Cell
Stephen King
pubblicato nel 2006
Voto: 6.5/10
L’attesa che un Fedele Lettore ripone nell’uscita di ogni nuovo romanzo di King è di solito spasmodica, la mia perlomeno lo è. Seguo questo autore da oltre venti anni e ho seguito le sue evoluzioni e mi ha sempre sorpreso la sua capacità di affrancarsi dai generi pur rimanendone il re incontrastato. Mi ha sempre stupito la grande produzione cinematografica di cui abbiamo goduto, arrivando molto spesso a capolavori (Stanley Kubrick, Rob Reiner) e a schifezze immonde, di cui lo stesso King si è reso complice.
E’ indubbio che tutta la produzione kinghiana è attraversata dalla Saga della Torre Nera, che ha influito non poco sulla produzione laterale. Non sarà sfuggito che nel momento di massima sofferenza nel cammino di Roland di Gilead King ha prodotto i suoi romanzi più “diversi”, quelli pervasi dalla maggiore consapevolezza di una maturità che è anche sofferenza del vivere (da Cuori in Atlantide a Buick 8, da Insomnia a Colorado Kid). Non è nemmeno più un gioco da pervertiti trovare e scovare i vari riferimenti incrociati che King lascia nei suoi romanzi, come una partita a scacchi giocata con chi di parole e riferimenti si ciba. Roland appare nel Talismano, come Dolores Claiborne appare nel Gerald’s game per fare esempi banalissimi su cui torneremo. Ora invece assistiamo a una sorta di “involuzione”, una scarsa voglia di giocare, una stanchezza umanissima di cui però i cannibali fans non possono rassegnarsi.
La cifra di tutti i romanzi “fondamentali” di King è la presenza di una prefazione e di una postfazione. Per molti a volte queste pagine sono preziose, fanno da traccia a un pensiero che negli anni è rimasto sempre fedele alla linea che raccontare storie è l’unica missione di uno scrittore, parola dopo parola, ma anche giocare con esse e tenere vivo un dialogo molto più efficace di qualsivoglia conferenza od intervista. Ebbene in Cell è fragorosa l’assenza di una prefazione e di una postfazione. Quasi a dire che con la fine della saga della Torre Nera si chiude un’era.
IL ROMANZO
E’ una domenica di ottobre a Boston. Clayton Riddel, fumettista del Maine, ha appena ottenuto un contratto. Cammina felice con il suo portfolio pregustando il ritorno a casa dalla sua (ex?) moglie e il figlioletto. E il mondo finisce. Tutti coloro che hanno un cellulare, tutti coloro che lo stanno usando in America e nel mondo, ricevono un impulso. L’impulso fa un reset cerebrale riducendo a istinti primordiali: uccidere e salvarsi. In una Boston che diviene campo di battaglia, dove i “phoners”, coloro che hanno ricevuto the pulse si sbranano fra di loro letteralmente, dove l’aeroporto Logan esplode di mille velivoli che si schiantano, i pochi “normies” senza cellulare rimasti fuggono disordinatamente.
Clay incontra nel suo viaggio verso casa Tom, la giovanissima Alice e più avanti lo studente Jordan. Cercando di salvarsi la vita e organizzare una sorta di resistenza, osservano gli stormi di phoners. Hanno a capo uno strano essere (il Frastagliato, o Harvard, dalla scritta della sua felpa), cacciano di giorno mentre di notte ricaricano le batterie stendendosi tutti assieme in campi aperti, e secondo modalità che non svelerò, e soprattutto comunicano fra loro con la telepatia.
L’unica via di scampo è quella di fuggire verso una zona in cui the pulse non possa arrivare, in una zona senza “campo”. La via per salvare l’umanità e il figlio di Clay passa attraverso il Maine, in un susseguirsi di colpi di scena, di una morte dolorosa, di un finale aperto.
E chi si aspetta una spiegazione, un dettaglio, un mandante, uno straccio di ragione plausibile…beh dovrà rassegnarsi. Non ci sono risposte. E nessuno vi presenterà le sue scuse.
LA LETTURA
L’involuzione di Cell è evidente ai lettori più attenti, e non può che provocare disagio. Brutta copia di The Stand (L’ombra dello Scorpione), non ne ha la potenza dei personaggi, né il carattere epico. La stessa dedica all’inizio del romanzo a Richard Matheson e a Charles Romero deve mettere sull’avviso: i phoners sono degli zombies caricaturali.
La sortita della telepatia non è nuova nei romanzi di King, in Insomnia la telepatia è il filo conduttore della storia, ma in Cell non ha lo stesso potere di sorprendere e sgomentare. Lo stesso Frastagliato, capo dei phoners, appare un ridicolo contrappunto ad Atropo, senza averne il potere di resurrezione della specie.
I riferimenti alla Torre Nera sono al di sotto delle aspettative e inutili. Clayton Riddel ha venduto una saga a fumetti intitolata Dark Wanderer (l’oscuro vagabondo), definita una storia di “cowboy dell’apocalisse”, e nel finale in una giostra appare un trenino, Charlie Ciù Ciù. Non funzionale, quasi irriverente, il concetto che “quando i collaborazionisti sono la maggioranza, i partigiani (i normies) vengono ribattezzati terroristi o criminali”. Se poteva avere un senso nella ricostruzione di una civiltà in The stand, appare risibile davanti a zombies affetti da bruxismo che si aggirano nei Mall, sgranocchiando torsi umani e torsoli di mela. Manca la tensione, manca l’introspezione, è una sorta di riassunto mal riuscito di alcuni romanzi. Non chiude il cerchio insomma, laddove questa fosse l’intenzione.
Anche la morte inaspettata di uno dei giovani protagonisti fa gridare al miracolo negli States, un colpo di genio non ricercare l’happy end. Ma dimenticano che già in Cujo e in Pet Sematary questo tabù era stato eliminato, e potrei uccidere se qualcuno dovesse venirmi a dire che qua c’è la stessa angoscia presente in Pet.
Si è arrivati a scomodare il Konrad Lorenz de L’aggressività e de Il declino dell’uomo,addirittura il Robert Ardrey de L’istinto di uccidere, fino ad arrivare a l’Irenäus Eibl-Eibesfeldt di Etologia della guerra. Su questi accostamenti io stenderei il velo del pudore.
Teamlaura (ciao.it) 30.05.2006