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Stephen King

pubblicato nel 1986

Voto: 8/10

Era esattamente il 1990. Posso dirlo con certezza perché aprendo il libro, in prima pagina, trovo scritto il mio nome e sotto: “sto facendo il militare – 1990”.
Non è per buona memoria che lo ricordo, dunque, ma per facile ed inevitabile lettura di questa annotazione di mio pugno nel mio ennesimo risfogliare questo libro. Era il periodo della mia permanenza nel deposito munizioni di Tarquinia (Civitavecchia) per assolvere al mio dovere di cittadino prestando il servizio militare. Che poi io l’abbia fatto così tanto controvoglia è storia a parte che non ha alcuna importanza nel prosieguo di quanto voglio scrivere.
Non ricordo precisamente se “l’incontro” tra me e questo libro avvenne su al paese o alla marina di Tarquinia, ma ricordo soltanto che lo vidi in bella mostra su una bancarella che vendeva libri a buon mercato. Io cercavo, appunto, qualche lettura che potesse farmi compagnia nelle lunghe ore che andavano dal momento in cui svestivo i panni del “patriota” – intorno alle 17:30 – fino al mattino successivo quando, verso le 08:00, ero solito riprendere la mia attività di soldato modello.
Posso dire soltanto che fu un vero colpo di fulmine tra me e questo libro: lo vidi che spiccava su tutti gli altri libri con la sua imponente “stazza” e quella copertina inquietante su cui potevo vedere una grata di lato ad un marciapiede (sicuro accesso ad una fogna) dalla quale sbucavano degli artigli minacciosi. Di lato rendeva la scena meno raccapricciante una barchetta che si immaginava essere costruita con un foglio di giornale. Venni attirato da questo libro per due motivi: il grande numero di pagine che lo costituivano (avrei potuto davvero leggere per tutto il resto della mia permanenza al deposito munizioni) e per l’autore il cui nome vedevo stampato a chiare lettere sulla copertina. Non era la prima volta che leggevo il nome di Stephen King perché non moltissimo tempo prima mi ero intrattenuto nella lettura di “La zona morta”, dello stesso scrittore, libro che mio padre aveva pensato e bene di ordinare al “Club degli Editori”. Un libro quello – “La zona morta”, intendo – che accelerò e non poco il mio processo di avvicinamento verso questo genere di letture.
Fu così che decisi di acquistare “It” di Stephen King anche perché non mi sembrava vero di poter avere al prezzo di 15.500 £ l’incredibile numero di 1.238 pagine da leggere. Da lì cominciò il mio interesse marcato per i libri di questo autore che continua tuttora visto che non perdo occasione per poterne leggere le nuove pubblicazioni.
Come al solito, però, vado divagando. È di “It” che devo parlare ed è bene che cominci a farlo.
Credo che questo libro sia – insieme a pochi altri come ad esempio “Il miglio verde” – fra i migliori libri che Stephen King abbia scritto sia per quanto riguarda il tratto puramente narrativo che per l’originalità della storia che egli ci narra. Ci offre una dettagliatissima ricostruzione di tutta una serie di avvenimenti che hanno inizio a Derry, nel Maine, in un pomeriggio piovoso del 1957 per terminare in un probabile soleggiato giorno di giugno del 1985.
Tra queste due date, il terrore: superbamente narrato come un percorso ad immagini che lo scrittore rende attraverso il suo scrivere in modo così “vivibile” che al lettore sembra di essere parte integrante della storia, seppure come semplice testimone oculare.
Un nugolo di ragazzini è protagonista assoluto del libro ma il primo, George, ha breve vita perché per inseguire la sua barchetta di carta – quella della copertina, per intenderci – gli capita di incontrare il personaggio più buffo ed allo stesso tempo terrificante che si possa incontrare: Pennywise, il pagliaccio dai palloncini di tutti i colori. Che altri non è che “It”, la creatura informe e mostruosa che assume aspetto di volta in volta diverso e che da sempre, ad intervalli regolari, compare a chiedere il suo tributo di sangue ai cittadini di Derry. La prima vittima è proprio lui, George. Un bambino di sei anni che cerca di raccogliere la sua barchetta dal tombino in cui è finita ed ha la sfortuna di trovare lì sotto questo pagliaccio ammaliante che, conquistata la fiducia del bambino, non ha nessun imbarazzo nel rubargli la vita.
Da qui ha inizio tutta una serie di misteriose morti, alcune causate direttamente dal mostro, altre indotte dallo stesso e compiute da malcapitati che agiscono sotto la sua malvagia influenza. Questo gruppo di ragazzi alla fine dell’anno scolastico si ritrova nei “Barren”, luogo che è quasi terra di nessuno nei pressi di un fiume ai margini della città, dove cresce una vegetazione incolta ed è l’ideale per chi ha voglia di inventarsi giochi di varia natura. Accade, però, che essi hanno poco di che pensare a giocare perché “It” è sempre in agguato e sa che l’unico pericolo che lo minaccia è costituito proprio da quei ragazzi che giorno dopo giorno cementano la loro amicizia ed accrescono la fiducia che ognuno ripone negli altri.
Ed è proprio grazie a questa grande e sincera amicizia che Ben, Mike, Bill, Eddie, Beverly, Richie e Stan riescono, pur così piccoli, a ricacciare “It” nella più profonda delle fogne dopo avere davvero rischiato di vedersela brutta. Dopo essere usciti vincitori da questo duro confronto, si ripromettono che se il mostro dovesse ripresentarsi a minacciare la città di Derry, si ritroveranno uniti a combattere ancora per provare a sconfiggerlo una volta per tutte. Passa il tempo ed i nostri eroi si perdono ognuno nella propria vita dimenticando – quasi fosse stato un sogno – quella terribile estate del 1958 che li vide protagonisti di quell’incubo. Ma è Mike a richiamarli alla promessa fatta in quel lontano tempo – e adesso siamo nel 1985 – perché “It” ha nuovamente fatto sentire la sua presenza a Derry per appagare la sua sete di sangue. É proprio Mike, infatti, che li rintraccia uno ad uno e li invita nella biblioteca dove adesso egli lavora e dove tante volte, in passato, ognuno di loro ha trascorso una discreta parte del proprio tempo.
Ci sarà lo scontro finale.
Nel ritrovarsi, i vecchi amici, e nel ricordare quello che è stato tanti anni prima, trovano il coraggio e la forza di ripresentarsi nuovamente davanti al mostro sconfiggendolo definitivamente (?) questa volta.
Ed è anche un ritrovare sé stessi, contemporaneamente alla consapevolezza che, come era stato un tempo, anche adesso a distanza di tanti anni la loro unione costituisce ancora propulsione vitale e dimostrazione di puro coraggio che tutto può sconfiggere.
È un libro che ha appassionato la mia mente di ragazzo nel 1990 e continua ad appassionare la stessa mente, ma di uomo, nel 2005, forse ancora troppo desiderosa di fantasticare per decidersi a crescere. 

(ciao.it) 08-03-2005 Robert Strange

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