rincretinita?” urlò Michela;
“Non riesco a vederlo ma so che c’è qualcuno. C’è qualcuno in questa maledetta stanza insieme a noi!” disse roteando gli occhi impauriti nel buio alla ricerca del pericolo.
“Sei davvero una stupida, lo vedi cosa succede a parlare di queste cose?”
Patrizia afferrò la sua amica per un braccio terrorizzata:
“Oddio…Qualcosa mi si è attorcigliato attorno ad una gamba. Mi ha preso
“Sei impazzita?”
Patrizia stava urlando, adesso. Urlava e si dimenava come una tarantola. Michela si mise in ginocchio sul letto e la afferrò per i polsi:
“Santiddio, ma che ti sta succedendo? Stai calma…calmati!”

Michela era spaventata perché inizialmente credeva che la sua amica volesse solamente giocarle uno scherzo. Ma poi si accorse che non era affatto così. Era davvero terrorizzata.
“Oddio, Michela, per l’amor del cielo, aiutami, ti prego…accendi la luce. Accendi la luce”
“E come faccio? Non funziona!”
“Accendi la luce, mio Dio…ACCENDI LA LUCEEEEEEEE…”

Leonardo in quel momento stava guidando la sua vecchia Renault Quattro. Era da considerarsi ormai un pezzo da museo. Lui stava racimolando qualche soldo in più per comperarsene una nuova. Sul cruscotto ricoperto di polvere, c’era una foto formato tessera della sua amata, ed accanto un assortimento di cassette di musica di vari autori tra cui spiccavano i nomi di Vasco Rossi e Luciano Ligabue. D’un tratto il motore iniziò a perdere colpi. Quando la macchina si fermò, il conducente capì che cosa era successo: la benzina era finita.
Leonardo uscì dalla vettura e accecato dalla rabbia iniziò a prendere a calci un pneumatico. La spia era accesa già dal pomeriggio. Doveva provvedere ben prima a rimettere carburante, invece aveva fatto passare troppo tempo.
Sapeva che prima o poi la sua cara vecchia Renault Quattro l’avrebbe tradito. Ma proprio per la vigilia di San Valentino doveva farlo? E in aperta campagna, per giunta?
Sbollita la rabbia, rimase immobile per qualche secondo, ansimando. A poco a poco si stava riappropriando del suo self-control. Si mise a cercare la torcia elettrica. Era un tipo previdente, ne teneva sempre una dentro la vettura, apposta per evenienze come quelle. Puntò il fascio di luce sui sedili. Cercò il suo telefono cellulare, ma quando lo ritrovò ricevette un’altra amara sorpresa: la batteria era scarica.
Perfetto, ci mancava pure questa. Due grane al prezzo di una. E poi? Si dice che non c’è due senza tre. Cos’altro doveva capitargli ancora?
La biodiversità, che studiava con tanto impegno, riempiva gran parte della sua vita, questo era certo. Anche se in quel momento di difficoltà pensava a tutt’altre cose, quella sera la biodiversità lo avrebbe riguardato da vicino. Ci sarebbe stata anche per lui.
In quel momento Leonardo fu scosso da un brivido. Aveva udito una voce. Qualcuno lo aveva chiamato dal bosco.
“Chi…chi c’è? Chi va là?” urlò;
Profondo silenzio. Continuò ad avanzare, poi impugnò un coltello a serramanico. Fece scattare il meccanismo che azionò la lama.
“Chiunque tu sia se stai cercando di spaventarmi ci stai riuscendo benissimo…quindi adesso piantala ed esci fuori. Voglio vedere chi sei” balbettò.
Il suo nome fu pronunciato per la seconda volta. C’era qualcuno al di là delle piante agitate dal vento, ma chi?
“Guarda che sono armato. Oltre che il coltello ho anche una pistola. E ben carica”
Mentiva e lo sapeva benissimo. Diceva soltanto così per darsi coraggio. Si era sempre dato l’aria da spavaldo, a scuola come nel gruppo. Già, però la sua accozzaglia di (falsi) amici l’aveva sempre preso per i fondelli per questa sua doppiezza. Forte fuori ma debole dentro. Santo cielo, Leonardo, perché fai tanto il duro? Ammettilo…sei un fifone, gli diceva continuamente Giampiero.
Il suo antipatico volto gli parve ricomparire proprio in quel momento, intento a sfotterlo per l’ennesima volta. Tu sei un pisciasotto, Leonardo…sai perché non sposerai mai Michela? Perché hai troppa paura a prenderti le tue responsabilità, ecco perché. Tu vuoi soltanto una pollastrella che ti sollazzi nei sedili posteriori della tua automobile il Sabato sera e nient’altro. Perché hai paura a stare lontano da papà e mamma. Sei un codardo. SEI SOLAMENTE UN FOTTUTO CODARDO.
Io non sono un codardo. Ripeté fra sé e sé. Iniziò ad avanzare stringendo saldamente il coltello nelle proprie mani. Si avventurò fra le piante. La rabbia gli aveva dato coraggio. Avrebbe fatto vedere a tutto Ponte Antico di cosa era capace. Finalmente avrebbe dato a tutti prova della sua forza.
“Avanti, vieni fuori, chiunque tu sia. Io non sono un codardo, non lo sono mai stato, HAI CAPITO?” urlò.
In quel momento accadde l’incredibile. Alcuni rami di una pianta vicina si allungarono e lo avvinghiarono. Si trovò prigioniero in pochi istanti (tutto accadde rapidamente).
Non credeva ai suoi occhi, i rami si stavano muovendo, come posseduti di vita propria. Ma com’è possibile? Le piante non possono farlo, è assurdo, pensò. I rami gli coprirono interamente il volto in un attimo. Non avrebbe potuto urlare, nemmeno se avesse voluto. Successivamente il suo diabolico aggressore iniziò a trascinarlo giù per il sentiero.

La mattina dopo, proprio il giorno di San Valentino, le auto della polizia avevano circondato la casa di Nelia. All’interno della dimora si presentava una scena agghiacciante. Le interiora della donna erano finite dappertutto: sulle scale, sul divano e perfino sopra la tavola. Il pavimento poi era pieno di sangue. La sua testa era rotolata in un angolo. Fissava macabramente, con gli occhi ancora spalancati, i poliziotti che erano appena entrati. Proprio come l’inquietante Medusa del Caravaggio.
“Dio…ma che cosa è successo in questa dannata casa?” gridò schifato il tenente;
proprio in quel momento un poliziotto lo chiamò:
“Venga, presto…venga a vedere”
Lo fece scendere per delle scale fino a farlo giungere alla cantina: sotto un grande telone di plastica di color verde che copriva gran parte del pavimento, c’era qualcosa che si muoveva. E a giudicare dalla sagoma, doveva essere di grandi dimensioni.
“Me ne sono accorto poc’anzi. Ma non ho avuto il coraggio di sollevarlo. Non so cosa ci sia sotto” disse con gli occhi ingranditi dall’ansia.
“Beh, lo scopriremo subito” sibilò il tenente caricando la pistola “adesso afferra con molta calma il telone e sollevalo al mio tre, intesi?”
“V…va bene” mormorò lui. Sperava tanto che non glielo avesse chiesto. Qualunque cosa, ma non questa.
“Uno…due…tre”
Il poliziotto sollevò il telone di scatto. Il tenente urlò di terrore.

Leonardo riprese coscienza proprio quella mattina. Non aveva la minima idea di dove si trovasse, né di quanta strada avesse fatto. Iniziò ad avvertire un forte dolore in direzione della milza. Un ramo gli era penetrato dentro la carne, ma non poteva vederlo. Non poteva vedere proprio niente, in quel momento.
Riacquistò la vista a poco a poco, attimo dopo attimo, come un paziente ospedaliero che si riprende dopo una lunga anestesia.
Si stava muovendo, ma non lo stava facendo con le proprie gambe. C’era una grandissima pianta che lo aveva avviluppato e che lo stava trascinando con sé.
Leonardo cominciò lentamente a vedere qualcosa, sì, stava cominciando a distinguere nuovamente i colori. Inorridì quando davanti ai suoi occhi comparve la ragazza che amava: Michela.
Era la stessa di sempre, ma soltanto dalla vita in su. La parte inferiore del suo corpo invece era mutata: al posto delle gambe aveva due grossi rami che la facevano stare in piedi. Una creatura surreale. Una pianta umana. Come Michela aveva detto la sera precedente alla sua amica del cuore, una figura così sembrava davvero uscita da un racconto horror. Ma a volte la realtà supera la fantasia.
“Mic… Michela… che… cosa ti è s… su… successo?” balbettò lui sfinito.
Lei non rispose. Continuava a fissarlo coi suoi teneri occhi azzurri. Quegli occhi che lo avevano fatto innamorare fin dal primo giorno che l’aveva incontrata.
“Che…cosa…sei…diven…ta…ta?” mormorò ancora;
“Che cosa sono diventata? Oh, andiamo! Non dire sciocchezze, amore mio. Che cosa sono sempre stata, vorrai dire” disse ridendo.
Michela, ma cosa sta dicendo? Pensò Leonardo. No, non può essere. Allora vuol dire che…
In quel momento capì tutto. Conosceva Michela soltanto da qualche mese, ma sapeva che viveva da sola. Non aveva mai conosciuto i suoi genitori. E nemmeno Patrizia li aveva mai visti.
E questo perché Michela era un vegetale. Già, proprio così, avete capito bene: un fottutissimo vegetale che era riuscito ad assumere sembianze umane. E tutto per colpa dell’elettrosmog generato dai ripetitori installati sulla collina. Le voci che venivano sussurrate con terrore in paese erano vere, solamente che la verità aveva un altro aspetto: non uomini che diventano piante ma l’opposto. A quanto pare, dunque, quegli idioti della DMM senza volerlo aveva causato un disastro! E così la biodiversità a lui tanto cara, che riempiva la sua vita lavorativa, ottenne finalmente un grande ed inaspettato spazio anche in quella intima e personale del nostro biologo. E avrebbe continuato a prendere ancora campo, oh sì: per tutti gli abitanti di Ponte Antico. Per tutti gli altri che erano rimasti. Potete crederci.
La pianta che l’aveva aggredito era una sua alleata, senza dubbio. Ce n’erano altre come quella: l’invasione era iniziata. Forse potete anche trovare questa storia divertente, ma riflettete per un istante: la mucca pazza, la recente influenza dei polli, non avrebbero forse fatto sorridere se pronunciate trent’anni fa? La natura finge di essere inerme, ma può vendicarsi. In quel momento la ragazza spalancò la bocca: i suoi denti erano lunghi ed affilati come quelli di un felino. Aveva già pensato a sistemare la signora Nelia, Patrizia e buona parte della polizia. Ma aveva ancora fame. Già, quel giorno aveva proprio molta, moltissima fame.
“Buon San Valentino” gli mormorò. E iniziò a divorarlo.

Diego Balestri giugno 2005

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