Racconto Horror Amico Mio
Il telefono suona nell’esatto istante in cui James trova un antiquato chip rinchiuso nel ciondolo di 003, sepolto dalla neve. Sposto lo sguardo divertito, dal televisore al cordless illuminato nella vasca di ricarica, mentre mi accendo un mozzicone cercando l’accendino fra cumuli di sigarette tracheotomizzate. Ed il telefono suona.
E’ Paolo. Ah, è Paolo. Dice che mi aspetta, come al solito, davanti alla mia automobile. Lui mi aspetta sempre quando Giulia viaggia per lavoro; me ne stavo dimenticando. Chiedo scusa.
Succede circa una volta al mese, che lei voli per l’Europa ad incontrare importanti nomi della moda italiana. E’ il prezzo che devi pagare quando vivi con una ex-modella, che ormai passata l’età delle passerelle a cosce nude, dedica il suo tempo a mantenersi viva con l’attività di management.
La casa senza Giulia sembra mutilata, assume un tono di misteriosità illegale e ti lascia libero di agire, senza lo schema preciso della cosiddetta normale solita socievole vita-di-coppia. In sostanza ti dimentichi di quel mare di balle morali che, nessuno dice, ma che sai benissimo di dover rispettare nel momento in cui prendi la decisione di intromettere qualcuno nelle tue abitudini. Dopo qualche giorno , però, il vuoto ti prende dal di dentro e pensi che tutte quelle minchiate morali servono a non logorati davvero. Ho dovuto rinunciare ad amati vizi sregolatori portando Giulia a casa mia, è vero, ma anche lei lo ha fatto; e non è certo contenta di lasciare casa così di frequente per abitare stanze sempre diverse e poi tornare, dopo qualche giorno, con un cumulo di stress appeso al suo delizioso corpo.
Fortunatamente io riesco, una volta al mese circa, a sfogare l’accumulo fastidioso con delle attività bronsoniane notturne. Il mio amico Paolo (non ho ancora capito come faccia) si presenta due o tre giorni dopo che la parte femminile della casa vola via, proponendo un lavoro da spazzino per aiutare una giustizia che fatica ad essere giusta. Quello che davvero non sopporto sono i favoritismi ai quali la nostra quotidiana esistenza è sottoposta; è proprio per questo motivo che abbiamo iniziato, su suggerimento di avanguardia-Paolo, la nostra segreta attività. Tutto è nato dopo aver scoperto che quello stronzo di vigile urbano prendeva soldi dal proprietario del panificio sotto casa, affinché tenesse la Finanza a distanza debita, assicurando l’onesta attività dell’esercizio in oggetto, il quale, ovviamente, non aveva mai emesso uno scontrino in vita sua. Io e Paolo non abbiamo mai chiesto scusa allo spazzino che trovò il cumulo di sacchi neri maleodoranti impigliato fuori dal negozio. Del proprietario non si ebbe più notizia. Forse una trasmissione televisiva in cerca di persone scomparse ne parlò una volta, ma non ne sono sicuro. Poi cominciò una serie di buone azioni verso varie categorie di lavoratori: spacciatori pesanti, papponi, sbirri corrotti ( i nostri preferiti), automobilisti omicidi impuniti e gentaglia varia.
Stasera, però, dedicheremo a noi la notte. Ci fermiamo e, per una volta, faremo del bene a noi stessi.
Bisogna affrontare la serata nel giusto modo; alzandomi quindi dal divano, mi dirigo verso il bagno.
Piscio. Mi guardo allo specchio. Mi lavo i denti. Mi rado. Una sciacquata alla faccia. Completamente nudo inserisco “dance into the fire” nel lettore cd e nell’ordine mi infilo: boxer neri (non troppo attillati –che tanto stasera nessuno li vede), camicia nera con righine quasi impercettibili, calzini neri, completo giacca+pantaloni. Nero ovviamente. La 24 e la borsa sono già pronte, non ho da fare altro che prenderle ed appoggiarle vicino all’ingresso. Mentre spengo la TV (James ora è ad una festa a Versailles credo, con un improbabile Cristopher Walken biondo platino), mi infilo le scarpe dalla punta quadrata.
La città mi appare buia, quasi aspettasse qualcosa che non ha ben presente. Paolo, invece, attende cosciente come sempre. Sa sempre tutto lui, non gli nascondo nulla e nemmeno potrei farlo perché è il mio migliore amico, mio fratello e se fossi squilibrato direi che è addirittura me stesso.
Salito in macchina ed accesa la sigaretta, muovo l’auto verso destinazione mentre Paolo, come al solito, osserva muto ogni mio movimento.
La casa si trova in periferia per fortuna; se fosse stata in città avremmo dovuto prendere una serie di precauzioni contro i vari vicini impiccioni che non sentono mai nulla, ma che sanno sempre tutto di tutti. Un brivido appiccicaticcio sottoforma di goccia mi attraversa la valle della schiena finendo contro l’elastico dei boxer provocando una pessima sensazione umida che ho idea mi debba accompagnare per molto ancora. Sarebbe stata molto più comoda una maglietta a maniche corte, ma per l’occasione è decisamente indispensabile un bel vestito. E’ un po’ come se lo sposo vestisse in pantaloncini e canotta (perché sicuramente morirà di caldo durante la giornata) infischiandosene dell’aspetto morale della situazione nella quale si trova.
Infastidito dall’umidiccio, apro la valigetta ed avvito il silenziatore alla Beretta, un po’ per l’essenziale utilità, un po’ per il Bondtocco che le dà. La infilo fra i pantaloni e mi incammino, con la mia 24 da Geova, verso l’abitazione.
Ora: scavalcare il cancelletto per un effetto sorpresa assolutamente necessario vestito in questo modo, è davvero difficile; tornando allo sposo di prima (quello in canotta) : che figura farebbe con la sposa e gli invitati se, per fare una sorpresa, arrivasse tutto stracciato?
Fortunatamente scalata e discesa vanno per il verso giusto e posso presentarmi di tutto riguardo alla porta di casa. Il kit del piccolo scassinatore è rinchiuso, dentro una scatoletta di metallo, nella tasca dei pantaloni. Con l’abilità che solo una pratica meticolosa e costante può dare, apro la serratura della porta, non prima di aver spento la luce che illumina l’ingresso, in modo che eventuali sguardi non captino l’intrusione furtiva.
Speravo che, entrando, un morbido tappeto accogliesse i miei fracassosi mocassini, ma purtroppo non è così e sono costretto, Beretta in pugno, ad osservare venti secondi di religioso silenzio immobile ed attento, nella speranza di sentire i miei invitati nelle loro faccende affaccendati.
Questa volta la speranza non è vana e lo spettro di Alexbello mi suggerisce un dolce su-e-giù al piano di sopra. Mi tolgo i rullanti portatili che ho ai piedi e mi incammino, come un segugio, verso i gemiti ansimanti.
I primi due colpi ovattati finiscono precisi nelle chiappe pelose che mi si presentano a prima vista e, mentre lo stronzo si contorce sul letto, corro verso la ricevente colpendola sul cranio col calcio della pistola e facendola passare dalle braccia villose di un attimo prima a quelle morbide di Orfeo.
Quando Giulia si sveglia sto finendo di mangiare un piatto di spaghetti alla carbonara che mi sono cucinato nel frattempo, accompagnati da un ottimo Barolo che ho trovato nello scantinato. Lo capisco perché sento dei versi imbavagliati ed abbastanza isterici che arrivano dalla stanza da letto.
Deduco anche che deve aver individuato il sacco nero che fino a qualche ora fa stava dentro lei.
La tranquillizzo con un “arrivo subito eh?” mordendo l’ultima forchettata.
Smette immediatamente di frignare.
Gli spaghetti erano meravigliosi, come solo io li so fare. Cotti al punto giusto ed un poco al dente se vogliamo, ma è proprio questo il segreto del buon “spaghettaro”, e devo dire che mi hanno saziato a dovere dopo aver faticato nell’ispezionare la casa ed aver sistemato le cariche qua e là. L’unica cosa che mi lascia un po’ di amaro in bocca è il fatto di non aver trovato un decantatore per l’egregio Barolo che il mio peloso rivale teneva in cantina.
Quando torno in camera da letto Giulia ricomincia ad emettere versi incomprensibili e mi accorgo che il sacco nero è praticamente immerso in una pozzanghera rossastra. Mi fermo un momento sulla soglia, non riuscendo a capire, se sia quello che la fa tanto agitare, oppure sia per via di quei fili elettrici che escono dal gilet che le ho infilato. In un attimo mi passa per la testa la tentazione di toglierle bavaglio e paradenti per chiederle cosa le faccia più impressione fra le due cose, ma è solo un attimo perché incapperei in tutta una serie di scuse e di no-ti-prego-non-lo-fare ecceccecc.
Prendo la sedia che sta vicino al comodino, mi siedo vicino a Giulia e mi accendo una sigaretta.
La guardo muto mentre aspiro una boccata dietro l’altra, aspettando l’ora propizia per la giustizia.
Finita la pausa mi alzo dalla sedia e sistemo un po’ i capelli alla fedifraga che, con tutta la baraonda degli ultimi momenti, si sono scompigliati in un modo che non le si addice per nulla.
Paolo continua a starsene seduto osservandomi.
Lievemente irritato gli lancio un’ occhiataccia. La sua faccia continua a rimanere impassibile. Allora, davvero arrabbiato sbotto in un “ma tu aiutare mai eh??”
Figuriamoci, nemmeno si è messo i guanti in lattice. Non può toccare nulla, lui. Ma poi toccare per cosa? Per lasciare impronte? E cosa vuoi che trovino mai, i folletti in tuta bianca, dopo il botto? Va be’ sono iperprotettivo nei miei confronti ok? E’ un problema forse? Non mi sembra, anzi meglio prendere precauzioni superflue che rischiare per nulla. O no?
L’apatia di Paolo comincia a scocciarmi, perciò vediamo di finire il lavoro alla svelta.
Apro la borsa, mentre Giulia mi osserva con uno sguardo piangente a metà fra il Corvo e Alice Cooper (colpa del trucco sbavato dalle lacrime) e prendo: un paio di forbici, la mappa del cablaggio elettrico e la sequenza di numeri. Metto tutto vicino alle mani di Giulia in modo che possa maneggiare l’occorrente senza però rischiare di slegarsi e tentare una fuga che, per quanto ridicola possa essere, finirebbe senza dubbio in un sacco nero.
Decisamente eccitato mi metto ai piedi del letto come fossi un dottore che legge la cartella clinica al suo paziente ed illustro l’unica piccola ingegnosa possibilità che ha Giulia di uscire illesa da questo affare.
Quando esco dalla casa la brezza notturna mi coglie impreparato ed, istintivamente, ritraggo il collo come una tartaruga quasi servisse a riscaldarmi un po’, poi, mentre apro la portiera della mia automobile, mi chiedo come faccia Paolo ogni volta a rimanere con le vittime fino all’ultimo e salvarsi sempre in ogni situazione. Deve essere proprio in gamba però. Quel bastardo non mi vuole rivelare il trucco, ma giuro che prima o poi glielo frego da sotto il naso. Oh sisi. Giuro.
Giro la chiave e la macchina ruzza di potenza, regolo lo specchietto retrovisore lanciandomi uno sguardo divertito e penso a Giulia. Mi viene da ridere. Ma da ridere a crepapelle eh. Chissà che giri di cervello si starà facendo, cercando di decifrare un codice di numeri totalmente buttato a caso. E poi chissà la sua faccia quando, credendo di aver trovato il numero mancante taglierà il filo elettrico corrispondente tentando di disinnescare la quantità industriale di tritolo che lo ho messo addosso e sparso per tutta la casa. O mio dio sono quasi tentato di rientrare per vederne la faccia.
Solo una Start me up, lanciata a tutto volume mentre accendo la radio, riesce a farmi rientrare nei ranghi; mi allontano per un po’ di chilometri prima di tirare fuori dal bauletto dell’auto un radiocomando e, con un ghigno soddisfatto, dire ciao.
Simone Mainini 2 febbraio 2009
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